Il variopinto biathlon dei carri armati

Tank Biathlon

Mettere a segno un colpo contro l’obiettivo, costi quel che costi, questo è lo scopo ultimo del carro armato. Qualcuno potrà dire: “Proprio come uno sciatore ai giochi olimpici invernali.” E quel genio delle analogie, molto probabilmente, sarebbe il perfetto comandante russo. Nei campi brulli fuori dal centro abitato di Alabino, distretto periferico di Mosca, ci sono quattro carri armati dell’iconico modello T72-B, grande trionfo ingegneristico dell’epoca sovietica: verde sbarazzino, giallo solare, rosso fuoco e l’ottimo color blu dell’oceano sconfinato. Corrono, scagliano proiettili, s’inseguono a ritmo di musica e lanciano scariche traccianti di mitragliatrice; non l’uno contro l’altro, s’intende… Qui non si fa la guerra, si pongono, piuttosto, le basi del più moderno degli sport. Un trionfo cannoneggiante, di cingoli tesi al massimo e spettacolari salve perforanti. Le ragion d’essere del biathlon dei carri armati, la cui prima edizione si è tenuta proprio lo scorso agosto, sono diverse e militarmente, non c’è che dire, piuttosto condivisibili. Innanzi tutto, l’evento costituisce un modo per trasformare le noiose esercitazioni di tiro al bersaglio, attività fondamentale per l’addestramento degli equipaggi, in un momento di gioia agonistica e fruttifera competizione. Poi c’è il fatto che, in effetti, siamo di fronte ad una vera gara inter-federale, momento d’incontro tra paesi uniti ma distanti, anche dal punto di vista prettamente amministrativo. I partecipanti della tenzone, infatti, rappresentavano rispettivamente gli eserciti di Russia, Armenia, Bielorussia e Kazakistan. Ulteriore idea portante, dunque, sarebbe quella di cementare l’orgoglio regionale attraverso la dimostrazione del proprio primato bellico indiscusso. Eppure, c’è sicuramente dell’altro. Per lo meno quest’anno, l’intera gara si è svolta nella più piena osservanza del fair play, neanche fossimo in presenza di una vera e propria federazione di prestigio. Assoluta uniformità di mezzi, munizioni e condizioni di partenza. Tutt’altra storia, rispetto alle reali condizioni di un conflitto bellico, presunto ambiente naturale dei T72-B. E a vederli competere tra loro, così variopinti e spensierati, questi mostri meccanici diventano la manifestazione materiale di una fantasia di gioco, il perfetto videogame. L’unica espressione valida per un qualsiasi tipo di conflitto armato.

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Phonebloks, cellulare che si smonta come un LEGO

Phonebloks

Ieri sera, mentre gli occhi di mezzo mondo scrutavano i dorati palchi di Apple Computer (meleto dei re) e noi meditavamo su impronte digitali e coprocessori di localizzazione, presso il campus digitale di Internet trapelava l’esistenza del più bislacco pretendente a quell’ambìto trono, che si nasconde nella tasca dell’uomo medio: Phonebloks, primo telefonino smontabile, prodotto della mente immaginifica di Dave Hakkens, designer e marketeer di Valkenswaard, in quel d’Olanda. Difficile è la vita, per chi lavora nel mondo della tecnologia. Serve sempre trovare nuove strade. Chi capisce ed interpreta i diversi trend culturali di un contesto X, il più delle volte, ottiene la chiave del successo. L’operato di abili ingegneri, per quanto imprescindibile, verrà soltanto dopo, se veramente necessario. Proprio per questo, il ragionamento alla base della proposta di Phonebloks è schietto, sebbene un po’ contorto. Viviamo nell’epoca di una ritrovata coscienza ecologica, tanto diffusa da portare al rigetto di tutto ciò che contamina la natura. Le star di Hollywood, abbandonata la via salvifica di stravaganti religioni, acquistano e pubblicizzano le loro auto elettriche meno inquinanti. I cacciatori di chi arpiona le balene, eroici bucanieri dei nostri tempi, diventano i protagonisti di romantici reality televisivi, esportati insieme alle culture animaliste d’Occidente. Così nasce l’idea di Dave: basta gettare ciò che è diventato vecchio! Spesso acquistiamo l’ultimo terminale soltanto perché ha una fotocamera migliore, piuttosto che la batteria più capiente o il processore potenziato; per una singola funzione, improvvisamente rifiutiamo tutto il resto, che ci andava pure bene. E se…Il telefonino fosse modulare? Come un giocattolo per bambini, altrettanto curato nell’estetica, Phonebloks si compone di blocchetti intercambiabili, ciascuno dotato dei componenti necessari per fare qualche cosa. Quando obsoleti, potranno essere sostituiti uno per volta. Il valore aggiunto di una tale soluzione, che ovviamente presenta ostacoli progettuali non indifferenti, sarebbe la personalizzazione. Nel video, un uomo d’affari sceglie una batteria più potente. Un escursionista ci mette l’obiettivo gigante di una cinepresa stile anni ’30, presumibilmente più adatto al suo status invidiabile di hipster. L’anziana signora, con qualche problema d’udito, gli preferisce l’utile altoparlante da 130 decibel per centimetro quadrato. Davvero fantastico, questo Phonebloks. Non fatelo cadere in terra. A meno che abbiate il tempo per improvvisare un puzzle.

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Il bracciale che sostituirà le nostre chiavi e password

Nymi

La via per accedere al cuore di un uomo passa attraverso la cucina, dicono. E da oggi sarà vero anche l’inverso: per entrare dentro una cucina o camera da letto, dovrai passare attraverso il nucleo segreto del Suo cuore. Non fisicamente, anche perché tale proposito porterebbe a significative complicazioni di carattere cardiovascolare, bensì mettendo a frutto lo strumento omni-pervasivo della solita tecnologia moderna. Nymi è un braccialetto, sobrio se non proprio bellissimo, dotato di un sensore biometrico per la misurazione del battito cardiaco. Fin qui tutto normale, vista la diffusione di simili prodotti in qualsiasi negozio che venda articoli sportivi. Però, piuttosto che rivolgersi a podisti e altri praticanti di attività fisiche controllate, la ragion d’essere di un tale implemento sarebbe qui di tutt’altra natura, anzi potenzialmente quasi rivoluzionaria: farsi riconoscere con sicurezza da ogni tipo di meccanismo artificiale della società civilizzata, tramite lo standard senza fili del Bluetooth. Il nostro ECG è unico e inimitabile, come un’impronta digitale. Nel video di presentazione, girato secondo le ormai precise regole dell’iMarketing (l’idillico stile promozionale inventato dalla Apple) viene mostrata l’abbagliante visione di un futuro che dovesse adottare, tout court, questo innovativo metodo di autenticazione. Un giovane ben vestito, l’ipotetico executive di una generazione che quel particolare ruolo l’ha visto solo da lontano, apre la porta di casa, la macchina, il tablet, il cellulare, la valigia, il registratore di cassa di un ristorante, il portellone di un aereo… Apre tutto e tutti, praticamente qualunque cosa, senza tirare fuori neanche una password o chiave fisica di alcun tipo. Il suo laptop, spontaneamente, lo saluta per nome. Entra nell’hotel e appese alle pareti, come per magia, compaiono le foto della sua famiglia. Ora, a parte l’ultimo punto che magari lascerebbe un po’ il tempo che trova, va detto che in questa campagna pubblicitaria c’è una chiarezza d’intenti davvero singolare, degna di essere lodata. Nell’epoca in cui simili prodotti promettono di continuo l’impossibile, tutto quello che viene mostrato sarebbe in effetti piuttosto facile da implementare, previa diffusione di questo interessante prodotto. Il problema è sempre quello: l’imposizione di uno standard nuovo, soprattutto in un campo delicato come quello della sicurezza. Per lo meno, Nymi può vantare una genesi scientifica di tutto rispetto.

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La musica di Tetris cantata senza strumenti

Smooth

Quanti riquadri definiscono la storia del videogioco? Troppi per essere contati. Visibili: migliaia di pixel in matrice, gaiamente disposti sugli schermi dei monitor e delle TV; nascosti: circuiti nanometrici d’innumerevoli processori, come fossero cellule organiche eucariote, ciascuno delegato ad una specifica funzione. Inaudibili, sonori e… Poi ci sono i primi attori. Perché c’è pure il caso che tanta tecnologia, geometricamente suddivisa, in ultima analisi non serva che a produrre degli altri cubi cosmici, fantastici quadrati ed eroici parallelepipedi. L’uno dentro l’altro. Riproposizione ludica del concetto di una matrioska: Tetris. Altrettanto russo. Questa straordinaria invenzione del matematico moscovita Aleksej Pažitnov, che negli anni a partire dal 1984 è diventata l’antonomasia del concetto stesso di rompicapo digitalizzato, semplice da comprendere eppure arduo da padroneggiare. Lui non pensò a brevettarlo, forse perché allora non si usava, oppure come suo gesto di generosità verso l’intera popolazione planetaria. Così tutti ebbero modo di metterci le mani, in un modo o nell’altro. Dozzine di versioni coin-op (a gettoni) praticamente identiche l’una con l’altra, seguite da conversioni non autorizzate per PC IBM, Spectrum, Commodore 64, Nintendo NES…Quest’ultima compagnia giapponese poi, tanto attenta al suo stesso diritto d’autore, senza neanche un grazie ai vicini siberiani, di Tetris ne fece il suo successo più immortale. Tutto inizia nel 1989, con la singola console per videogiochi più importante della storia. Stiamo parlando, ovviamente, del primo Game Boy. A Kyoto sapevano bene l’importanza di quanto stavano per scatenare nel mondo. Il primo dispositivo portatile che andasse oltre le sue stesse limitazioni, con grafica fluida, una buona autonomia, ottima visibilità dello schermo e 8 generosi bit di potenza. Mancava soltanto un gioco simbolo, la cosiddetta killer-app.

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