Non far sentire all’ippopotamo il sapore dell’anguria

Momo suika tabemasu

Gentile, affabile, cortese. Amichevole, affettuoso, comprensivo. Pure troppo, se vogliamo: il guardiano dello zoo di Nagasaki, dopo tutto, ha un’immagine da mantenere. Quella di amicone di ogni creatura, grande o piccola, che paghi il suo salario con la propria inalieanabile presenza. Eppure c’è forse un pizzico di familiarità eccessiva, e se vogliamo anche troppa disinvoltura, nella maniera in cui il giovane lancia il peponide maggiore del mondo nell’equivalente più prossimo che Madre Natura ha mai prodotto della pressa idraulica da 120 tonnellate. Un personaggio dei cartoon, anzi degli anime, praticamente. Ma non di quelli che vorresti accarezzare da mattina o sera, come le mascotte parlanti al servizio dell’ennesima agenzia governativa/scuola di magia/lega internazionale di combattimento […] bensì piuttosto similare al tipico concetto di un dragone sopìto, tanto pacifico all’apparenza, quanto potenzialmente portatore di rovina. Un ippopotamo maschio, come dovrebbe essere, dal nome, il qui presente Momo, pesa in media 1400-1500 Kg, che possono muoversi ad “appena 8 Km/h nell’acqua, mentre sul terreno addirittura raggiungono, per brevi periodi, i preoccupanti 35! Molto più di un uomo! Sufficienti a prenderlo se necessario, l’animale senza peli costruttore di computer… Proprio così: quattro gambette tozze, apparentemente inefficienti così poste al di sotto di una massa tanto significativa, possiedono in realtà la forza necessaria a rendere l’animale, per predisposizione aggressivo e territoriale, il singolo abitante d’Africa naturalmente responsabile per il maggior numero di morti e feriti. E non è soltanto in questo, che il cosiddetto cavallo d’acqua (hippos=equìno, pòtamos=corso fluviale), penultimo rappresentante del suo genere (c’è anche l’ippopotamo pigmeo Hexaprotodon liberiensis) supera le aspettative di tutti coloro che non hanno familiarità con lui.
Pensateci: tutta la forza della megafauna dell’Africa selvaggia, unita ad un’intelligenza limitata ma sottile, che permette al singolo individuo di sopravvivere anche lontano dal suo branco, qualora ciò si renda necessario. Che poi vuole dire, anche un’estrema capacità di adattamento. La scena qui mostrata, in effetti, che si conforma in apparenza al tipico spettacolo messo in piedi dalle istituzioni che possiedono dei coccodrilli o alligatori, è in realtà un qualcosa di molto più prossimo all’esibizione di un domatore di leoni. E il buon vecchio, grigio co-protagonista potrebbe, in effetti, comportarsi in maniera inaspettata, finendo per ghermire il suo benefattore da un momento all’altro. Si ritiene oggi che i parenti più prossimi degli ippopotami, nell’attuale panorama delle forme di vita presenti sulla Terra, siano niente meno che i cetacei marini: a tal punto il loro genoma diverge da quello degli altri animali. Eppure, per lungo tempo si è ritenuto che queste creature fossero dei parenti degli artiodattili, sarebbe a dire, da un lato i bovini, per la struttura complessa degli stomaci concatenati (l’ippopotamo ha quattro scompartimenti) e dall’altro i suini, per un discorso più meramente collegato alla conformazione e le caratteristiche morfologiche del gran gigante anfibio. Che come l’universale fonte dei nostri prosciutti di ogni tipo, è tra l’altro anche dotato di una memoria perfettamente funzionante. E se dovesse prendere in antipatia il guardiano, hai voglia a dargli da mangiare! Costui sarebbe in pericolo, finché non cambi direzione di carriera. Il fatto è che abituare una creatura tendenzialmente selvatica a prendere il cibo dalle mani, ha molti lati positivi, ma conduce potenzialmente anche a una vasta sequela di problemi. Nel giorno in cui Momo dovesse svegliarsi con la luna storta, infatti, e i cocomeri fossero inaspettatamente indisponibili nella dispensa dello zoo di Nagasaki, cosa mai succederà? Sarà sufficiente farlo ritornare temporaneamente ad una dieta di esclusiva erba e fieno, come un suo simile delle distese sconfinate dove battono i venti del Ghibli e dell’Harmattan…Forse. Oppure forse, no! Ed allora…

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Avete mai visto un pappagallo veramente arrabbiato?

Pebble Cockatoo

Un uomo in abito da ausiliario del traffico, uno sgabello. Un trespolo, un cacatua. Cosa li univa in quel momento carico di aspettativa…Di certo NON la gabbia, che lui tiene in mano, che NON potrebbe mai essere stata quella del candido Pebble, uccello proveniente dal Saskatchewan della foresta boreale (ambiente non propriamente tipico dei pappagalli) Perché quella gabbia tonda NON va bene, spiega Kelly dell’istituto Saskatoon Parrot Rescue, finalizzato al recupero di tutti gli animali volatili che abbiano subito un trauma, fisico, mentale o d’altro tipo. Va “risistemata”. Possibilmente, facendo uso di una valida supervisione. Due stivali e il giusto grado d’irruenza!
Gli uccelli sono intelligenti, molto intelligenti. Nonché diversi da noi. Ma da un certo punto di vista, se le circostanze si profilano in maniera idonea, riescono a diventare estremamente simili ai loro padroni. Un cervello dopo tutto, che sia piumato oppure capelluto, non è altro che un ricettacolo ricolmo di una certa quantità di nozioni, ricordi e sentimenti. Ed è quando quest’ultima categoria ideale, crescendo a dismisura, surclassa le altre due, generando un comportamento definibile in molti modi, tutti buoni tranne che “insincero”,  allora si, che inizia e monta la marea. Gettate un bicchiere d’acqua in una vasca piena fino all’orlo, poi versate con il contagocce due millilitri dentro a un secondo recipiente. Secondo la legge universale dei fluidi in movimento, nasceranno anelli concentrici ed equivalenti, soltanto, più piccoli nel secondo caso. Le proporzioni cambiano la portata, lasciando uguale il meccanismo. È per questo che nella botte piccola c’è il vino buono, mentre nei Caraibi, la nave dei pirati. Che ben conoscevano il vantaggio di un gran becco, la lunga coda, gli artigli bene stretti sulla spalla. E non è certo un caso, forse ci avrete già pensato, se essi portavano in battaglia un valido compagno non umano, generalmente appartenente all’ordine degli Psittaciformi, che al pari della sciabola, la barba e la pistola, fu vera e tipica prerogativa di categoria. Anche grazie alla pressante cinematografia, fin troppo pronta a farne degli eroi. Ma perché, proprio loro? Tagliagole, affogatori, una masnada di ribaldi, eletti a simbolo di un’era come quella dei velieri, che di certo aveva avuto ben più validi rappresentanti negli esploratori, nei mercanti e gli uomini politici del mondo coloniale…La ragione…È trasversale. E il fatto è che i migliori, tra di loro, ben sapevano impiegare l’intimidazione. Erano, sostanzialmente e in primo luogo, commedianti, teatranti, veri e propri attori. Perché un equipaggio spaventato, di una nave che è soggetta ad arrembaggio, è innanzi tutto meno combattivo. Ed al termine della diatriba, spesso addirittura, ancora vivo. Il che offre tutta una serie di vantaggi duraturi, tra cui quello di non dover stare a guardarsi le spalle, oltre che dalle autorità, da intere famiglie di uomini violentemente trucidati, fin tropo pronte ad assumere sicari e (perché no) altri pirati alla ricerca di una postuma vendetta. Quindi il pirata, idealmente, mai smetteva di parlare. E quando si lanciava dalla sua murata, col coltello saldamente stretto in mezzo ai denti, che poteva fare? Lasciava il palcoscenico al suo pappagallo. Il quale invece non taceva MAI.
Ora, di pappagalli domestici (er, “navali”) anche a quell’epoca ce n’erano diversi tipi. Com’è noto, la specie preferita dai miglior capitani era quella dell’ara scarlatta o ara macao, imponente e dotata di gran voce, ma soprattutto, non troppo difficile da addestrare. Altri lupi di mare, trovatisi nell’incapacità di scegliere, tendevano ad accontentarsi di un amazzone testagialla (Amazona oratrix) uccello più piccolo e tendenzialmente più aggressivo. Qualcuno invece, volendo semplificarsi la vita, a quel punto faceva in modo di procurarsi un esemplare di cenerino (Psittacus erithacus) allevato in cattività fin dall’epoca degli antichi greci. Ma nessuno, neppure il temuto e ferocissimo Edward Teach con i candellotti nella barba, avrebbe mai osato scegliere come compagno un cacatua. Bestia esageratamente imprevedibile, persino per lui.

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L’immensa gioia di abbracciare un orso

Russian Bear Hug

Come in un sogno, in cui le ansie di difficili giornate possono svanire nell’abbraccio tenue di Morfeo, così è l’incontro con quella creatura tipica di molte fiabe, che dopo aver vagato alla ricerca di cibarie in mezzo agli alberi della foresta, ritornava finalmente a casa, nella sua caverna o dentro l’antro di un ennesimo letargo. Certo, quando giunge la notte, si dorme. Finché si è bambini, normalmente, assieme all’orso. Ma è pur vero che nelle oscure notti di luna piena, come ben sapevano gli antichi, qualsiasi creazione della fantasia tende ad animarsi e può persino, raramente, parlare? “Cosa devo fare, padrone? Mi dai da mangiare?” Grossi guai! Per tutti coloro che dovessero dimenticarsi di nutrire…Il peluche! Soprattutto, in un’ipotesi speciale, ancor più rara e degna di essere onorata col rispetto dell’accordo primigenio. Perché quando è notte, c’è la luna piena, e addirittura si verifica l’allineamento tra Mercurio e Marte in prossimità della costellazione dell’Orsa Maggiore, non soltanto la vita torna a visitare quei pacifici pupazzi, ma esattamente come la zucca di Biancaneve questi potranno assumere una proporzione ben più grande, o nello specifico, a dimensione NATURALE. Il che per un orso, è tutto dire: guarda qui che roba. Un vero disastro…
In un cortile assai chiaramente russo, perché il video ha molti titoli e quasi tutti in quell’idioma, un uomo dall’aspetto amichevole è alle prese con una particolare, straordinaria contingenza: il suo cane gioca amichevolmente assieme a lui, strofinando il grosso muso sulla sua testa, slinguazzandolo con espressione sciocca, alzando allegramente le corpose zampe che poi appoggia sopra le sue spalle, come la creatura straordinariamente affettuosa che, senza ombra di dubbio, è. Soltanto che a un’analisi più approfondita…Forse questo non è propriamente un pastore tedesco. Non è un levriero. Non è uno spinone, ne un boxer o un labrador. Ma qualcosa di radicalmente differente….L’URSOS ARCTOS, per essere tipologicamente precisi, ovvero l’imponente specie il cui areale giunge ad estendersi per una buona parte del continente Nordamericano dove riceve spesso il nome comune di Grizzly, e poi nell’Eurasia, dalle propaggini occidentali della Russia fino alla remota terra di Siberia, dove spalanca la sua grossa bocca e poi saluta con gli artigli i pochi avventurosi viaggiatori in moto o in auto, rigorosamente fuoristrada. Qui in Italia, ancora oggi ne permane una sempre più scarsa popolazione, di non più di 30-40 esemplari, tra l’Abruzzo e le montagne del Morrone. Che talvolta riesce ancora a procurare dei problemi all’uomo. Eppure non c’è nulla di selvatico, in questo allegro svago del momento presente, il tipico rilassamento di chi sa che il piatto è ben fornito, la carne è chiusa lì nel frigo e dunque non c’è una singola, valida ragione per stringere lievemente le zampe anteriori, stritolando l’adorabile “padrone”. E allora il sentimento che un tale scena ispira nella mente degli osservatori, in molti casi soggettivi, non può essere che invidia.
Guarda quel testone, la cui portata cranica raddoppia per diametro la fragile apparenza della controparte. Il pelo lucido e probabilmente morbidissimo, in forza di una dieta di alta qualità. La sua presenza immane ma bonaria, come quella di un drago del fantastico, o un leocorno, o un candido grifone, reso docile dalla presenza di un qualcosa di meraviglioso, vedi la prototipica e splendente dama (rigorosamente vergine) in attesa del suo cavaliere di rincorsa, con la lancia ed il vessillo sfavillante. Per non parlar di Jaime Lannister nel telefilm di Game of Thrones, malefico e spietato, che dinnanzi al pericolo di un orso diventava il salvatore della Sua… Ma che poi, serviva veramente, quello lì? Alla fine, gli animali sono esattamente come noi. Trattali con rispetto e considerazione, loro ti daranno – TUTTO. Benché questo non significhi, in considerazione delle circostanze di contesto, che gestire un orso sia una cosa – FACILE. Ciò denuncia, l’evidenza! Per non parlar dell’esperienza, di quei pochi che osarono percorrere la strada, prima ancora di questo signore russo, il cui nome resta ignoto al vasto web.

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L’inaspettata intelligenza dei pappagalli e dei polli

Haru Conure

È una questione cromatica di primaria importanza, l’equilibrio delicato attorno a cui si regge il perno dell’intera QUESTIONE: riuscirà il pappagallino giapponese Haru, un parrocchetto guanceverdi, a portare a compimento il riordino di quattro fiches colorate? Davvero, potrebbe essere diversamente? In un crescendo successivo di rutilanti e appassionanti video, il grazioso animaletto ci ha abituato, assieme al resto dei suoi fan, ad aspettarci da lui ogni sorta di complessa dimostrazione attitudinale, dalla comprensione di contesto alla proficua applicazione del condizionamento acquisito. Sarebbe folle, dunque, dubitare di un pronostico che tenda fortemente per il SI. È grazioso ed affascinante, nell’operoso impegno che dimostra, persino un po’ più umano del previsto, come un bimbo che si prodighi per soddisfare i propri genitori. Nonché, stupefacente. Perché di sicuro non dubito, qui tutti conoscevamo la questione dell’intelligenza della famiglia degli Psittacidae, gli uccelli tropicali e variopinti che figurano sopra le bottiglie dei più celebri succhi di frutta. Così come sussisteva chiara nella nostra mente, per lo meno da un punto di vista puramente nozionistico, la loro capacità di distinguere i colori. Del resto, perché mai gli uccelli sarebbero stati dotati di migliaia di livree piumate, tanto variabili ed accattivanti, se non fossero stati capaci di distinguere tra il rosso e il blu! Il fatto è che i volatili diurni, attraverso la loro storia evolutiva assai diversa da quella di noi mammiferi, non hanno mai vissuto un epoca in cui desiderassero nascondersi dalla luce del sole, per sfuggire all’indesiderabile sguardo dei predatori. Poiché da essi, potevano semplicemente sfuggire, volando. E ciò senza contare come, in effetti, molto spesso fossero stati loro a rivestire questo ruolo, ad esempio durante la lunga epoca dei dinosauri (chi non conosce la neo-immagine del tirannosauro piumato!) Così giungendo a sviluppare, attraverso le successive generazioni, degli occhi sostanzialmente più sofisticati di quelli umani, proprio perché dotati di un maggior numero di cellule a cono, anche dette fotorecettori, adibite ad attribuire un’identità cromatica alle variazioni della luce sugli oggetti. Mentre noi umani, da tempo immemore, abbiamo sostituito una parte di quest’ultime con i cosiddetti bastoncelli, l’alternativa utile in assenza parziale di luce, al fine di poterci muovere in notturna.
Ma è proprio l’unione di queste due cose, pensiero figurativo ed acutezza dello sguardo, a risultare tanto accattivante nel presente video, in cui apprezzamento per lo spirito d’osservazione e il desiderio di ricompensare l’uccellino, così gradevole allo sguardo, s’incontrano naturalmente in un soave fiume d’empatia. Giammai fu fatto video più efficace, in effetti, per promuovere l’acquisizione domestica degli appartenenti alla specie Pyrrhura molinae, proveniente dal centro dell’America Meridionale, una delle tipologie di pappagalli con il migliore equilibrio tra le ridotte dimensioni (e quindi semplicità logistico-gestionale) e l’evidente capacità di adattarsi ed apprezzare le comodità della vita domestica, assieme ad una propensione a socializzare per lo meno comparabile, o invero qualche volta superiore, a quella del gatto e del cane. Ed ecco che i motori delle auto partono, nonostante il freddo, e i cordoni delle borse già iniziano a sperimentare il proprio spontaneo scioglimento, in prossimità del più vicino e fornito negozio di animali…A meno che non si decida, come sarebbe certamente consigliabile, di essere cauti, considerare la questione in prospettiva. Un guanceverdi come Haru in condizioni ideali può vivere fino a 30 anni, e comunque mai meno di 10, durante i quali il proprietario responsabile dovrà accudirlo, nutrirlo e soprattutto, giocare quotidianamente con lui. Questo perché tali uccelli, che in natura si aggregano in gruppi d’individui molto legati tra di loro, semplicemente non possono stare da soli. E per chi pensasse di potergli acquistare semplicemente “una compagna” ecco, neanche ciò è risolutivo…

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