Spararsi una birretta in senso letterale

Hey Pass Me a Beer

Vola, canzone dei Bee Gees, trasmetti la novella in giro per il mondo. Poesia mia, possa il dio Apollo trasportarti sul suo carro celeste verso le biblioteche e le magioni letterarie. Colomba della pace, imponi la tua candida presenza sulle moltitudini agitate. Stella cometa, triangola la posizione di Betlemme! È letteralmente fondamentale, del resto, che taluni messaggeri siano al di sopra dalla necessità di camminare. Angeli & Demoni & altre categorie…Dal grado variabile di ragionevolezza. Nella mitologia tratteggiata da Virgilio nell’Eneide, la Fama, quella risonanza delle gesta umane, sarebbe stata una creatura simile ad un mostro uccelliforme, che nascondeva sotto le sue piume centinaia d’occhi, orecchie e lingue per parlare. Che orrore! Già i Latini conoscevano il concetto d’Eteri, sostanze impalpabili attraverso cui si propagavano le soggettività. Mentre noi, oggi, letteralmente li mettiamo a frutto, per motivi largamente commerciali. Guardiamoci intorno, qualche volta, tanto per cambiare: proiezioni di onde radio che grondano messaggi pubblicitari. Servizi GPS che tracciano precise linee dai satelliti geostazionari. E poi gli ideali lanci di prodotti, fondamento stesso dell’economia di massa. Il marketing è fatto in questo modo: se vuoi trafiggere il bersaglio, dovrai cercare di far colpo. Proprio per questo, Internet è ricca di persone che si danno da fare con delle prove d’abilità assai particolari. Il loro campo è un’arte soave quanto antica: il tiro al bersaglio. Tutto ebbe inizio 2012 con due cugini del Milwaukee, Jake e Jack, alle prese con lattine straordinarie, per uno sketch del celebre provider d’intrattenimento Funny or Die.
Per la cultura popolare festaiola, assai probabilmente, non c’è Etere più significativo della birra. La troviamo celebrata nelle scene cinematografiche, nelle serie TV americane o in certi tipi di fumetti, come nettare che preannuncia l’ora della ricreazione. Agli adulti con la testa sulle spalle, appesantita da roboanti responsabilità, basta berne un sorso per ri-trasformarsi in ragazzi pieni d’entusiasmo, pronti per guardarsi la partita o mettersi di fronte all’ultimo bizzarro videogame venuto dal Giappone. Questa gloriosa, irreprensibile Fama della birra, si riflette dunque nello stile promozionale delle compagnie produttrici, un po’ epico e allo stesso tempo dotato di una fondamentale componente: il naïf, la teorica spontaneità.

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Se il maiale miagola con la pianola

Thimble Mini Pig

Non tirategli il salame, a questo strano cane! / Stamattina il contadino /nello spiazzo del pollame / ci ha piazzato un botteghino / per fornire al suo reame / un concerto ammaliatòre /del premiato maialino / trionfatòre dell’esame. Aw, yiss, pura poesia dinamica, nenia saltellante in chiave di violino. Thimble fa di nome, questa artiodattile ungulata, dall’ugola dorata. Ebbene si, sarebbe poi una lei. Peccato non facesse rima, la maiala concertista. Personaggio degno di candidarsi come protagonista del nuovo film Pixar, se non fosse, molto chiaramente, fatta tutta-tutta in carne (mmm) ed ossa. Perché del porco non si butta nulla! Tanto meno l’affetto che può darti e il suo talento, se soltanto gli offri il modo di conoscerti un po’ meglio. Sono animali intelligenti, questi qui, adattabili e testardi. Proprio-come-noi-potenti-umani, sissignore. Che siamo tanto tesi a criticare certe scelte alimentari di paesi assai distanti, da non renderci conto che anche il tipico suino è ricettacolo di un’augusta e magnifica beltà.
Oltre che bontà – per l’appunto, proprio perché impara dalle circostanze. La caratteristica dei video internettiani, per loro immancabile definizione, è la tendenza a scomparire verso il basso delle pagine virtuali. Sempre più lunghi e articolati, blog e siti pluriennali si riempiono di cose nuove, immancabilmente affascinanti e soprattutto diverse, travolgenti, senza veri precedenti. Tutto scorre per sparire, un tragico e spietato giorno dopo l’altro.  Ma, visioni come queste. Restano. Tutta la vita! Thimble zampetta sul suo piccolo strumento, presso il giardino dei Diamond Bar Kennels, istituzione che teoricamente alleva e addestra purissimi labrador di razza. Però ecco, questo particolare esemplare… Potrebbe essergli uscito un pochettino strano. Oppure oibò, sara un incontro non previsto. La titolare del canale YouTube rilevante all’occasione, che per l’appunto si fa chiamare Panzertoo, l’avrà probabilmente adottata per analogia con Paris Hilton, paladina delle cose piccole e pelose. Un’esperienza che oltrepassa il tipico confine del chihuahua, questa qui, penetrando nell’arcano regno delle idee. Chi lo sa. O forse, piuttosto, la venture avveniristica di un nuovo business, ovvero la rivendita di bestie meno inflazionate dal mercato. Meno concorrenza=più guadagno. Ad ogni modo, guardate quanto è brava! Il modo in cui alza il suo musetto – pardon, grugnetto? – Verso l’alto, puntando gli zoccoli anteriori sulle note provenienti dritte dal suo estro musicale. La ridicola coda tronca che si agita nel vento, le orecchie irsute e setose, gli occhi semi-chiusi dal piacere. Chi dovesse innamorarsene, sarà giustificato, anzi! Dovrebbe cliccare sulla pagina Facebook dell’impareggiabile ani-maiale, ormai online da molti anni. Per trasformare un tale fenomeno, come i suoi predecessori canidi e suini, nell’ultima tipologia di eroe dei nostri tempi. Il meme umano-non-umano, galoppatore entusiastico  di valli e villi polmonare. Fin dentro ai nostri cuori spaziosi ed affamati di prosciutto. Sovviene, ad ogni modo, un vago dubbio. Non ci sarà mica, per caso, il trucco?

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Semi-sepolti dalla schiuma che dilaga

SEFS Foam

Pensate ad un deserto, con le sue dune dolci ed ondulate, agevole rifugio dai pensieri troppo prepotenti. Oppure al mare in tempesta, molecole spumose in una danza disinvolta, tripudio della noncuranza elementale. Ciascuno estremo dello spettro che si estende fra: umido e riarso, non presenta bordi aguzzi, né punte frastagliate, o spine penetranti. Siamo noi che amiamo vivere fra rocce, spigoli, ruvide muraglie di vegetazione. Da che Prometeo ci plasmò nel fango, siamo come dei cerini nella tasca del piromane, perennemente pronti a deflagrare. Fra tutte le sostanze della polla primordiale, lo zolfo alberga nei capelli degli umani. Soprattutto per questo ci affascina, la neve. Proprio quando il gelo dell’inverno acuisce la meteopatia, quel soffrire d’atmosferici disagi, è allora che il suo manto cala di soppiatto sulle cose, sulle case. E in un mattino di novembre, d’improvviso, ci svegliamo rinnovati assieme al nostro ambiente; non rimane proprio niente. Sparito l’asfalto delle strade. Dileguato il marciapiede, il brecciolino. Consumato dalla bianca mietitrice è il fosso sdrucciolevole, come il preminente colle, persino lo svettante altorilievo. Tutto è liscio e di un colore, solamente. Che sollievo. Non c’è verso di bruciare, anzi! Pare quasi di librarsi.
Però il giorno-tipo più difficile, probabilmente, è proprio quello: di chi gestisce il vero volo, per mestiere. Piloti che vivono nell’aria, quasi sconosciuti ai propri cari; oculati conduttori, circondati dagli schermi e le incombenze dal tremendo caos dell’apparenza, il traffico a tre dimensioni; hostess premurose, di passeggeri indelicati. L’unico rifugio è l’hangar, l’onirico covacciolo dei draghi col reattore. Qui dormono gli aerei, indisturbati, sotto l’occhio dei guardiani. Gli addetti al rifornimento, alla manutenzione, i co-protagonisti mai narrati di quel mondo poetico e (occasionalmente) un po’ pericoloso. Che ricompaiono nel presente video, registrato presso il Prince George Airport. Siamo nell’omonima città, sita nella British Columbia, vasta regione ad ovest del Canada. Qui avevano recentemente installato, e dunque destinato al primo test, un foam system per proteggersi dal fuoco. Era un CA-FS, anche detto Self Expanding-FS, ovvero il mirabile marchingegno che produce schiuma.
Quanta schiuma serve per riempire un hangar concepito per maestosi aeromobili di linea? Ecco…Fate prima a stabilirlo con i vostri occhi. Lo spettacolo è stupendo, pletorico, o in una duplice espressione: assolutamente soverchiante.

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La beccaccia balla senza cubo

American Woodcock

Non vola tanto spesso, questo uccello, ma quando finalmente si decide… L’american woodcock, o scolopax minor, è un abitante dei boschi dal peso di 230 g al massimo, con il becco a punta e gli occhi tondi e neri, stranamente arretrati sulla testa. Cresce presto. Mangia vermi. Si mimetizza. E quando arriva la tardiva primavera, negli stati nevosi in cui è solito abitare, la saluta per il tramite di uno speciale rituale. La danza e il canto di un amore senza fine, espresso in quel linguaggio universale che si può tradurre in gesti, suoni e sentimenti. Memorabile è il suo modus, degno di entertainer consumati, con le penne ben rodate da milioni d’anni di evoluzione. Verso sera e verso sud, dondolandosi tra i bassi cespugli dove ha costruito la sua casa, l’uccello raggiunge i margini della vegetazione. Emerge dagli alberi natii, da quel tiepido rigoglio, stando bene attento che non sia presente un predatore. Quindi, trovata una radura, un pascolo, uno spiazzo qualunque, subito si mette a gorgheggiare. Con il caratteristico piglio onomatopeico della lingua inglese, esiste un verbo apposito che definisce pienamente il verso di questa beccaccia: (to) peent. Peent, peent, peent (ripetere ad oltranza) Poetando in tale modo il suo entusiasmo, il maschio inizia a passeggiare in circolo, guardando bene intorno, nella speranza di scorgere la sua compagna. Lo fa per una, due, tre serate. Finché, d’un tratto eccola lì. La gallina (hen) splendida della foresta, decisamente più imponente del suo principe marrone. Lui incrocia il suo sguardo per un attimo, stringe il becco e dispiega le potenti, tozze ali. Tempo di far festa.
Lo scolopax può tenersi in aria ad una velocità di soli 8 Km/h, un record all’incontrario, tra i suoi simili pennuti. Fa tutto parte dello show. Il culmine operativo dello spettacolo aereo, ad ogni modo, ricorda un po’ l’attacco dello Stuka, il bombardiere tedesco che fischiava in picchiata per gettare nel panico il nemico. Come quest’ultimo, l’uccello vola in modo erratico e scomposto, benché non abbia il fine di dissuadere la contraerea. Si alza a 100 metri di altitudine, continuando il suo *peentare* finché a tale suono non si aggiunge un nuovo accordo; è un sibilo, il fischio del finale. Lo produce sempre lui, con le penne esterne delle ali.
In una folle discesa, valido contrappunto del suo vagheggiare precedente, si arresta in una parabola elegante, tra l’erba lievemente mossa dal vento. Nel silenzio ritornato della sera, lui ritrova la sua lei.

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