Sgommando sui tricicli a quasi 100 km/h

Drift Trikes

Vivere sulla strada residenziale più ripida del mondo è una di quelle condizioni con molti lati positivi (prestigio durante le cene con gli amici, la stima incondizionata di chiunque compri e legga il Guinness dei Primati) e almeno un paio di piccoli problemi, in qualche modo superabili con l’abitudine che viene dalla quotidianità. Il primo e più significativo resta, senza ombra di dubbio, questo ritrovarsi meta dei pellegrinaggi di chiunque, e voglio dire assolutamente qualsiasi singolo individuo, abbia sviluppato negli anni il senso ed il bisogno di essere anche lui, personalmente, iscritto negli albi e negli annali delle Prime Cose. Primo ciclista, podista, alpinista, apri-pista…In grado di scendere/salire/misurare la via innegabilmente unica con il suo mezzo o metodo di preferenza. Una sinistra geografia, di ruote scatenate eppure competenti, pericolose imprese in grado di configurarsi come stelle o meteore di metallo, con la prua orientata verso la destinazione; che può essere anche la cima, previa aggiunta di un potente turbocompressore. Ed occhi tutti attorno al casco, questo si, ma l’inerzia! È una crudele signora, per usare un modo di dire mutuato dalla lingua inglese. E dunque non si attraversa mai, la celebre location di Baldwin Street a Dunedin, presso l’Isola del Sud della Nuova Zelanda, senza aver guardato attentamente da entrambe le parti, per poi guardare ancòra un’altra volta, gli occhi strabuzzati dal terrore. Quindi si percorrono quei pochi metri, sperando che non sia “uno di quei giorni.” vedi ad esempio lo scorso 19 aprile, quando Harley Jolly, 23 anni, Tyson Bar, 19 e Nic Roy, 18, hanno percorso i 354 Km che separavano la loro nativa Christchurch da questo améno luogo per percuoterlo, anzi percorrerlo, grazie all’uso di un veicolo relativamente inaspettato: il triciclo. Ma non uno (tre) di essi esattamente come gli altri; sarebbe a dire affine alla visione che noi europei, e invero buona parte del residuo mondo, ci teniamo a conservare del tipico balocco veicolare, ausilio alla crescita stradale dei bambini. Bensì la versione ultramoderna e perigliosa della stessa cosa, uno di quegli incredibili arnesi, spesso saldati in casa a partire da una o due mountain bike (Frankenstein-Pokemòn insegna) non tanto per l’acquisizione una migliore stabilità o facilità d’impiego, quanto per enfatizzare una dote tra le maggiormente eclettiche ed inaspettate: la capacità/voglia di spostarsi di traverso, effettuando l’equivalente muscolare della motoristica sgommata. Purché si possa ancora parlare di un simile concetto, che dovrebbe implicare il làscito di segni neri sull’asfalto, quando punto fermo e fondamento stesso di questa versione più economica di un tale sport, non necessariamente meno pericolosa, è il gesto improbabile di prendere due su tre ruote, quelle posteriori per inciso, e incapsularle in altrettanti tubi in polietilene o PVC; in parole povere, la plastica rigida, che ben risultando resistente ed affidabile, non ha certo ottime doti di aderenza al suolo. E a chi interessano, del resto? Chi vorrebbe andare semplicemente giù per la discesa, senza i presupposti di agitarsi e compiere almeno un paio di spericolate rotazioni?
I tre giovani scavezzacollo, appartenenti al gruppo autogestito degli SLIDE Christchurch, hanno così intrapreso e dominato quel percorso lungo approssimativamente 350 metri, che è stato negli anni teatro d’innumerevoli particolari eventi. Tra cui quello annuale a scopo di pubblicità e beneficenza, particolarmente stimato dai bambini, che consiste nel far rotolare fino a valle alcune centinaia dei cioccolatini tondi della marca Cadbury, scommettendo su quale sarà il primo a varcare la soglia del traguardo. Quella si, un’impresa per definizione senza freni. Mentre loro, che ammettono liberamente a Radio Live NZ di aver soprasseduto sulla richiesta di permessi alla comunità, appaiono in ogni momento mantenere il pieno controllo della situazione, mentre i rimanenti membri del corposo team, disposti ad intervalli regolari con telecamere e sguardo puntato sulla scena, si preoccupavano di segnalare il pericolo a malcapitati uomini o animali di passaggio. Eventualità che fortunatamente, o per attenta pianificazione, mai sembra palesarsi in alcun modo. Del resto, non si attraversa la strada residenziale più ripida del mondo così, senza pregare raccomandarsi prima alla natura.

Drift Trikes 3
Questa affascinante sequenza di drifting montata dalla Kuma Films dimostra una diffusione della disciplina, dalle sue origini presso il continente australiano, verso tutto il sud-est asiatico e fino all’aria cinese, in particolare sulle ripide colline dell’isola di Taiwan.

Una ruota è solamente strana: ce l’ha soltanto il clown del circo, mentre si tiene in bilico sopra una corda, facendo piroettare quei birilli in alto sopra la sua testa. Due ruote, un classico: quante gare di moto, ed il ciclismo degli eroi delle salite. Le due ruote sembrano, fra tutte le varianti, quella maggiormente affine al veicolo pensato per lo sport. Quattro ruote diventano più ponderose, certo, eppure utili allo scopo. Ce le hanno i nostri autoveicoli di tutti i giorni, ma anche quelli più specializzati, pensati per svolgere mansioni utili, quali consegna delle merci, ritirar la spazzatura. Sopra quel numero, si entra nel regno dei mezzi super-pesanti, i camion sulle superstrade, i treni e i carri armati. Ma chi ne preferisce tre, che è il numero perfetto, esula tendenzialmente dalla classificazione. Forse perché è dispari quella cifra, una condizione che mal si associa alla versione artificiale di quel che varca le remote soglie, percorre il mondo coi suoi spostamenti. Ovvero l’animale-uomo, per sua imprescindibile predisposizione, da sempre simmetrico e bilaterale. Mentre il triciclo nella sua accezione più moderna e avveniristica corre, si, ma in un modo non particolarmente efficiente o funzionale. Sembra quasi che il suo scopo sia slittare, nonostante tutto, allo scopo di dare un senso all’esistenza di chi ha voglia di provarci. Ne esistono diverse varianti, non soltanto motorizzate o meno, ma spesso anche private dei pedali. La massima fonte d’energia motoria, in effetti, per un drifter di questa particolare classificazione, resta sempre l’effetto della gravità, utile a raggiungere delle accelerazioni pericolosamente prossime alla velocità terminale (di un assembramento uomo-macchina che si sposti su un gradiente, s’intende). Quale miglior luogo, dunque, che una strada di montagna, come quella del video cinese della Kuma Films, così apparentemente ispirato all’opera del regista degli sport estremi Devin Super Tramp, ovvero un luogo presso il quale, soprattutto, non sussista il rischio di colpire un’auto parcheggiata, con le prevedibili conseguenze di una tale circostanza. Eventualità tutt’altro che inaudita presso la Baldwin Street neozelandese, presso cui nel marzo del 2001 una studentessa della vicina università giunse purtroppo a perdere la vita, durante la discesa effettuata con un’amica a bordo di un cestino della spazzatura con le ruote. A volte l’unico valido consigliere è il proprio buon senso, o la fiducia che siamo disposti a riporre negli pneumatici che ci trasportano a destinazione. Certamente giustificata, nel caso dei tre coraggiosi della crew SLIDE. Certamente, giusto, nevvero?

Drift Trikes 2
In assenza di pedali, il metodo preferenziale di locomozione in situazioni pianeggianti diventa la spinta diretta di una gamba, mentre ci regge al manubrio in posizione prona. Alcuni trikers scelgono di tagliare figurativamente la testa al toro, includendo un motorino elettrico nel loro mezzo di trasporto.

Difficile capire quanto dell’attuale Rinascimento degli sport cosiddetti estremi, o come si usa dire più recentemente “d’avventura” sia un prodotto della cultura individualista dei nostri giorni, e quanto invece provenga dal bisogno istintivo di apparire, grazie al nuovo contesto tecnologico di Internet e telecamere pronte per ogni situazione. Mentre resta chiaro che il mondo di questi nuovi tricicli d’assalto, più o meno concepiti per sgommare, sia una sotto-cultura fatta per durare, ben radicata nel suo obiettivo d’origine, ovvero allargare a tutti l’esperienza di raggiungere velocità considerevoli ma di traverso, mantenendo il controllo del proprio veicolo per un tenue filo: una forma d’arte che nasce nell’automobilismo giapponese, giungendo a lasciare il segno nella controcultura di una buona parte del resto del mondo, Nuova Zelanda inclusa. I tre della ruota selvaggia, nelle diverse interviste rilasciate ai media negli ultimi giorni, hanno già collegato il proprio gesto, certamente sregolato, a un desiderio di far riconoscere la propria attività come una forma nascente di sincera disciplina, per certi versi affine al ciclismo, in se dotata di quel grammo di prestigio che deriva dalla rimozione dell’indesiderabile aggettivo dopo la parola pura e semplice, Sport.
Una dignità che il trike drifting indubbiamente merita, ma che forse non gli è dopo tutto necessaria. Nessuno si sognerebbe il base jumping, il funambolismo o la tuta alare alle Olimpiadi, eppure non mi pare che ciò abbia mai messo in dubbio l’importanza di chi ne ha fatto il proprio stile di vita…

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