Le insospettate doti acustiche dei vostri asciugamani

DIY Towel Panels

Magari amate fare pratica con gli strumenti musicali. Forse avete un hobby che comporta la registrazione della vostra voce, come la realizzazione di un programma radiofonico via web, oppure lo streaming in diretta via Twitch e/o YouTube. Oppure ancora e molto più semplicemente, siete degli estimatori della buona musica, con un impianto di cui andate fieri, ma non avete ancora pensato d’investire nell’approntamento di un ambiente d’ascolto realmente adeguato. Si, si può capire: l’isolamento adeguato di una stanza della casa da influenze esterne, parallelamente alla riduzione del rimbalzo delle onde sonore sui muri (causa del fastidioso effetto del riverbero acustico) presuppongono non soltanto l’acquisto di un certo numero di appositi pannelli, più o meno costosi a seconda della casa produttrice e prestazioni, ma anche la complessa disposizione di questi ultimi secondo specifiche progettuali attentamente definite, avendo cura di non danneggiare la delicata gommapiuma permeabile in cui essi sono fabbricati. E ciò senza considerare il proverbiale pachiderma nella stanza: il risultato estetico di queste dozzine di quadrati neri o grigi, esteticamente simili a cartoni delle uova. Mostri oscuri che dovranno diventare parte inscindibile dell’arredo della vostra abitazione, come una sorta di tappezzeria dell’era spaziale. Certo, non a tutti piace vivere nell’approssimazione visuale di una camera anecoica incompleta! E ciò può diventare tanto più problematico per chi vive con moglie, figli, coinquilini o genitori. La proposta fatta dal qui presente artista del fai-da-te, Matt di DIY Perks, diventa tanto più interessante con il ruolo di una sorta di mezza misura, molto più accessibile di tutte le alternative normalmente prese in considerazione, e che soprattutto ha un costo che, a seconda dei materiali di cui già disponete, potrebbe avvicinarsi vertiginosamente allo zero.
Il tutto prende l’origine, in maniera piuttosto scientifica anche se non esattamente inconfutabile, con l’approntamento da parte del nostro eroe di un apparato in giardino, consistente in un altoparlante posto parallelo al terreno, un sostegno di fili in nylon e sopra di esso, un microfono sospeso ad una sorta di teepee. Il ragionamento che lo ha portato ad approntare un ambiente di prova all’esterno, piuttosto che nella camera oggetto della sua necessità, va probabilmente ricercato nel bisogno di eliminare dall’equazione il possibile rimbalzo del suono sulle pareti circostanti, che aveva la potenzialità d’invalidare i risultati della sua registrazione. Non che il passaggio delle automobili distanti, il canto degli uccelli e gli altri innumerevoli rumori del suo quartiere siano tanto meglio, ma che cosa ci vuoi fare… Autoprodotto il sistema, autoprodotto il video, e così pure l’approccio sperimentale alla risoluzione del problema. Ciò è semplicemente endemico nella presente classe di tutorial. Matt ha quindi impiegato il suo smartphone per far produrre all’altoparlante alcune frequenze scelte arbitrariamente, e nello specifico quelle andanti dai 5 ai 17 Khz, con l’obiettivo di eleggerle a campione del tipo di suoni che intendeva mettere alla prova. Ciò che ha fatto quindi successivamente, è stato interporre tra cassa e microfono una serie di oggetti di facile reperibilità, per scoprire quali avessero le doti migliori di fonoassorbenza. I risultati sono stati a volte prevedibili, altre sorprendenti: la gommapiuma da pacchi, esteriormente non dissimile da quella creata esplicitamente a tale scopo, si è invece rivelata come portatrice di un effetto trascurabile, del tutto inadeguato. Nel frattempo la schiuma espansa dei cartoni delle uova americane, un altro mito del settore purtroppo assai diffuso tra gli studi di registrazione dalla poca professionalità, non ha ottenuto risultati in alcun modo superiori. Con l’impiego di un cuscino, invece, è andata molto meglio: ma in quel particolare caso, assai probabilmente, è stata la massa stessa dell’oggetto a fare la differenza. Ciò che invece nessuno si sarebbe assai probabilmente mai aspettato, è l’ottimo risultato ottenuto alla fine con l’impiego di un comune asciugamano da bagno ripiegato su se stesso. Che si dimostra in grado di assorbire, per lo meno nella strana configurazione sperimentale di Matt, una quantità di suono superiore di quasi il doppio alle alternative. Dico, vi rendete conto di che epoca stiamo vivendo? Perché mai succede questo? Prima di fare delle ipotesi, analizziamo per un attimo le implicazioni.

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Il sabba danzante del porro gigante d’inverno

Hatsune Negi Dance

Musica, potere, sentimento. Verdure che mulinano come dei nunchaku, mentre le lunghe code azzurre si trasformando in fluenti sciarpe da ninja, o in alternativa, i vessilli di colei che ha il fato di salvare il mondo (della musica?) Finché non si capisca più quale sia la ragazza creata al computer, e quale invece quella vera, impegnata in un bizzarro ma fondamentale rituale agricolo di terre assai distanti. Che cosa unisce la polka di Savitaipaleen, danza risalente almeno al XVIII secolo della provincia di Viipuri, al confine tra la Finlandia e la Svezia, con il più famoso sintetizzatore vocale della storia, il software della Yamaha giapponese con un volto delicato, occhi enormi, gonna corta e calze lunghe fino alla zettai ryōiki, la “zona perfetta” nella parte superiore delle gambe? Ovvero Hatsune Miku, la cantante intangibile ma estremamente onnipresente, in grado di guadagnarsi un vasto seguito di fan in patria così come all’estero, sufficiente a comparire in infiniti video musicali, concerti con le proiezioni, pubblicità e videogiochi esclusivamente dedicati a lei. Per non parlare, poi, del merchandising! Mentre chi ha mai visto un pupazzetto della polka. Una action figure, un nendoroid… Sono dunque due esistenze musicali particolarmente ben distinte, queste, che soltanto il mondo di Internet poteva far citare assieme. La cui unione, in modo alquanto suggestivo, da l’origine a un momento di rinascita per la prima totalmente senza precedenti, mentre nel contempo si trasforma in carburante da bruciare per la genesi esplosiva della seconda, verso l’estate del 2006. È un’imprevista commistione di fattori, al cui centro, per buona misura, emerge pure il fusto di un egregio vegetale, l’Allium fistulosum (cipolla cava) altrimenti detto porro negi o porro d’inverno, ingrediente fondamentale di zuppe, involtini, teriyaki e takoyaki, particolarmente legato alla regione di Misoshiru ma famoso nell’intero arcipelago dei samurai.
Prima di prendere in analisi questo particolare aspetto della questione, tuttavia, sarà meglio parlare di una semplice ragazza del liceo della città immaginaria di Karakura (si, con la “r”) coinvolta suo malgrado in una storia complicata. Il suo nome è Orihime Inoue, ed i suoi voti a scuola: esemplari. O almeno lo erano, come da sentita promessa fatta alla sua amata sua zia, finché ella non si ritrovò compagna di classe e involontaria spasimante non corrisposta del giovane sensitivo Ichigo Kurosaki, l’uomo destinato a diventare un guerriero mistico della Soul Society, l’organizzazione sotterranea immaginata dall’autore di manga Tite Kubo. Tutto questo, mentre lei… Beh, non entriamo troppo nei particolari. Ciò sarebbe inappropriato verso chi ancora non ha letto oppure visto l’anime di Bleach. Diciamo soltanto che sotto quella compunta uniforme scolastica, le bluse dai colori pastello, la lunga chioma arancione, battevano un cuore ed una forza spirituale precedentemente insospettati. Per non parlare della capacità di compiere stregonerie di vario tipo… Incluse quelle di uno chef che opera con i fornelli, preparando il lauto pasto degli eroi. Ma non nel modo in cui essi potrebbero sperare. Nient’affatto! Sarebbe poi questa una delle gags giapponesi più ricorrenti, mirata a sovvertire il principale merito dell’ipotetica “donna ideale”: l’abilità con i fornelli, le stoviglie e l’affilata attrezzatura usata dai cuochi ed aspiranti tali dell’Estremo Oriente. Diciamo in parole povere, che se la scelta proposta ad uno molti personaggi dell’epica vicenda fantasy fosse stata tra il morire di fame nel deserto, o consumare un pasto preparato da Orihime, essi ci avrebbero pensato, almeno un minuto o due. Si, lo so, sembra che siamo andati fuori tema… Mentre è invece proprio questo il nesso ultimo della questione! Perché l’amabile fanciulla del manga, che per la cronaca dovrà concludersi proprio alla fine del presente mese, si trovò proprio al centro del ciclone scatenatasi con la nascita di Hatsune Miku, grazie ad un insolito e imprevisto scherzo del destino. Probabilmente avrete già sentito parlare di NicoNico Douga, un portale Internet che potrebbe essere descritto in due parole come lo “YouTube giapponese”. Ma che in realtà si è trasformato ormai da tempo in molto più di questo, con una struttura concepita per suscitare l’interesse dei creativi liberi di ogni provenienza, coloro che normalmente esercitano facoltà di appropriazione in merito ai loro personaggi e mondi fantastici più beneamati. Un luogo in cui il rilascio di ciascuna iterazione dei sintetizzatori software della Yamaha, definiti Vocaloid (ボーカロイド Bōkaroido) aveva fin da subito costituito un’occasione di festa, con il popolo del web che s’industriava per elaborare sul tema estetico di ciascuna mascotte adottata dalla compagnia per dare un volto alle sue voci virtuali. Leon e Lola, le due voci maschili e femminili della versione originaria del software, subito seguiti da Miriam, basata sull’omonima cantante inglese della band Adiemus. E poi Meiko e Kaito, per giungere finalmente ad Hatsune Miku, tutt’ora la più famosa, il cui nome significa letteralmente “prima voce del futuro”. Il cui volto, tuttavia, non fu subito noto al grande pubblico. Che finì per associare quella voce a tutt’altra fanciulla, l’imperfetta cuoca Orihime di Bleach. Grazie a quello che potrebbe essere chiamato un meme, ovvero una di quelle particolari immagini o scenette, perennemente ripetute online, di lei che faceva minacciosamente mulinare il succitato cipollotto, durante un primo tentativo di mostrare il proprio affetto alimentare ad Ichigo. E una musica…

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L’epico racconto del samurai che reinventò il ramen

The Originator of Ramen

Freddo, la fila della gente che si estende a molti metri di distanza dal piccolo chiosco, gestito dalla gente del mercato nero. Fame, che ti spinge, nonostante tutto, alla perseveranza. Il clima di Osaka non  particolarmente ostile, persino l’inverno, eppure a queste latitudini non è ignota la neve. Che tutto ricopre con il manto soffice sinonimo di stare sotto le coperte, mentre la società ferma i suoi traffici per aspettare ore più favorevoli agli spostamenti. Ma vi sono esigenze, persino in tali condizioni sconvenienti, che non possono trovare sfoghi di alcun tipo nel mondo fantastico dei sogni. Ed una di queste è l’esigenza di mangiare. Così ricordava, e spesso raccontava, il fondatore della Nissin Foods, Momofuku Ando, a proposito un’esperienza dell’epoca dell’immediato dopoguerra, quando lui aveva circa 35 anni. E nella sua città d’adozione giapponese, in cui si era trasferito all’epoca dell’università dalla natìa Taiwan, vigeva la dura legge del mercato nero. Tutti, poveri e benestanti, vecchi e bambini, per sopravvivere dovevano rivolgersi a coloro che operavano lontano dagli sguardi e dagli artigli del governo, per offrire i presupposti del sostentamento a chiunque avesse il tempo, il modo e la pazienza! Ore di fila, tra il vociare della gente, sperando che un qualcosa rimanesse anche per lui…E poi…Alla fine…La sospirata ciotola fumante, con gli spaghetti formati nello stile cinese e diventati popolari giusto in quegli anni, specie con il condimento di ingredienti nipponici tradizionali, quali aringhe essiccate, funghi shiitake e salsa di soia a profusione. Ma quanta sofferenza, che fatica della mente del corpo, semi-congelato per accogliere le necessarie calorie. Insoddisfatto dell’esperienza, il giovane imprenditore già a capo di un’industria tessile da lui creata, giurò a se stesso che avrebbe cambiato le cose. Già consapevole a pieno, come ufficialmente esemplificato dalla sua più rinomata citazione, che “Il mondo conoscerà finalmente la pace quando ci sarà abbastanza da mangiare per tutti.” Facile, a dirsi! Se mai c’è stata un’utopia…
Colui che inventò nel 1958, tra lo stupore pressoché di tutti, il concetto rivoluzionario del ramen istantaneo, ovvero infuso nella zuppa, poi disidratato e reso pronto da cuocere nell’acqua calda. Questo prodotto che negli ultimi anni, sfondando anche in Europa, è giunto finalmente anche nei nostri supermarket, collocato distrattamente tra la sezione dei cibi esteri, fra fajitas e tortillas di contesti molto differenti. “Qualcuno se lo comprerà!” Giusto? Ma noi stiamo qui parlando, sia ben chiaro, di un personaggio particolarmente amato dai connazionali. Se c’è una cosa che le società legate al culto della tradizione sanno fare molto bene (pensate anche all’Inghilterra) è donare una patina di splendore a coloro che riescono ad offrire un valido servizio alla comunità. Così quando costui giunse al termine della sua vita, alla veneranda età di 96 anni nel 2007, egli aveva ricevuto tra i molti riconoscimenti la medaglia dell’Ordine del Sol Levante di seconda classe, appuntatagli dall’Imperatore in persona pochi anni prima, in aggiunta a quella del Sacro Tesoro, che possedeva dal 1982. Era inoltre stato onorato con il titolo formale di direttore dell’Istituto della Scienza e della Tecnologia, e successivamente alla sua dipartita, ricevette la prestigiosa qualifica di membro della corte di Tokyo, con il quarto grado d’anzianità.
Non c’è quindi nulla da meravigliarsi se la compagnia che aveva fondato nel 1948, come risposta diretta all’esigenza di coronare il suo sogno, abbia recentemente deciso di renderlo ancora una volta emblema postumo dei propri prodotti, grazie alla realizzazione di una nuova, intrigante pubblicità. E ciò che senz’altro colpisce nel breve cartone animato del genere anime, creato in un particolare stile in bianco e nero dall’estetica quasi noir, è la scelta creativa di aver ambientato la sua vicenda in un contesto chiaramente pre-moderno, con Ando che vi compare abbigliato, e in qualche maniera instradato, per il ruolo di un antico samurai. Completo di spada, cappello di paglia e addirittura sashimono, l’insegna da spalla che portavano i guerrieri per onorare il loro imprescindibile clan. Un’operazione risulta evidentemente motivata dall’associazione concettuale che tutt’ora esiste, tra il mondo decaduto di quei rinomati maestri di spada ed eleganza, e un senso contemporaneo del cool, talmente diffuso da essersi trovato punto d’incontro per innumerevoli e confusi fan. La scelta in questione tuttavia, nel presente caso potrebbe aver tratto l’ispirazione semplicemente dall’artista reclutato per curare le illustrazioni della campagna: niente meno che Takashi Okazaki, già noto come l’autore del progetto multimediale di Afro Samurai.

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Lo strano spirito del jogging sveglia la città di L.A.

Ready to Monday

“Cosa intendi, giornata nostalgica degli anni ’80?” Alle 7:30 della mattina di lunedì, il caffè Starbucks all’angolo tra Melrose e Stanley nel quartiere losangelino di West Hollywood è più pieno di quanto possa esserlo nell’intero resto della settimana. L’aria condizionata scombobula l’ambiente con l’alito di centomila orsi polari. Eleganti manager in giacca e cravatta, studenti sulla via per l’università, operai che si preparano a un’intera giornata di lavoro nel cantiere sotto il duro sole della California… L’amichevole P. Stevenson, come suo solito, porta la lunga barba in una treccia bionda, gli occhiali da sole ed un vistoso paio di bretelle a strisce bianche e nere. Il suo improbabile cappello pare alzarsi su e giù ritmicamente, mentre lui cerca in qualche modo di trasmettere il suo naturale senso d’entusiasmo per la vita: “Ma si, ma si! Non la senti la musica, com’è? Il cassiere deve aver sintonizzato la radio sul canale dei revival: questo è puro Synthpop, A-ha! Sono gli A-ha!” Si a pensarci bene…Tra il frastuono ed il vociare della gente, a Marlon parve di udire a un tratto i riconoscibili accordi di Take on Me, la canzone di quel gruppo norvegese che aveva fatto faville all’epoca più o meno quando si conobbero i suoi genitori. We’re talking away… I don’t know what I’m to say… “DAVVERO? Ehi senti, non è che la cosa mi interessi particolarmente. “Oggi da Walmarts devo fare l’inventario. È già tardi, fuori fa caldo e per di più ho soltanto quattro giorni per prepararmi al prossimo colloquio alle Poste. Non avevi detto…Di avere qualcosa per me?” L’intero caffè parve d’un tratto più distante, mentre le voci del popolo lavoratore presero a svanire in dissolvenza. La musica parve prendere finalmente il sopravvento, per lo meno nelle orecchie dei due interlocutori: So needless to say, I’m odds and ends…I’ll be stumbling away… “Aspetta, taci, ascolta. Senti molto bene quello che ho da dire mio buon Marlon, perché non lo ripeterò di nuovo. Questa-è-la-tua-occasione” A sottolineare la gravità delle sue parole, P. Stevenson alzò il dito della mano destra accanto al volto, mentre si chinava a raccogliere con la sinistra la sua borsa con il simbolo della pace, precedentemente nascosta sotto lo sgabello del bancone. Quindi, da essa estrasse…Un libro. Dalla copertina rossa, con due gambe maschili dotate di scarpe da corsa e la maestosa scritta in bianco, dai caratteri desueti: “The Complete Book of Running” di James F. Fixx. Se in quel momento Marlon avesse potuto vedersi allo specchio, avrebbe stentato a riconoscersi. Le sopracciglia arcuate in modo quasi comico, la bocca rivolta con enfasi verso il basso, le labbra in fuori a formare una specie di broncio da cartone animato. Le froge del naso spalancate come le branchie di uno squalo-membro, lo sgualembro. In caccia. Di spunti nuovi per l’accrescimento personale… “Braavo, ora inizio a riconoscerti. Amico mio! Questa cosa che sto tenendo in mano, non è un testo come gli altri. Tu hai di fronte niente meno che… La prima edizione del libro con cui nacque il jogging. Scritto dall’inventore della corsa per l’allenamento in senso attuale, che morì soltanto tre anni prima dell’uscita di questa canzone, subendo un infarto a seguito della sua escursione mattutina. Ironico, nevvero? Io ce l’ho qui, per te. Te l’ho trovato online.” BAM! Un colpo dato con il piatto della mano sul bancone in plexiglass fece tremare i due bicchieri più vicini, mentre la montagna di schiuma sopra quello che da queste parti amano definire “cappuccino” parve pendere da un lato alla maniera di una piccola torre di Pisa. Strani sguardi dall’addetto del locale e dallo yuppie alternativo alla loro destra, con orologio d’oro e cravatta firmata, probabilmente sulla via per qualche prestigioso studio cinematografico nella Fernando Valley. Alzatosi di scatto in piedi, Marlon riprese subito il controllo della sua espressione. Con un gran sorriso fece il gesto di battere il cinque al suo ex-compagno di scuola, che prontamente ricambiò: “Io, io, non ho parole…” Il tono quasi lacrimoso, lo sguardo commosso: “Sei un vero amico, dai qui. Si è fatto tardi e devo andare via.” In un solo grande sorso, il commesso già in divisa trangugiò quello che rimaneva del suo mega-choco-frappuccino con stracciatella. Quindi prese il libro e scappò via, felice.
Peccato per il resto della mattinata: un’esperienza grama. Il caporeparto Alvin, come suo solito, che insiste per controllare ogni minimo aspetto delle operazioni, ma poi non fa niente per assistere personalmente i sottoposti. I colleghi Jason, Jim e Jaynor che nonostante tutto, paiono perfettamente adattati a questa vita di silenzi nella cattedrale di cemento, il fragoroso centro commerciale. L’unica consolazione per Marlon, il costante avvicinarsi della pausa pranzo, e l’occasione di potersi dedicare finalmente all’interesse che è riuscito a coltivare negli ultimi tempi: la lettura di testi teorici sull’esperienza ginnica degli ultimi ’30 anni. Se davvero voleva essere un postino, per lasciare un tale posto privo di soddisfazioni, avrebbe dovuto imparare a correre e tenersi in forma. Dare, in ogni attimo della propria giornata, l’assoluto meglio di sé. Pensierosamente, gli riuscì di concludere il suo breve pranzo dalla eatery sita all’altro lato del parcheggio. Quindi, già dirigendosi verso la sala dipendenti, mentre camminava tra i frigoriferi del suo negozio aprì il libro di Fixx e prese a leggerlo con trasporto. La corsa è uno stato di grazia del corpo e dello spirito, che permette di ritrovare la propria stessa anima di fanciulli… A-ha, Marlon sorrise al termine desueto. A te, che hai in mano questo libro. A te che stai camminando tra i banchi di Walmart, voltati e guarda molto attentamente in mezzo alla sezione cibi messicani… Il suo intero corpo percorso da un brivido, il lettore s’immobilizzò.

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