Gli ambienti delle grandi fiere sono sempre piuttosto rumorosi e l’Eurobike dello scorso settembre, importante occasione mediatica per le principali aziende operative nel settore del ciclismo, non faceva certo eccezione. Eppure chiunque si fosse preso qualche minuto per ascoltare attentamente, avrebbe notato che il costante sovrapporsi di voci indistinte sembrava convergere in un punto preciso, per lasciare improvvisamente il passo a un coro di esclamazioni stupite, seguite da un attimo di silenzio ed ammirazione. E quel luogo era lo stand B3-205, occupato dalla Ceramicspeed, produttrice di un’ampia varietà di componenti per biciclette, tra cui alcuni dei migliori sistemi di trasmissione sul mercato. Ma niente, fino ad oggi, che potesse definirsi simile a questo. Nessuno, del resto, l’aveva mai visto prima: all’altezza degli stinchi dei visitatori, un piatto di metallo gira vorticosamente. Certo: c’è sempre qualcuno che, invitato dagli addetti all’expo, mette in moto i perni per l’attacco dei pedali, ancora privi proprio di questi ultimi per favorire l’apprezzamento esteriore del meccanismo. E che meccanismo! Sul lato destro di un aerodinamico telaio nero-opaco (davvero futuristico) trova infatti posto un ingranaggio a cremagliera, dal quale parte un albero di trasmissione. Mentre in corrispondenza della ruota posteriore, figura un largo piatto di alluminio sfolgorante, ricoperto da una serie di estrusioni simili ai denti di un capodoglio. Per ogni giro quindi si ode un suono ticchettante simile, eppur diverso dalla convenzione. Il quale qui dimostra, per chi è attento a simili dettagli, l’imprevista realtà: questa qui è una bici che non ha catena. È una bici che funziona grazie ai buoni sentimenti o se vogliamo, il desiderio più profondo d’innovazione.
Al che sarebbe lecito osservare come, almeno in apparenza, siano esistiti numerosi approcci simili alla faccenda. Sia nelle ultime decadi che a partire dall’anno 2000, con l’implementazione dei nuovi e più efficienti materiali compositi: dopo tutto, sono molti i vantaggi che è possibile trarre da una simile “liberazione”, tra cui un peso ridotto soprattutto per l’assenza del deragliatore, nessun rischio di catena che salta dal suo binario, meno componenti che possano subire un malfunzionamento. Il tutto al costo, tuttavia, di un punto d’incontro tra la guarnitura delle marce (o cassette in lingua inglese) e il suddetto albero che necessitava d’includere il sistema meccanico della coppia o doppia ruota conica, notoriamente inefficiente a causa della quantità di attrito generato nel corso di ciascuna singola rotazione, nonché dotato di una problematica asimmetria. Ecco dunque il problema risolto dall’iniziativa, o vera e propria rivoluzione, alla base dell’idea di Ceramicspeed… Poiché nel sistema Driven (dovesse trattarsi di un acronimo, non ne conosco il significato) manca del tutto un così grande problema, proprio perché l’ingranaggio in questione è stato sostituito da un innovativo sistema con una corona di cuscinetti a sfera, che riduce i punti di contatto tra i due componenti coinvolti a soltanto due, contro gli otto previsti dalla tradizionale catena. Con un aumento di efficienza nel trasferimento di potenza dai muscoli alla ruota di circa l’1% rispetto ad essa, benché i vantaggi davvero importanti siano, nei fatti, di tutt’altra natura…
ingranaggi
Il bullone divino che mantiene l’elicottero in volo
Si dice che il diavolo sia nei dettagli, poiché è nella natura stessa degli esseri umani, affini al principio supremo dell’universo, osservare per sommi capi le cose, tradendo se stessi nelle questioni apparentemente prive d’importanza. Il che è soltanto un altro modo di dire che mentre Dio è triangolare, poiché tende sempre alla realizzazione di un obiettivo, Satana assume la forma di una perfetta circonferenza, in cui ciascun punto insegue se stesso, e nel contempo la quantità totalità dei suoi innumerevoli cloni. Esiste tuttavia un caso, uno solo nel mondo a noi noto, in cui la Grazia suprema risiede all’interno del cerchio. E per comprenderne il senso occorrerà ricorrere, come si usava a quei tempi, alla narrazione di una parabola esplicativa: la storia dell’elicotterista. Egli portava il nome di Thom Jefferson, e verso la fine del 1966, svolgeva con impeto la sua funzione di mitragliere del portello principale, a bordo di un elicottero Bell UH-1 Iroquois, comunemente detto “lo Huey”. Il che lo poneva, geograficamente, nei tenebrosi recessi di una delle più sanguinarie guerre del mondo moderno, quel conflitto vietnamita che a un certo punto diventò di dominio pubblico, accendendo la lampadina della sua colossale inutilità. Ma per tornare a noi, codesto membro dell’esercito era situato, al principio della vicenda, presso l’area di Bong Son vicino An Khe, dove lui, i due piloti e un gruppo di assaltatori erano stati incaricati di scardinare una fortificazione nemica. Così lasciati scivolare a terra i sanguinari marines mediante la fune d’ordinanza, Jefferson si chinò per un attimo per uno strano rumore nella carlinga, quando un proiettile penetrò attraverso la paratia, esattamente dove la sua testa si trovava soltanto un secondo prima. L’elicottero era sotto il fuoco nemico, e in breve tempo le armi automatiche di Charlie, puntate con astio inverecondo, perforarono il serbatoio, il sistema idraulico e alcuni dei servomeccanismi del motore! Faticando immensamente, tuttavia, i piloti mantennero l’uccello in volo, che barcollando in alternanza da una parte e dall’altra, riuscì per fortuna a giungere fino al campo d’atterraggio. Nessuno a bordo riportò alcuna ferita. L’ufficiale meccanico quindi, vedendo la situazione dell’apparato principale, esclamò: “Non è possibile che siate vivi, niente avrebbe potuto volare in queste condizioni.” Quindi Jefferson, arrampicandosi sulla scaletta, andò anche lui ad osservare il punto in cui il rotore dell’elicottero era assicurato al motore. E vide lo scempio causato dai proiettili, mentre un solo bullone, al centro di tutto, rimaneva perfettamente privo di danni evidenti. Alzando lentamente lo sguardo, quindi, si rivolse alla controparte: “Maggiore, lei non capisce. Se l’elicottero è rimasto intero, c’è una sola possibile ragione. Deve averlo aiutato il Figlio di Dio in persona.”
Così nacque secondo la leggenda il termine, spesso utilizzato come metafora nei sermoni degli Stati Uniti (ma COSA non lo è?) di Jesus nut, ovvero “Il bullone di Gesù”. Antonomasia del cosiddetto singolo punto di vulnerabilità, un oggetto talmente piccolo da entrare in una mano e che costituisce tuttavia l’unico responsabile, ovvero il cardine stesso, di quell’intero sistema volante che è l’elicottero, direttamente interconnesso alla vita di tutti coloro che si trovano a bordo. Si potrebbe in effetti dire che il componente in questione sostenga in autonomia le 2-3 tonnellate del mezzo, contro la forza di gravità e mentre esso si trova variabilmente distante dal rifugio sicuro del duro suolo…