L’esploratore degli iperspazi cittadini

Rob Whitworth

Avete mai sperimentato l’emozione trascinante del flow-motion? Case, palazzi, monumenti e chiese. Li vedrete che scorrono nel vento, persi tra i colori di un vertiginoso vortice visuale. Sarete il vento, oppure il falco. Che con l’occhio attento scorgerà i pur minimi dettagli, senza avere mai bisogno di fermarsi. Ma piuttosto che ghermire piccoli mammiferi, i vostri artigli capteranno le meraviglie di una splendida città: Barcellona, capoluogo della Catalogna, gemma della Spagna e dell’Europa. Il video, intitolato “Barcelona GO!” è stato realizzato su commissione dell’ente del turismo catalano, assieme ad altri quattro di diversi artisti internazionali. Sono tutti disponibili a questo indirizzo. È una sequenza, questa, che si realizza nel miracolo della tecnologia. Una miriade di approcci differenti, nonché apparecchiature, unite assieme come fossero i soldati di un’armata scesa in campo. Per combattere la rigida struttura dei momenti. Si comincia e si prosegue con Gaudì, ovviamente. I due edifici variopinti sull’ingresso del Parco Güell, l’incredibile città-giardino creata sul modello inglese, presso una collina a nord della città, che si spalancano, grazie all’effetto della prospettiva, verso i palazzi e le strade dell’agglomerato urbano. Qui, seguendo una ragazza che cammina a ritmo accelerato, giungiamo presse le imponenti porte della Sagrada Família, la celebre cattedrale in cui s’incontrano il neo-gotico ed il modernismo dell’architetto di Tarragona. Scende, dunque, la notte. La città cambia colore, in un dedalo di suoni e il vocìo soffuso della gente, che improvvisamente si trasforma in roboanti note: perché siamo giunti, senza soluzione di continuità, dentro al Gran Teater del Liceu, qui rappresentato tramite un generoso apporto di computer graphic. Quasi come se quel regno della messinscena, la finzione nobile della cultura, dovesse presagire all’utilizzo della virtualizzazione tridimensionale.
Il termine in lingua inglese d’apertura, l’unione del concetto di “flusso” all’ormai noto “movimento dell’inquadratura” normalmente rallentato (slow-motion) è in effetti un neologismo. L’ha inventato Rob Whitworth, l’inglese autore della memorabile sequenza, per descriverne il particolare meccanismo di funzionamento. Non è questa l’attività passiva del fotografo paesaggista, posizionato in cima ad un palazzo, che dal suo trespolo cattura le passioni della gente. Né, semplicemente, il gesto dell’esploratore avventuroso, che vaga per le strade, telecamera alla mano. Questi due principi, lui li include entrambi, mescolandoli alla perfezione e con un forte apporto d’originalità. L’hanno infatti descritto, presso la stazione radio americana National Public Radio, tramite questa affascinante dicitura: “Ciò che Cézanne fece per le mele, Whitworth lo fa con il traffico urbano.” (cit. Robert Krulwich) E c’è in effetti un che di pittorico, nella sua opera, benché l’intento del paragone fosse, assai probabilmente, evidenziare la scelta del soggetto: un àmbito importante, eppure spesso trascurato. Come il frutto di Isaac Newton. Per una questione di accessibilità stavolta, piuttosto che d’intenzione, visto quanto sia complesso riassumere un vasto centro abitato in due minuti o poco più. Forse, nessuno c’era mai riuscito prima. Che ne dite, del suo tentativo? Ai posteri l’ardua sequenza. (Noi, intanto, guardiamoci anche gli altri video).

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Come stampare sui cerchioni della macchina

HGArtsINC

Da questa vasca, simile ad un fonte battesimale prodigioso, rinascono le vecchie borchie, carene, cruscotti, caschi e parafanghi; immersi cautamente, l’uno dopo l’altro, ne fuoriescono cambiati nell’aspetto, in un tripudio di fibre di carbonio, camuffamenti militari o infinite copie di Hello Kitty e di Sponge Bob… L’unico limite è la voglia di sfidare il comune senso (automobilistico) del pudore. Siamo a Barcellona, presso gli stabilimenti della HGArts, compagnia tra le principali promotrici di una tecnica decorativa davvero versatile, seppur non particolarmente nota: l’hydrographic coating, o stampa cubica ad immersione. Tutto il materiale necessario è disponibile per l’acquisto presso la loro piattaforma di e-commerce. Si effettuano anche corsi su prenotazione, per chi non avesse chiara l’astrusa procedura. Parrebbe, del resto, frutto di una certa misura di magia.
Si sceglie il pezzo da ricolorare, pulendolo dalle varie impurità. Vi si passa sopra un sottile strato di vernice semi-lucida preparatoria, avendo premura di non far sparire i piccoli dettagli della superficie come, ad esempio, eventuali numeri di serie o loghi a rilievo. Quindi, si riempie d’acqua un grosso recipiente e ci si pone l’emblematica domanda: “Vorrei guidare una Citroen degna di far follie tra le conchiglie di Bikini Bottom? Oppure, piuttosto, la mia Smart, ce la vedrei bene con le ruote in pelle di leopardo?” Qui ci sono pellicole per tutti i gusti, come già poteva dirsi nel campo degli adesivi con colla vinilica per le carrozzerie. La differenza, naturalmente, la fa tutta il metodo. Piuttosto che per applicare il proprio pattern su di una superficie liscia e regolare, infatti, la stampa ad immersione trova l’impiego ideale per le forme complesse o sfaccettate. Il foglio con l’immagine, messo a galleggiare dentro l’acqua, in seguito all’aggiunta di un attivatore chimico, perde la sua tenue solidità. Diventa puro liquido, gioiosamente colorato. Tenendo la parte della propria macchina dai bordi, e non importa che questa sia di plastica o di ferro, si ottiene l’immediata imprimitura. L’alchimia si compie in un momento! Neanche il più meticoloso dei pennelli poteva fare tanto. Ogni area vuota, ciascun pertugio di griglie, prese d’aria, buco e forellino riceve la sua patina di novità. Trasmogrificato in mirabile sostanza, il cerchione della ruota diventa suggestione d’automobili da sogno, prototipi degni di un circuito d’elezione. E insieme ad esso, altre strane, guerreggianti cose;

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Bolide giallo dei cieli di fuoco canadesi

43 Grupo

In tempo di pace come in guerra, dal permafrost polare fin sulle sponde nordiche dei Grandi Laghi americani, risuona l’inno della rossa foglia d’acero su quadro bianco: “O Canada, we stand on guard for thee. / God keep our land glorious and free!” L’immagine di quel grande paese, terra di lunghi fiumi, larghe foreste, alte montagne e antiche tradizioni, può talvolta sembrare remota, persino difficile da interpretare. Basti, ad esempio, ricordare l’irriverente rappresentazione che ne faceva il cartone di South Park, beneamato prodotto creativo, tra l’altro, dei loro stessi vicini degli Stati Uniti. Il fatto, da un certo punto di vista, potrebbe essere il seguente: circondati dalla natura splendida e incontaminata, rassicurati dalle più valide espressioni d’economia provvidenziale, da un sistema sanitario all’avanguardia e da una cultura collettiva straordinariamente tollerante, si comincia a ragionare in un modo avulso dal grigiore della cosiddetta globalizzazione. Dunque, in quell’immotivata diffidenza delle allegorie satiriche televisive, ci saranno tracce dell’invidia di chi aspira a simili valori, senza poterli riprodurre altrove. O magari, piuttosto, sarà il succo di quegli stupendi alberi, i dolcissimi Acer saccharum, a rendere i più fortunati dei loro consumatori…Fornendo strutture di pensiero trasversale, diverse da quelle di noi altri. Fatto sta che, ad oggi, dalle terre d’Occidente fin sulle spiagge del Mar del Giappone, mi sovvengono almeno meno tre motivi per ringraziare l’inventiva dei nostri amici del vasto settentrione: la tenda, la canoa e l’aereo.
E sorvolando tra le prime due, in modo particolare, vorrei spender due parole sul citrino Canadair CL-415, l’aereo a turboelica, con ala alta e scafo galleggiante, che nel 1990 ha raccolto la torcia (ignifuga) dei suoi predecessori, ponendosi in prima linea nell’eterna guerra contro l’elemento più amato-odiato dall’intera razza umana. Il fuoco! La ragione scatenante, nello specifico, sarebbe questo affascinante video, ripreso con telecamere di bordo, pubblicato tempo fa sui siti e sui portali del leggendario 43 Grupo de Fuerzas Aéreas, il corpo degli spengi-fiamme volanti dell’esercito spagnolo, tra i più celebri utilizzatori del temerario uccello idrico in oggetto. Passaggi rasoterra, calate vertiginose nella baia e rilasci d’ettolitri sul minuto; il tutto condito da un montaggio video d’eccezione. E se pure il Canada è uso ad alludere, nel suo inno, a guardiani non meglio precisati, nell’immaginazione collettiva la soluzione del mistero è presto chiara: si tratterebbe di piloti d’eccezione come questi, sulle loro macchine volanti, gialle quanto il sole.

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Ibizious, fantasmagorica bibita con il gusto degli anni ’90

Ibizious

Se questo energy drink esistesse veramente, berlo sarebbe un’esperienza elettrizzante. La voce fuori campo introduce il discorso:”È difficile trovare te stesso in città. È così per tutti. Quindi se hai un sogno…devi spingere sul gas.” Poi, apoteosi. La metafora del movimento è un’arma potente in pubblicità. Partire verso l’orizzonte, perdersi in lontananza, per andare dove? Per fare cosa? Non importa, tu comincia mandando giù il primo sorso. Il nostro travolgente drink si occuperà del resto. Come le bibite frizzanti, Ibizious è gradevole e rinfrescante. Alla maniera della birra, suggerisce l’idea della trasgressione o del divertimento. Poi inizia a fare DAVVERO effetto. Diventando, almeno a giudicare dal suo video di presentazione, la più valida alternativa alle sostanze allucinogene degli sciamani siberiani. Questa è una pubblicità che parte a 1000 e poi alza il tiro 1000 volte, mantenendosi in equilibrio su quella sottile linea che divide la chiarezza d’intenti dalla più ridicola parodia. Andandoci talmente vicino che, probabilmente, ben pochi capi d’industria del settore degli energy drink accetterebbero di farne la propria bandiera. Poco male, perché in effetti il cliente è un altro: si tratta del promo annuale per l’evento del club Amnesia sito sull’isola di Ibiza, il famoso Matinee, un tripudio musicale con DJ, ballerini e performer da ogni parte del mondo, in grado di attrarre con facilità diverse migliaia di spettatori. La volta scorsa ci avevano mostrato la storia catartica, raccontata in prima persona, di un uomo che perdeva il lavoro e sceglieva di superare la sua frustrazione con un viaggio liberatorio. Ormai non c’è più tempo per questo, così ci invitano a bere. Riuscendo a portarci in uno spazio concettuale straordinariamente nuovo, eppure in certo senso familiare. Fresh, nay, Super-Fresh!!

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