Ore giapponesi col caimano

Caiman kun

In questo segmento televisivo giapponese viene dimostrata la giornata di un imprenditore con un animale veramente inusuale. Caiman-kun, questo il suo nome, vive placido e sonnolento. Gira a passeggio, incontra i bimbi delle elementari, dorme sotto il tavolo senza mai abbaiare. Chi l’avrebbe mai detto? Non c’è neanche l’ombra di un problema, a vivere con un caimano dagli occhiali.
Per alleviare le dinamiche della frenetica vita moderna, nulla supera un amico a quattro zampe. Ciò vale in ogni luogo, per qualunque popolo e cultura, benché il contesto voglia sempre avere la sua parte. In Giappone, lo spazio relativamente limitato delle abitazioni negli spazi urbani, i molti impegni di lavoro, nonché un senso di responsabilità verso il proprio status pubblico e privato, porta spesso a scegliere animali domestici piccoli, compatti e indipendenti. Come il rossiccio shiba inu, quel cane di recente asceso nell’Olimpo dei più amati personaggi internettiani. C’è però un problema, particolarmente sentito in quel paese, molto più che altrove: come calibrare la durata della vita dell’amato beniamino, allo scopo di evitare spiacevoli sorprese? È spesso capitato, ai proprietari di un qualunque gatto giapponese, che questo sia vissuto troppo a lungo. C’è una precisa gerarchia di gravi conseguenze, in tutto ciò. Un po’ come per i gremlins.
Ecco, dunque, diciamo che il vostro micio sia vissuto fino ai 10 anni. Non è affatto raro e poi, comunque, a quel punto l’animale sarà diventato vostro amico. Niente paura. Il comune felis silvestris non è come la volpe malefica ninko, che assume a piacimento le sembianze degli umani per causare gravi inconvenienti, né del resto mostra i vizi dell’incorregibile tanuki, cane-procione dai testicoli giganti, famoso per il modo in cui trama imbrogli ai danni degli incauti viaggiatori. I gatti non fanno passare foglie d’acero per banconote. Né mai potrebbero…Almeno fino a quel traguardo, della decima primavera. Perché allora gli si biforca la coda e diventano dei nekomata, spiriti sciamanici pericolosi. Quando i morti camminano nel buio della notte, risorgendo barcollanti dalle tombe, la causa non è il virus degli zombies. Molto più facile che il gatto ci abbia messo lo zampino. Ma il peggio avrebbe ancora da venire. I nekomata sono longevi, molto più del proprietario. E quando questo muore, diventano dei mostro-gatti, ovvero bakeneko.

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Lettera d’あmore dal Giappone

Kenta Watashima

Come abbaìno, abbruciacchiato, allofono ed affranto. Chi ha avuto, ha avuto, aha, voluto. Mai dato, solo ricevuto. AAAaah come Arduino d’Ivrea, coraggioso Re d’Italia verso il primo volgere di un’era millenaria. Che rivive casualmente nell’idea, oltremodo interessante, di un’artista d’altre terre, d’altromondo: Kenta Watashima, programmatore. Vuoi scoprire la ragione? Sarà un lungo viaggio. Per prima cosa, traccia il segno della croce sopra un foglio, però inclina il tratto verticale verso destra. Quindi, muovi il tuo pennello in una virgola parecchio generosa, che giunga lietamente fino alle sue estreme conseguenze. Tonda come il sole, vasta quanto il mare. Possa ricordare un’alfa col cimiero, questo simbolo che viene dal Giappone. Ma non è un grecismo, nossignore: così comincia una scrittura fatta dalle foglie. Metti che un popolo guerriero proveniente dalle steppe della grande Asia, avesse costruito dei tumuli sull’arcipelago del regno di Yamato. Pieni di tesori nazionali. E diciamo pure che costoro, stanchi di dover tracciare gli ardui simboli di un alfabeto troppo arcano, per ipotesi, avessero deciso di semplificarli. Quando questo avvenne, non è chiaro: forse intorno al quinto secolo, oppure poco dopo. La risposta è tutta nella datazione di una spada. L’arma del guerriero Wowake, che gli amici usavano chiamare, per far prima: Ōhatsuse-wakatakeru-no-mikoto. Altro che: “d’Ivrea”.
Costui ebbe a ricevere un bellissimo sepolcro presso l’odierna prefettura di Saitama, con il beneplacito del gran signore Waka Takiru, uno dei protagonisti degli annali mitici del Nihon Shoki. Sia chiaro come fossero, tali testi coévi, tutti scritti nella lingua classica importata dalla Cina. Così era l’usanza, nulla più. Finché proprio quel guerriero, giusto sul volgere di un grande giorno, ricevette in dono un’arma in ferro e magnetite meteoritica, la spada che oggi chiamano col nome del suo tumulo: Inaryama. Che fu scavato solamente nel recente ’68, scoprendo, con somma meraviglia, come sulla lama fosse inciso un lungo testo descrittivo. Scritto in lingua puramente giapponese (infine!) Con un metodo che viene detto: man’yōgana. Tale sistema corsivo, basato sempre sui caratteri del continente, li allegeriva però dal significato originario. Dunque, alla dicotomia di un carattere=una parola, a partire da quel giorno, se ne affiancò un’altra; in cui una lettera, da sola, poteva voler richiamare: una sillaba soltanto. Ah! Ah!

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I due draghi marini della Baja California

Oarfish

Parola di Giobbe: “Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso di unguenti. Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura. Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le bestie più superbe.” Che fine ha fatto il signore dei serpenti marini? Al volgere del ciclo dei millenni, la ruota dell’evoluzione batte contro le creature dalle dimensioni troppo grandi. Stridendo annienta i mostri, abrade le altere maestà. Un tale mulino ruota per l’effetto cosmico di venti senza posa, che portano a disperdersi le polveri dei regni decaduti. Guardiamoci intorno, suvvia: non delle poderose proto-scimmie è stata questa Terra, ma degli ominidi che seppero assemblare aratri, frecce o spade. Con mani affusolate, molti neuroni e decisamente meno muscoli o per lo meno: un equilibrio tra le parti. E discendendo ancora in questo abisso di epoche lontane, il tirannosauro venne sorpassato da pidocchi e topolini, giusto mentre il quetzalcoatlus laciava il passo ai passeri di antiche primavere. 100, 1000 per ciascuna impressionante serpe alata. Le moltitudini fameliche, per quanto deboli individualmente, vincono da sempre sui giganti. Questo, ad ogni modo, non  li rende meno spaventosi.
La data è il 7 aprile scorso, il luogo: una non meglio definita località della penisola della Bassa California. Canoe gialle solcano le onde, mentre adulti avventurosi, telecamere alla mano, cercano l’avvistamento più notevole della giornata. Sono i partecipanti a un’escursione naturalistica organizzata dal celebre Shedd Acquarium di Chicago, che li ha portati all’altro capo degli Stati Uniti, insieme a un team di esperti etologi per far da guida. Quella mattina, ancora non sapevano la loro buona sorte. Sull’inizio del video, infatti, la combriccola scorge due ombre sinuose tra le acque basse della costa. Sono lunghe circa cinque metri l’una, hanno una testa affusolata con un vistoso ciuffo rosso, la lunga pinna mobile che gli percorre tutto il dorso. Si tratta di una coppia di rari regalecidae, giunti fino a riva, probabilmente, solamente per morire. Oppure, come da credenza popolare, per l’incipienza di un pesante sisma. Stupida superstizione! Sarà stato solamente un caso, se pochi giorni prima c’era stato il terremoto ad Orange County.

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Cosa fanno i gatti con la carta

Bashibashi cat

Una fissazione, la diabolica ossessione del felino che muove le sue zampe di continuo, destra e poi sinistra, quindi destra, sinistra, dunque destra e così via. Gli occhi aperti, spalancati, rilucenti di un bagliore strano. Dato da una droga, il gesto di chi scava senza mai fermarsi, suggestione di epoche lontane, mummie o faraoni e tette da succhiare… Sotto al gatto, caso vuole, può esserci di tutto ed anche più: una tiepida coperta casalinga, la madre col suo latte, la gamba umana, il braccio del padrone e poi magari la lettiera appena usata, se la giornata parte male. La testiera, per analogia. Su e giù, ancora una volta. Una tastiera immaginaria? Su cui scrivere pensieri senza senso, letteratura dei mammiferi flessuosi? Perché lo fanno? Conoscere una bestia fin dall’epoca neolitica, venerarla, persino, metterla sul piedistallo del pensiero e… Ancora non capire cosa pensa. I mici sono misteriosi. Avevano ragione gli stregoni e i fattucchieri egizi, a metterli fra i libri ed i grimori di epoche perdute.
Bibia è la gatta dal padrone giapponese, alias tamaonyada, che ha messo in relazione due concetti molto differenti. Si, anche un quadrupede può farlo. Il primo è proprio quello lì, citato in apertura. L’impastare che da secoli perplime gli studiosi comportamentali, un tratto inconfondibile dell’animale felis catus. L’altra sua pratica del quotidiano, invece, potrebbe dirsi molto umana. Sarebbe come leggere il giornale, ma non per comprendere gli articoli, bensì per darsi un tono. Non per niente la chiamano la bashi bashi cat. Beh, in parole povere, la sua storia va così: probabilmente incitata dai suoi coinquilini umani, tale beniamina si è creata un singolare passatempo. Battere coi polpastrelli, ritmicamente, su qualunque cosa piatta e lucida gli capiti dinnanzi. Pagine di una rivista, possibilmente, oppure quotidiani, buste di cartone, di plastica, volantini e fogli con gli appunti. Non è chiaro, a conti fatti, quanto sia sentita questa compulsione, oppure il gioco di qualche momento passeggero. Ma nel giro di un paio di minuti appena, passando rapidamente da una scena all’altra, ci si forma l’immagine di una gatta affetta dai sintomi dell’OCD (disordine ossessivo compulsivo). Questo non sottintende, necessariamente, un qualche tipo d’ansia o di disagio. La follia di alcuni è un dono della mente per pelosi abitatori della casa. Basterebbe, in ogni caso, non esagerare…

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