Candide sequoie, mai morenti: l’albinismo della clorofilla può giocare strani scherzi

Flessibile? Immutabile? Scolpita nella pietra? La “dura” legge della natura, che ogni evento regola negli ambiti di tutto ciò che è animale, vegetale e minerale, può sembrare da vicino la robusta imposizione di una mente autoritaria, co-Lui o co-Lei che ha messo in moto gl’ingranaggi, scrutando in giù con sguardo critico ed intervenendo periodicamente per rimettere le deviazioni non autorizzate. Un certo margine resta d’altra parte l’appannaggio, di tutte quelle creature che in determinati modi riescono ad interpretare quella disciplina giuridica, modificando i termini di tale accordo mai scritto, per piegare ai propri desideri la tanto spesso imperscrutabile catena degli eventi. Cosa potrebbe mai esserne, altrimenti, dell’Evoluzione… Un nugolo di mosche contenute in un barattolo, che agognano a volare verso la luce. Ma nella tenebra di una notte senza Luna o stelle, quando quel coperchio viene sollevato, alcune di loro volano perfettamente verso l’obiettivo; altre, finiscono per congelarsi dentro il vuoto siderale. Ed alcune, forse quelle dal destino meno chiaro ed evidente, riescono a fluttuare parallelamente lungo il termine perimetrale tra i due mondi. Né morte, né realmente “vive” nella stessa maniera dei loro simili, ma un qualcosa d’intermedio tra i due estremi possibili dell’esistenza.
Camminando silenziosamente in mezzo ai boschi più svettanti della California, particolarmente quelli delle Riserve Nazionali delle Sequoie di Henry Cowell e Humboldt, può effettivamente capitare di trovare a chiedersi che cosa, nei fatti, serva dal punto di vista concettuale per riuscire a definire una pianta… Nel preciso momento in cui ci si dovesse trovare al cospetto di uno di quei circa 400 esemplari allo stato brado, la cui colorazione totalmente priva di tonalità tendenti al verde rende fin troppo chiara l’incapacità di generare la clorofilla. Casistica decisamente più rara e biologicamente problematica, rispetto alla semplice assenza di melanina negli esseri umani (o altri animali) poiché in grado di ledere la produzione stessa degli zuccheri a partire dalla luce solare, un processo metabolico assolutamente primario nelle piante, soprattutto quelle in grado di raggiungere e superare in potenza i 115 metri d’altezza con il proprio tronco ruvido e prezioso. E soprattutto il secondo di questi due aggettivi è stato strettamente associato alla storia moderna di questi alberi dal nome latino di Sequoia sempervirens, ma quello anglofono redwood, direttamente derivato da quel legno resistente agli elementi, la marcescenza e persino il fuoco degli incendi, usato per lunghi secoli in multiple branche dell’architettura statunitense. Laddove gli alberi dal colorito pallido, di contro, avevano conservato almeno in parte quel ruolo sacrale cui erano stati elevati nel sistema di credenze dei Nativi, vedi il caso della tribù dei Pomo, che era solita impiegarli nei propri rituali di purificazione. Con l’avvento e il progressivo propagarsi del metodo scientifico, quindi, l’Accademia avrebbe fatto il possibile per continuare a preservare queste interessanti mutazioni, la cui stessa esistenza avrebbe potuto costituire un enigma in grado di alimentare uno stato di perplessità costante attraverso il trascorrere delle generazioni. Se non fosse stato per la conoscenza largamente acclarata di una delle speciali caratteristiche della sequoia californiana, ed in particolare la fonte principale la sua arma segreta contro ogni tipo di evento distruttivo, vedi gli incendi boschivi causati dai fulmini, o altri processi dalle origini più o meno naturali…

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