L’oblunga crepa che divide il territorio arido nel parco nazionale delle Canyonlands

Chiaramente nota tra i pochi cervi del distretto, in mezzo a lievi dislivelli e rocce che compongono un paesaggio brullo e caratterizzante, la linea divisoria ha molto lungamente costituito il “bordo della mappa” per innumerevoli abitanti, forme di vita, creature non fornite della pratica capacità di sollevarsi per andare oltre. Un luogo noto per il modo in cui la luce non riesce a penetrare, tanto da essere chiamato sulle guide o i materiali di supporto: the Black Crack, la Spaccatura Nera. Insolita persino nel territorio dall’orogenesi complessa di un luogo come il parco delle Canyonlands, nella parte meridionale dello Utah non troppo lontano da Moab. Lungo l’arduo tragitto stradale della White Rim Road, per cui si richiedono veicoli speciali ed ancor più rari permessi ottenuti dalla contea. Il che non sembrerebbe aver precluso, a generazioni successive d’escursionisti, l’opportunità di scorgere coi propri occhi l’incredibile caratteristica del paesaggio, diventata celebre negli ultimi tempi per il meme internettiano che tenta d’identificarla come niente meno che la faglia di Sant’Andrea. Accompagnata da didascalie evidentemente fasulle, che parlerebbero di 132 Km di lunghezza e 32 di profondità. Laddove l’effettiva crepa, benché significativa in termini universali, non supera in profondità i 20-30 metri ed ha un’estensione di circa un centinaio nonostante la larghezza sia talvolta inferiore al metro. In molti modi più che sufficiente a creare nell’escursionista tipico quel senso di surreale straniamento, per cui siamo ricorsivamente indotti a confrontarci con le anomalie dei luoghi più quotati o fraintesi al mondo.
Trattasi dunque dell’equivalenza in termini di proporzioni, come ben pochi sono attenti a far notare, del crepaccio glaciale di una zona soggetta a strati di permafrost, il che può risulta senza dubbio rilevante alla questione, considerate le origini sostanzialmente non troppo lontane dovute ad escursioni termiche potenti e reiterate. Sebbene in questo caso, verificatosi lungo l’arco di possibili migliaia di anni sul terreno duro d’arenaria, tanto caratteristico delle regioni del parco. E coadiuvate da forze d’erosione come l’infiltrazione idrica ed il soffio instancabile del vento. Egualmente responsabili, di loro conto, per sculture svettanti come l’iconica Isola del Cielo, il Labirinto e gli Aghi. Benché sia difficile negare il fascino di un tale buco, tanto umile nelle caratteristiche quanto funzionale a generare un ricco repertorio di fantasie. Sulla falsariga di: quanti cadaveri si troveranno là sotto? Quanta spazzatura? Quali creature striscianti ed infinitesimali, come bachi fatti prosperare sui confini di uno squarcio sanguinante, intenti a rimuovere i batteri dalla ferita della Terra stessa…

Risulta importante notare a tal proposito, in modo particolare, la maniera in cui fessure come queste possano essere, in luoghi diversi, anche la diretta risultanza dell’opera dell’uomo. Soprattutto per lo sfruttamento esagerato di risorse come falde acquifere, tale da portare alla subsidenza di intere aree geografiche, fino al caso estremo dei così detti canyon a fessura, da cui partono e s’irradiano aperture ancor più strette dalla natura paragonabile alla Black Crack. Spazi vuoti ed abborriti dai processi geologici del mondo, tanto che saranno inclini in breve tempo a colmarsi nuovamente per l’effetto della sedimentazione. Tutto questo a meno che, in determinate circostanze dove la pioggia è rara e riescono ad esserlo allo stesso tempo i terremoti, il punto critico viene varcato ed ogni crepa nel terreno continua, piuttosto, a propagarsi.
Tanto che dopo aver visto tutte le attrazioni più intriganti di un così vasto appezzamento dello Stato, secondo il piano delineato per la prima volta dal ranger Bates Wilson negli anni ’50 ed approvato nel 1964 dal presidente Lyndon Johnson in persona, innumerevoli persone parrebbero sentirsi obbligati durante il corso della stagione alta a scattare quel genere di foto antologica, concettualmente non distante dall’appendersi sotto i macigni con lo scherzo di una prospettiva o il tipico turista che regge la torre di Pisa. In cui ci si approccia d’altro canto in questo caso ad un pericolo reale, per i saltatori, equilibristi, seguaci del solenne ed inevitabile appel du vide, di una spaccatura teoricamente in grado di mietere più di una singola vittima umana, da inserire a pieno titolo all’interno del catalogo dei 26 decessi avvenuti nel territorio delle Canyonlands tra il 2007 ed il 2023. Laddove di un tipo maggiormente strutturato ed altrettanto valido, nel contempo, può essere definita la spedizione speleologica effettuata nell’ormai remoto 2013 da Kirsten Bahr e colleghi dell’Università dello Utah, rivelatasi capace di scoprire in un recesso estremo della spaccatura il punto d’ingresso per quella che sarebbe stata in seguito chiamata Heaven’s Gate (la Porta del Paradiso) una vasta camera alla profondità di circa 60 metri con il soffitto ornato dagli strati successivi dell’orogenesi laramide, un lungo processo di movimentazione e scultura del suolo verificatosi tra gli 80 ed i 55 milioni di anni fa. Caratteristica osservabile, da tale punto di vista privilegiato, indipendentemente dall’antichità della spaccatura in questione, nella realtà dei fatti e con alto grado di probabilità non più antica di “appena” qualche migliaio d’anni.

Un pericolo latente dunque, se vogliamo, nell’epoca di Internet in cui luoghi come questi sono rapidi nell’acquisire un certo tipo di persistente, quanto problematica celebrità tra i molti strati di popolazione digitalizzata. Incluso quel tipo di eterni protagonisti, pronti a mettere in pericolo se stessi o gli eventuali soccorritori, soltanto per acquisire qualche valido minuto di celebrità nel grande mare delle moltitudini indifferenti. Finché un passo falso, uno soltanto, finirà per mettere l’attore di traverso nel pertugio esiziale. Ove soltanto essere sufficientemente sovrappeso, per una volta, potrà rappresentare il seme della sua salvezza. Ma uscire da una situazione simile non è mai facile, contrariamente a quanto vorrebbero farci pensare plurime generazioni di romanzi di avventura e l’opera dei diaristi inclini a minimizzare. Perciò come in ogni altra circostanza, ci vorrebbe il giusto grado di rispetto e prudenza. Due termini che sono come l’acqua santa, di fronte al piccolo demonio della perversione che anima gli esecutori di determinate fotografie. Con un vantaggio inerente, almeno in questo caso: qualora il telefono cellulare gli sfuggisse dalle mani, nessuna piattaforma potrà costituire l’esca intermedia di malaugurate escursioni atte a recuperarlo. Quando precipitato nell’oscuro abisso, diventerà immediatamente un mero e irraggiungibile ricordo. Ah, il rimorso! Se soltanto fosse possibile provarlo prima, invece che dopo, il verificarsi di determinati ed altrettanto evitabili frangenti.

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