Il ruolo dell’ala pieghevole nella storia dell’aviazione

Tempo di pace, tempo di guerra. Se anche i totalitarismi sembravano al momento un ricordo lontano, mentre la guerra in Corea soltanto una remota ipotesi dei politologi più pessimisti, le manovre in mare non potevano in alcun cessare. Ogni momento era prezioso, ogni esperimento, potenzialmente risolutivo. L’aviere numero 8 imbarcato sull’eccellente portaerei di Sua Maestà Illustrious, nave dalle molte imprese in epoca bellica, sapeva perfettamente che cosa stava vedendo, eppure non riusciva ancora a capacitarsene in nessun modo. Dalle profondità del ponte-hangar, emerso sull’ascensore elettrico, c’era il più singolare aereo che avesse incontrato nella sua carriera. Temporaneamente reso simile a un elicottero disegnato sui codici di Leonardo da Vinci, ma ancor più vicino ad un insetto appena emerso dal suo bozzolo, le ali ripiegate sopra il dorso in attesa che la luce del sole potesse, al più presto, riuscire ad asciugarle.
Era il 19 settembre del 1949, data destinata a rimanere negli annali come primo volo del Fairey Gannet, nuovo aereo anti-sommergibili del rinomato produttore aeronautico di grandi successi bellici come il biplano aerosilurante Albacore (1938) e il bombardiere Spearfish (1945). Nonché l’ultima espressione britannica di un concetto tipicamente statunitense, l’idea di Leroy Grumman che si diceva avesse singolarmente cambiato il destino dell’epocale guerra nel Pacifico, quando il suo paese dovette affrontare un nemico nipponico già più largamente insediato, ed asserragliato, con una disposizione capillare di campi di volo disseminati lungo centinaia di migliaia di miglia di mare. Stiamo parlando, ovviamente, dell’unico possibile approccio al problema di massimizzare la quantità di aeromobili per il limitato spazio a bordo, il quale risultava tutt’altro che ignoto alla Royal Navy. Avendo essa stessa già ricevuto, nel 1940, più di un esemplare del risultante velivolo, il caccia di nome Wildcat, ribattezzato per l’occasione Martlet. Per non parlare di come anche la Fairey avesse già costruito un modello di aerocombattente, il Firefly, dotato dello stesso sistema brevettato dall’americano in questione. Un meccanismo noto come Sto-Wing a cui, secondo la leggenda, Grumman era giunto facendo esperimenti con una gomma da cancellare ed un paio di graffette infilate e fatte roteare, rispondendo alla domanda: come è possibile togliere di mezzo le ali, con un singolo perno di rotazione? Da cui conseguì l’idea secondo cui l’unico modo possibile fosse sollevare ed avvicinare le stesse in senso verticale, essenzialmente riprendendo la metodologia naturalistica di un qualsivoglia uccello terrestre. Un sistema valido, ma problematico. Poiché operando con tolleranze tanto insignificanti, questi aerei richiedevano spesso l’aiuto manuale di un addetto di terra, che aiutasse l’ala a dispiegarsi e bloccarsi adeguatamente. Tanto che una vista comune, sul ponte di volo delle portaerei inglesi ed americane, sarebbe diventato un manico di scopa, usato per dare l’ultima spinta agli apparecchi più recalcitranti. Tempo di evolversi? Tempo di cambiare?
La storia non ricorda il Fairey Gannet come un aereo militare alla storia particolarmente gloriosa. Esso mancò di essere coinvolto in operazioni di particolare rilievo, per lo meno note al pubblico, prima di essere rimpiazzato nel suo ruolo dal Breguet Atlantic nel 1966. Eppure in quel momento della storia dell’aviazione, all’inizio degli anni ’50, esso fu significativo come prima espressione non più americana di un nuovo approccio alle ali pieghevoli, già visto nei due aerei post-bellici Douglas A-1 Skyraider e il McDonnell F2H Banshee (uno dei primi jet prodotti in serie) che prevedeva la chiusura delle stesse con un semplice sollevamento verso l’alto, in una maniera che tendeva a dargli, una volta parcheggianti, l’aspetto di un perfetto triangolo con le ruote. Ma l’aerosilurante aveva un ulteriore segreto. Poiché in funzione della sua stazza significativa (16,56 metri di apertura alare) si era dovuto affrontare un problema relativamente nuovo: come evitare che diventasse, una volta ripiegato, più alto di una torre di assedio medievale. Così fu deciso che le sue ali si sarebbero piegato non una, bensì due volte. Ma abituarsi alla vista di una simile stranezza, con doppia Z di Zorro in posizione raccolta sopra la splendente carlinga, non era per niente facile…

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