Come salvarsi dalle sabbie mobili di Morecambe Bay

Morecambe Bay

Il 5 febbraio del 2004, in un freddo giorno d’inverno del Nord-Ovest d’Inghilterra, un gruppo di 38 migranti cinesi stavano per iniziare la propria nuova vita. Assunti illegalmente e senza alcun tipo di permesso, da un duo padre-figlio di commercianti locali per il tramite di un gangmaster, il tradizionale intermediario della loro stessa nazionalità, erano partiti di buon ora da Slyne-with-Hest, sub-contea della città di Lancaster, per inoltrarsi oltre la costa presso la località di Hest Bank. Là dove il cielo era più limpido e l’acqua distante, camminando sulla sabbia color spento, fino al centro di un deserto letteralmente privo di specifici punti di riferimento. Ciascuno di loro, generalmente caratterizzato da un’età che andava dai 20 ai 30 anni, di sesso maschile, volenteroso e in buona forma fisica, iniziò quindi ad eseguire le specifiche istruzioni ricevute dai datori di lavoro: chinarsi, inserire lo strumento di carotaggio, ricavare un buco nel terreno e poi metterci dentro la mano. Una, due, tre volte, finché da quel pertugio non tornava su, miracolosamente, una o più cockles, le particolari vongole native di questo luogo, unico in tutta l’Europa Settentrionale. Un lavoro ingrato, e come spesso capita in simili casi, mal pagato: stiamo parlando, per intenderci, di 5 sterline ogni 25 K. Bene o male, un giorno intero di lavoro. Senza casa, senza famiglia, senza possibilità. Una condizione per uscire dalla quale, si sarebbe disposti a fare qualunque cosa. Praticamente tutto, tranne perdere la vita.
Ad oggi non è totalmente chiaro, nonostante il riuscito recupero di 15 sopravvissuti, che cosa esattamente sia successo per causare il decesso per affogamento dei loro 23 compagni. Né probabilmente, ci fu una sola causa determinante: il fatto è che pianure simili, del tipo quotidianamente ricoperto dall’alta marea, sono sempre infuse di un senso di calma apparente, la stasi più totale. Niente pare disturbare la loro pura essenza, finché la forza gravitazionale della Luna, assistita dalla rotazione terrestre, non causa un lieve innalzamento del livello del vicino mare. E quello, delicatamente, inesorabilmente si propaga fino all’entroterra, ricoprendo tutto e tutti quelli che si trovano sul suo cammino. In particolare nella baia di Morecambe, che in realtà non è affatto un’insenatura costiera ma il vasto delta risultante dalla confluenza tra i fiumi Leven, Lune, Kent, Keer e Wyre, si dice che l’avvenire di questo spaventoso e reiterato fenomeno avvenga “alla rapidità di un cavallo al galoppo”. Potrebbe sembrare un’esagerazione. Forse, dopo tutto, lo è. Ma resta ad ogni modo improbabile, per chi sente una tale storia per la prima volta, il fatto che dei giovani perfettamente abili, sebbene privi di conoscenze approfondite della geografia locale, non siano riusciti in qualche modo a trarsi in salvo dal pericolo, scorgendolo sull’orizzonte da lontano. Ciò perché la vera ragione della loro dipartita, in effetti, è nascosta sotto un velo di apparente sicurezza: la superficie del suolo stesso. E trae l’origine da una sostanza assai temuta, eppure mai abbastanza, uno dei fluidi più comuni al mondo. Il puro fango. Che naturalmente, può trovarsi caratterizzato dalle forme o consistenze più diverse. Ma che nella sua versione maggiormente deleteria, finisce per assumere caratteristiche pseudoplastiche, ovvero diventare un denso fluido non-newtoniano che “si assottiglia al taglio” (espressione tecnica) perdendo la solidità, qualora sottoposto a una sollecitazione improvvisa. Come il passo di un pesante essere umano.
Ciò che succede, allora, è facilmente dimostrabile, come fatto per l’appunto dal nostro Jonny Phillips, l’inviato del National Geographic per la serie I Didn’t Know That, che nell’occasione qui mostrata decise, non senza pentirsene immediatamente, di mettere alla prova le leggende su una delle singole località più pericolose di tutte le isole britanniche. L’avventura risultante, a giudicare dallo stato d’animo dimostrato sul finire del video, sarà destinata a restargli bene impressa nella memoria.

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Un tuffo impressionante sul ciglio dell’enorme cascata

Devil's Pool

C’è qualcosa, in una massa d’acqua di almeno 300 metri cubi al secondo che precipitano verso il fondo di un burrone, sollevando nubi di vapore e goccioline che possono giungere a oscurare il cielo, mentre oscuri vortici si formano nei vari cul-de-sac tra rocce e picchi ben distinti, che allontana dalla mente il desiderio di trovarsi lassù, in cima. Soltanto per scrutare con ansia verso il grande vuoto sottostante. E che pure superato quel terrore naturale di cadere, certamente vi porterà ad aggiungere: “Beh, non credo proprio che salterò in mezzo a tali acque vorticanti, per fare una foto ricordo a rischio della vita.” Subito seguìto da: “Ok, mi avete convinto. Però adesso non andrò vicino al bordo. Non mi siederò sullo sperone di roccia che i locali, per una ragione fin troppo chiara, chiamano da tempo immemore – la Sedia del Demonio.”  Con il capo rivolto verso il cielo, la nuca delicatamente massaggiata dalle minacciose acque d’Africa, che di certo altro non vorrebbero che pace, assieme al diritto di volare libere per un minuto oppure due… “Divino! Adesso però non mi volterò per scrutare verso il basso. Quanto è vero il Sole, se lo facessi, non sarei tanto diverso da un aspirante suicida…”
Chiedete a chiunque quali siano le cascate più alte del mondo, per andare incontro ad un buon 50/60% di possibilità che quello vi risponda, con tono infastidito: “Chiaramente, quelle del Niagara!” A tal punto una tale località di alta rilevanza turistica, situata alla distanza relativamente breve di 640 chilometri dalla colossale città di New York, colpisce la fantasia e l’istinto collettivo di chi se la senta di attribuire “i record” un po’ come fossero la coda dell’asino-pignatta messicano. E se gli farete notare come, in effetti, un tale baratro rombante misuri appena una cinquantina di metri, contro i 979 del sottile e slanciato Salto Angel venezuelano, non sarà impossibile sentire le parole: “Grandi. Volevo dire le più grandi.” Oh, si. Fantastico… Peccato che anche quest’altro primato riesca ad eluderle, appartenendo piuttosto a queste gloriose cascate Vittoria, poste al confine tra Zambia e Zimbabwe, dove il fiume Zambezi, proprio nel bel mezzo di una pianura sconfinata, riesce comunque a precipitare da un dirupo ricavato nella roccia di arenaria, profondo nel punto più alto la cifra considerevole di 108 metri. Ma soprattutto, estremamente esteso, per ben 1,8 Km, distanza surclassata su questo pianeta unicamente dalle cascate di Iguazù, vicino Curitiba (alte però “solo” 70 metri).  Il problema è che determinare quale sia la cascata migliore del mondo, a conti fatti, non è poi tanto semplice, poiché i dati da considerare sono plurimi, e incastrati tra di loro. La soggettività diviene, quindi, pressoché essenziale. Quale modo più efficace di sviluppare un opinione, dunque, che mettere alla prova il proprio coraggio personale…
La Piscina del Diavolo, con la sua straordinaria sedia pietrosa creata dall’erosione dei secoli, è una sorta di leggenda tra i locali. Considerate come l’intero straordinario sito idrografico delle Cascate, in effetti, sia piuttosto ben collegato con diversi centri abitanti di entrambi gli stati che se ne contendono la giurisdizione, con per di più alberghi e stabilimenti adatti a tutte le tasche, soprattutto dalla parte dello Zambia. Per questo, a visitare questi luoghi, giungono ogni anno non soltanto i turisti provenienti dal ricco e vasto Nord del mondo, ma anche i membri di popolazioni di estrazione etnica più propriamente africana, che alternandosi con l’altra categoria, vengono qui per sperimentare un catalogo di forme d’intrattenimento notevolmente differenziato. Che varia dal tranquillo (escursioni) allo sportivo (rafting) per giungere all’estremo (bungee jumping) e che trova forse il suo coronamento ultimo nell’esperienza in questione ideata dai furbi operatori turistici, in grado di mettere alla prova i nervi saldi di qualunque aspirante angelo del Paradiso, come quelli che l’esploratore e primo (ri)scopritore occidentale della cascata, David Livingstone, definì nel 1855 “visitatori preferenziali” di una tale meraviglia senza tempo. Possibilmente, ben forniti di biglietto di ritorno, per il resto della vita tra i mortali.

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Dove vanno a finire le biciclette d’Olanda

Fishing Bikes

Nel frattempo ad Amsterdam… Stof tot stof: polvere alla polvere. As tot as: cenere alla cenere. Pneumatico alla gomma vulcanizzata. Telaio al blocco d’alluminio. Da ferro speso, ormai coperto dalla rugine del tempo, a materiale pronto da forgiare per nuove creazioni, ritornate finalmente utili alla scopo. Ciò che eri, tornerai di nuovo, morbido sellino. E così tuo fratello, il rigido manubrio. Però consideriamo, prima, le ragioni di contesto. Chiunque abbia mai tenuto il passo di un timone, navigando tra le onde degli oceani senza vie ciclabili, avrà percepito il segno e il peso dell’antichità: sulla sabbia e tra gli scogli, centinaia, migliaia di decine di imponenti imbarcazioni, un tempo la ragione dell’orgoglio di marine di ogni nazionalità, ormai ridotte a luridi rottami, sprofondati per le cause sfortunate di tempeste, manovre improvvise, la semplice usura che deriva dall’aver dimenticato il punto dell’approdo, a seguito di un cambio della dinastia. Eppure mai nessuno le avrebbe volutamente abbandonate, simili miniere d’oro pronte a quel riciclo, cui alludevo poco sopra, che può dare la ragione d’esistenza all’ennesima generazione dei natanti, nuovamente pronta a visitare coste dei paesi più remoti. Con l’occhio del più vero cercatore di tesori, soprattutto ciò che è spento e rovinato, scrostato e al tempo stesso ricoperto di telline, può meritare di essere salvato, per tornare nuovamente dentro al ciclo di utilizzo degli umani. E… Una bicicletta. Cos’è il tipico veicolo che impiega la potenza muscolare, se non l’imbarcazione di chi naviga nel quotidiano, rifiutando orpelli motoristici e costosi! Splendido, fiammante ammasso di risorse e funzionalità, nel giorno dell’acquisto ormai remoto, progressivamente destinato a sprofondare, come tutto, verso gli abissi impercettibili dell’entropia. Ovvero la discarica, nella MAGGIOR parte dei casi. Esatto, un destino ben più banale di questa metafora marittima della domenica mattina. Non c’è tomba liquida nell’esìzio di un veicolo a pedali. A meno di trovarsi, nel preciso attimo presente,  presso la città talvolta definita “Venezia del Nord” (dell’Europa, non semplice cima dello stivale) un altro luogo in cui acque e case coesistono felicemente, senza che le prime erodano le fondamenta delle seconde. Il che già è un tutto dire. Mentre non è insolito, come potrete immaginare, che il canale si trasformi in disponibile, accogliente discarica, per tutto ciò che ha terminato la stagione della sua esistenza. A torto o a ragione, visto come quasi ogni cosa, dopo tutto, possa dare luogo all’utile processo del riciclo.
Si potrebbe descrivere, volendo, come una sorta di pesca miracolosa. Gli operatori della Waternet, agenzia di stato olandese che si occupa, tra le altre cose, di effettuare la manutenzione delle vie acquatiche cittadine, si trovano alle prese con la loro singola mansione più affascinante, alla guida di una doppia chiatta veramente insolita, appositamente concepita per lo scopo. Che è rimuovere uno stratum, straordinariamente sorprendente, eppure eternamente rinnovato giorno dopo giorno, a seguito dei casi più diversi. Sotto l’occhio affascinato dei turisti, ma anche degli abitanti locali, perché una cosa simile non cessa mai di suscitare un senso di sorpresa, nel rimorchio sorge un cumulo, alto e gibboso, fatto di ruggine e metallo, ruggine con il metallo. Le cui singole parti costituenti, sono velocicli. Lo stesso gesto di una simile estrazione, ha un che di veramente straordinario. Sulla prua del primo natante è stata infatti collocata una gru con pinza, non così diversa da quelle tipiche del luna park. Colui che la manovra, quindi, sembra intento nella singola mansione professionale più divertente del mondo! A iterazioni ripetute, lo strumento cala in mezzo ai flutti, chiude la sua morsa. Senza un grammo di fatica, il manovratore tira la sua leva, vedendo riemergere di fronte a lui…Diverse cose. Vecchi elettrodomestici, carrelli della spesa, componenti metallici d’arredamento. Ma soprattutto, anzi quasi esclusivamente biciclette. Volete sapere quante ne riemergono, ogni anno, dai canali della sola Amsterdam? Secondo l’intervista dell’estate del 2015 di Public Radio International (PRI) a Jan de Jonge, uno dei tecnici della Waternet, si parlerebbe di 15.000 unità. Quindici migliaia di veicoli a pedali: cifre da far girare ben altro, indubbiamente. Ma a questo punto appare lecito chiedersi, perché succede questo? Si tratta di uno strano virus che occasionalmente contamina la gente d’Olanda? Una sorta di propensione collettiva all’auto-privazione, dopo la privazione delle auto? Più meno. Non esattamente.

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Astronauta dell’ISS ci dimostra il globo effervescente

Floating water

Sorride, Terry Virts di Baltimora, mentre ciò che ha costruito fluttua e si agita nell’aria. Un piccolo pianeta, dalla superficie stranamente bitorzoluta, che ruotando sul suo asse lancia bollicine tutto attorno. Queste poi, come attratte da una forza gravitazionale, restano a orbitare lì vicino, a emulazione della condizione stessa dell’ambiente in cui si svolge questa scena, la scheggia di metallo sita a 400 Km di altitudine dal suolo. Siamo, ovviamente, nella Stazione Spaziale Internazionale, e questo qui non è propriamente un’esperimento. Più che altro un test, o per meglio dire, la cosa più simile ad un momento di svago che possa concedersi una simile figura professionale, nel corso del periodo più importante della propria vita. Mettere una pasticca di Alka Seltzer nell’acqua a gravità zero, che gesto totalmente insensato! Ma non abbiate dubbi in merito: l’iniziativa ha un valido perché.
Tutto inizia in quel minuto e quel secondo, l’attimo bruciante del decollo verso i limiti dell’atmosfera. Energie tra le maggiori mai asservite al desiderio di imbrigliare la natura, al termine del conto alla rovescia, vengono liberate all’improvviso dal motore che conduce il razzo verso l’agognata apoteosi. E le aspettative di un migliaio di persone, tra scienziati, matematici, ingegneri, semplici appassionati, vengono subordinate alla riuscita dell’impresa. Così tre o quattro astronauti, in quel momento epico ed estremamente significativo, devono dimenticare il senso dell’identità; diventando, in un lampo di luce, fuoco e fiamme, parte della macchina da sogno che li sta portando oltre la stratosfera. In loro alberga la complessa e stratificata unione di preparazione tecnica, sprezzo del pericolo e un profondo senso del dovere. È come un’estasi che dura per un tempo…Significativo. Come potrebbe essere diversamente? Un’intera nazione che investe in te milioni, se non miliardi, per selezionarti, addestrarti e poi lanciarti via dal tuo pianeta alla ricerca di risposte che vadano a vantaggio del futuro. Qual’è il moto delle particelle senza l’influenza del loro peso. Cosa si potrà coltivare a bordo quando, nel corso delle prossime generazioni, lanceremo finalmente quella nave madre (di una nuova epoca) destinata a giungere su Marte. Come si comportano i medicinali e invero, lo stesso nostro organismo, in condizioni prolungate di esistenza via dai luoghi della nostra gioventù. A queste ed infinite altre domande, dovrà rispondere colui o colei che parla e fluttua in queste sale di metallo, osservando un regime di concentrazione pressoché assoluta per quasi l’intero corso del suo soggiorno. L’equipaggio, generalmente, lavora per 10 ore al giorno e gli vengono concesse unicamente 5 ore di “riposo” durante il pomeriggio del sabato, durante il quale può condurre i propri personali esperimenti. Dal punto di vista scientifico, generalmente, meno significativi e complessi. Ma tanto maggiormente affascinanti, proprio in quanto conformi a ciò che potremmo fare noi, trasportati all’improvviso nell’ambiente della microgravità.
Così è successo, verso la fine del luglio scorso, che l’ISS abbia ricevuto un nuovo ed utile strumento: una telecamera tridimensionale dalle altissime potenzialità, in grado di riprendere una scena alla risoluzione di 6144 x 3160 pixels (in gergo detta 6K) prodotta dalla RED, compagnia legata al mondo cinematografico e che ha fornito, ad esempio, l’attrezzatura usata per i film della trilogia degli Hobbit di Peter Jackson. Ma una maggiore definizione delle immagini, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è un vantaggio unicamente estetico. Un’immagine migliore contiene anche più informazioni. Questo apparecchio, dunque, troverà numerose valide applicazioni, a sostegno di ogni sorta di progetto sperimentativo, o ancora per documentare approfonditamente gli interventi, interni o esterni, sulla più antica, persistente e grande navicella spaziale. Ma prima di potervi contare seriamente, occorreva metterla alla prova riprendendo qualcosa che fosse, al tempo stesso, memorabile ed insignificante. Ovvero il più fantastico dei globi…

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