Nello scenario di guerra contemporaneo, dove sono le informazioni a farla da padrone, con la possibilità di attaccare da distanze chilometriche mediante l’utilizzo di razzi ed artiglieria, piuttosto che l’impiego di semplici droni radiocomandati, le considerazioni tattiche di un tempo non appaiono del tutto superate. Per ogni chilometro realmente conquistato, per ogni settore di territorio sottratto alle manovre possibili dell’avversario, occorre infatti fare affidamento sullo sforzo umano della fanteria, l’unica unità militare capace di delimitare e proteggere un perimetro delle operazioni. Il che subordina, in maniera preventiva, qualsiasi movimento all’utilizzo di tecnologia meccanica capace di bonificare la cosiddetta terra di nessuno, dove tra fortificazioni vicendevoli la sopravvivenza tende a trasformarsi in una mera, non del tutto perseguibile finalità individuale. E quel qualcosa sono diventati, fin dai tempi dell’offensiva di Amiens, i carri armati.
Visualizzando dunque la particolare guerra fredda delle due Coree, paesi la cui tregua attende ormai da plurime generazioni di trovarsi infranta causa il passo falso di un regime che appare cristallizzato nel tempo, non è difficile immaginare il ruolo primario che tali veicoli potrebbero trovarsi a rivestire, in un’ipotetica offensiva tra passi elevati, regioni montagnose ed obiettivi strategici inerentemente remoti. Forse per questo il paese del Sud, fin dai tempi dell’armistizio, ha investito talenti e risorse nell’incremento delle proprie risorse in quel settore, dapprima sostituendo gli antiquati M48 Patton ricevuti negli anni ’50 dagli Stati Uniti con il K1 88, una versione modificata dell’M1 della Chrysler con armamento potenziato e mobilità incrementata. Quindi a partire dal 1987, ponendo in produzione il profondamente rivisitato K2 Black Panther della Hyundai Rotem, visto all’epoca come un punto d’orgoglio patriottico nonché testimonianza delle nazionali eccellenze in campo ingegneristico e progettuale. Con lo stesso senso d’entusiasmo, inesplicabilmente diffuso tra fasce multiple della popolazione, che sembra aver ricevuto una spinta particolarmente significativa nel corso dell’ultima settimana, grazie alla rivelazione pubblica del passo ulteriore per quanto concerne questo cursus ideale: trattasi nello specifico del K3 (nome definitivo ignoto) un mezzo da combattimento la cui proiezione ipotetica vede l’ingresso in produzione entro il 2040. E che dovrà rappresentare, da svariati punti di vista, il detentore di molti significativi nuovi record all’interno del proprio settore operativo. A partire dal metodo impiegato per la propulsione: non più diesel o altri carburanti convenzionali, bensì le notoriamente volatili celle all’idrogeno, diventando nella straniante realtà dei fatti la prima contraddizione in termini di un veicolo da guerra che NON inquina. Almeno fino alla sempre possibile, quanto mai devastante, deflagrazione finale?
Essendo tale scelta in termini di motorizzazione, inutile in effetti sottolinearlo, motivata solo secondariamente da effettive considerazioni di tipo ecologista. Potendo individuare piuttosto i suoi meriti in una quantità di parti mobili minori una volta superata la fase ibrida teorizzata per il primo prototipo, e quindi affidabilità esponenzialmente migliorata; tempi operativi significativi allungati; nonché soprattutto, un’impronta termica molto minore, il che s’inserisce nel discorso tatticamente rilevante di offrire un’impronta radar sensibilmente ridotta, così da ridurre per quanto possibile la probabilità dell’avvistamento da parte del nemico. Obiettivo, quest’ultimo, effettivamente perseguito anche dalle geometrie ed i materiali della corazza esterna del carro, selezionati al fine di assorbire, piuttosto che riflettere le onde radio degli impianti a lungo raggio, donando all’insieme un aspetto futuristico che sembrerebbe parimenti funzionale a suscitare immagini di avveniristici campi di combattimento del nostro domani. Ricordando in tal senso, incidentalmente, il riconoscibile profilo del progetto del polacco PL-01 (vedi precedente articolo) inizialmente mostrato al pubblico nel 2015 e successivamente accantonato causa l’insorgere di altre necessità di budget. Sebbene sia importante sottolineare come le ipotizzate 30 tonnellate di quel veicolo relativamente leggero dovrebbero trovarsi aumentate almeno del 40% nel caso del successore spirituale concepito in Corea, delineato allo stato dei fatti attuale come un carro da battaglia principale (MBT) da sfondamento, capace di affrontare frontalmente le installazioni di difesa fisse del rivale settentrionale. Ciò mediante l’impiego di un’arma particolarmente temibile: il primo cannone a canna liscia da 130 mm su un carro armato prodotto in serie, laddove la stragrande maggioranza dei veicoli correnti utilizzano i canonici 120, possibilmente comparabile al modello d’arma tedesco Rheinmetall Rh130/L51, montato fino ad ora unicamente a bordo del dimostratore tecnologico KF51 Panther. Con un proiettile la cui massa aumentata dovrebbe, almeno in linea di principio, aumentare drasticamente le capacità di penetrazione.
Altrettanto significative, nel contempo, le nozioni anticipate in materia delle potenzialità di resilienza del futuro conquistatore. Con l’equipaggio di sole tre persone (comandante, pilota, artigliere) situato all’interno di una singola cellula corazzata al centro dello scafo principale, composto da materiali multipli tra cui acciaio, ceramica balistica e plastiche speciali, così da contrastare le diverse tipologie di munizionamento che saranno disponibili sul campo di battaglia dell’immediato futuro. Mentre altrettanto importante, come contromisura, risulterà il sistema di disturbo delle comunicazioni per il controllo remoto dei droni, come ultima linea di difesa di questi nuovi avversari diventati niente meno che cruciali nella pianificazione delle operazioni corazzate contemporanee.
Dal punto di vista di controllo del fuoco, per quanto è stato dichiarato dalla Hyundai, il K3 potrà d’altro canto beneficiare di una comunione di sistemi automatici ed a controllo diretto dell’equipaggio, dalla torretta di avvistamento dotata di mitragliatrice indipendente all’integrazione del sistema di pianificazione delle operazioni C5ISR, teoria multimediale del conflitto integrata ormai da tempo nella dottrina bellica sudcoreana. Mentre particolarmente innovativo, a quanto affermano le press release preliminari, potrebbe rivelarsi l’ausilio al puntamento del cannone principale coadiuvato da un qualche tipo di sistema d’intelligenza artificiale, benché ciò suoni in un certo senso come un tentativo d’incorporare per ragioni di marketing il termine al momento in vetta alle speculazioni tecnologiche del senso comune.
Con trascorsi in termini di progettazione bellica tutt’altro che trascurabili, i massicci conglomerati di quel paese hanno d’altronde largamente dimostrato la loro capacità d’imporsi nel mercato d’armi globali. Avendo esportato con successo, rispettivamente nel 2007 e 2020, significative quantità dell’attuale modello K2 Black Panther per commesse redditizie con Turchia e la stessa Polonia. Il che lascia intuire un’adattabilità possibile a molti scenari di battaglia e territori alternativi, delle particolari potenzialità e dotazioni di un veicolo concepito al fine di operare nelle condizioni altamente specifiche di una deflagrazione del conflitto delle due Coree. Profilando l’ombra di scenari che, nell’attuale situazione geopolitica, appaiono progressivamente più plausibili anche a discapito dei terribili trascorsi del Novecento.
Per quanto possa apparirci terribile la guerra totale tra nazioni contemporanee, ed il punto di non ritorno che tende in via teorica a derivarne, un merito collaterale sembrerebbe quanto meno anticiparla: il modo in cui la mera prospettiva del conflitto possa costituire il fondamento di significativi miglioramenti in campo industriale e tecnologico, sul confine ultimo dell’epoca vigente. Sperando sempre che non giunga, infine, il tragico momento di sfruttarli sul campo.