Uno degli aneddoti militari di maggior rilievo collegati alla figura del condottiero samurai Toyotomi Hideyoshi, secondo dei tre unificatori del Giappone, ne vede la capacità di leadership ed organizzazione esaltata da una singolare contingenza. La necessità espletata da costui, all’epoca noto semplicemente come Kinoshita Tōkichirō, di costruire una fortezza temporanea lungo il fiume Sunomata, all’alba della battaglia di Inabayama del suo signore Oda Nobunaga contro il clan rivale dei Saito. Mansione portata a termine, secondo i resoconti storiografici, nel giro “di una singola notte” così che il nemico, pronto al contrattacco prima di trovarsi accerchiato, si trovò in effetti innanzi a solide pareti sormontate da schiere d’arcieri. Questo grazie al trasporto sul posto di singoli elementi prefabbricati, assemblati con l’aiuto di maestranze locali al servizio di Hachisuka Koroku, un signore locale che aveva posto la propria bandiera al servizio del mutamento dei poteri in atto nella nazione. Ma come, esattamente, fu possibile portare a termine una tale impresa? Ed in quale modo, esattamente, i componenti del massiccio edificio raggiunsero quel sito ad un ritmo tanto accelerato? A una disanima più approfondita delle circostanze, entrambe le domande sembrerebbero avere la stessa risposta. Riassumibile nel termine specifico di ikadashi o maestro delle zattere, una figura tecnica la cui importanza sembrerebbe essere andata perduta tra le pagine della storia, all’introduzione di strade asfaltate, mezzi di trasporto a motore ed altri apparati simbolo della modernità. Altrove ma non dovunque, con specifico riferimento a una preziosa tradizione custodita dal villaggio di Kitayama, nella prefettura di Wakayama situata a circa 200 Km di distanza dal sito di quell’antica battaglia. Un tragitto lungo per molti ma non loro, i cavalieri di un leggendario mezzo di trasporto da fino a 30 metri di lunghezza costituito da serie successive di tronchi legati assieme, noto come zattera toko nagashi proprio perché affine, concettualmente, all’aspetto ancora ipotetico di un treno dai molti vagoni. Ciascuno dei quali ospitante, o costituito esso stesso, da pregiati tronchi di cedro, l’albero principale raccolto dagli yamanashi, boscaioli di montagna tra i più abili praticanti della silvicoltura nel Giappone pre-moderno. Da un periodo stimato di circa 600 anni, facendo della loro tecnica, e quella strettamente interconnessa del trasporto fluviale, una delle tradizioni doverosamente iscritta al gremito elenco dei beni immateriali ed in senso più specifico “forestali” di un paese che non ha mai perso il contatto con la propria storia. Facendo affidamento, in modo alquanto prevedibile, a quella risorsa del tutto insostituibile a tal fine del turismo istituzionalizzato, grazie ad un’attrazione particolarmente celebre di quel centro abitato, oggi costituente un’atipica enclave amministrativa all’interno del proprio distretto geografico d’appartenenza. Ove si offre l’opportunità, a coloro che ne hanno il coraggio, di cavalcare uno dei sette doko facenti parte di toko indubitabilmente imponenti, all’interno della stretta e tortuosa gola del Doro sul vicino fiume Kitayama. Un’attività giudicata un tempo tanto pericolosa, da essere vietata ai figli primogeniti di ciascuna famiglia…