Nelle foreste dell’India, della Cina e del Sud-Est Asiatico alberga un curioso uccello, il cui aspetto complessivo non parrebbe neppure riconducibile a quello di un pennuto secondo i crismi di riferimento acquisiti. Per la colorazione simile alla corteccia o foglie morte fatta eccezione per il bianco in corrispondenza della striscia attorno collo ed il petto, una chiara applicazione della legge di Thayler sul mimetismo, il folto piumaggio simile a una pelliccia e una caratteristica ancor più inaspettata: il possesso di un paio di quelle che parrebbero essere a tutti gli effetti delle orecchie triangolari, simili a quelle di un felino, piccolo carnivoro o l’esperto cercatore di provviste per il cavo del suo albero abitativo. Al punto che il paragone con un qualche tipo di strano scoiattolo, particolarmente per le foto in primo piano della testa del volatile, sono tra le più frequenti online a margine delle sue foto prive di didascalie, complice anche la punta di un becco particolarmente ridotto e incline a scomparire nella geometria espressiva del soggetto inquadrato. Un’altra illusione in una lunga serie, se vogliamo, vista l’effettiva appartenenza della creatura alla famiglia dei caprimulgidi o in lingua inglese frogmouths (bocca-di-rana) per l’eccezionale vastità della loro fauci in proporzione agli appena 30 cm di lunghezza, così da da tradire una natura prettamente predatoria, se non addirittura rapace. Tali falchi della notte dunque, caratterizzati da svariati tratti molto simili a quelli dei gufi, possiedono un notevole campione che può essere individuato nella specie dell’Estremo Oriente Lyncornis macrotis, alias succiacapre dalle grandi orecchie, il cui possesso delle lunghe piume adibite a “corna” o misteriosi “organi uditivi” (i veri padiglioni si trovano al di sotto), unite alla distintiva forma appiattita del resto della testa, tende a ricordare il piccolo mammifero di cui sopra ma anche la conformazione fantasiosa di particolari draghi tassonomicamente incerti, vedi il celebre Toothless della serie a cartoni animati Come addestrare un drago. Notevole, nevvero?
Al che potrebbe giungere la comprensibile domanda, in merito a quale sia, effettivamente, il collegamento di tutto questo alle capre: nessuna, nell’universo del mondo tangibile e apparente. Ma uno molto significativo, benché indiretto, nell’immaginario collettivo delle persone. Ovvero soprattutto i pastori e venditori di lana, che avendo a che fare con il più prossimo parente europeo dell’uccello, il caprimulgide comune o nightjar, notarono la spiccata inclinazione di quest’ultimo a frequentare i recinti e le stalle nelle ore notturne o vesperine, al fine di procacciarsi gli insetti di cui si nutre. Il che portò alla leggenda, largamente priva di basi, secondo cui una simile “creatura maligna” fosse solita prendere il latte di nascosto dai quadrupedi addomesticati, causando in loro l’inspiegabile malanno della cecità. Il tipo di superstizione che tende a rendere particolarmente malviste le creature naturali e che molto fortunatamente, non parrebbe avere nessun tipo di corrispondenza oltre i confini dell’Asia, ragion per cui queste creature restano tutt’ora relativamente comuni, nell’intero estendersi del loro vastissimo areale…
draghi
Quel ramo del lago di Kaohsiung, che volge il Drago e la sua Tigre al Dio della Montagna
Cosa è sacro, cosa è profano? Nel più visitato lago artificiale dell’intera isola di Taiwan, nonché uno dei pochi, visto come la parte abitata di una tale terra emersa superi di poco le dimensioni del Lazio e della Toscana, tutto è ogni cosa, proprio come ci si aspetterebbe in merito alla situazione culturale e religiosa di un popolo che crede nell’integrazione delle discipline filosofiche all’interno di una scintillante gestalt, non così dissimile da talune regioni stellate del cielo notturno. In una galassia tiepida e bagnata, costituita dalle acque di un solenne recipiente, che prende o da’ il suo nome al popoloso centro urbano di Kaohsiung (蓮池潭 – Lago delle Ninfee) situato nell’estrema parte meridionale di quella che gli esploratori portoghesi avevano chiamato Formosa. Un sito celebre per il suo mercato e la vita notturna, perciò tutt’altro che tranquillo in ogni genere di circostanza, sebbene assai lontano dalla grande densità del centro urbano di Taipei, particolarmente quando ci si sposta verso il luoghi periferici. Di quello che potremmo definire, sotto i più importanti aspetti, come il cuore spirituale di un’intera, piccola nazione. Con più di 20 templi nello spazio di appena 500 metri quadri situati tutto attorno alle sue rive, ed in diversi casi significativi anche in bilico sopra le acque stesse di una simile risorsa paesaggistica ed operativa. Come altrettanti mistici pianeti, ciascuno significativamente caratterizzato dallo stile architettonico e visuale frutto di un particolare rapporto con gli Dei, la bellezza e il modo di riuscire a interpretare la natura. E non solo: come descrivere, altrimenti, le due svettanti pagode gemelle del Drago e della Tigre (龍虎塔 – Lónghǔ Tǎ) alte ben sette piani e risalenti al 1976, collegate alla sponda lacustre mediante l’impiego di una surreale passerella zigzagante che conduce fino alle due bocche spalancate delle eponime creature, costruite con sinuoso (in un caso) e quadrupede (nell’altro) fisico in solida fibra di vetro, straordinariamente variopinta alla riconoscibile maniera di un appariscente ornamento da luna park… Poiché non c’è modo migliore in tutto l’Estremo Oriente, di commemorare e rendere omaggio alle creature mitologiche che renderle tangibili ed interagire con la loro transitoria personificazione, come avviene anche durante il capodanno grazie alle tradizionali danze del cane leonino. Che di norma appare sempre con il suo collega identico per fare la guardia ai templi (石獅 – shíshī) in modo assai diverso da una coppia di tanto selvaggi e diversificati esseri, significativamente più imponenti dei quanto sarebbe lecito aspettarsi per questa tipologia di statue nella maggior parte dei contesti formali. Il cui ruolo è riassumibile piuttosto in quello di fagocitare, in modo particolarmente semplice, la forma personale dei singoli visitatori umani, grazie all’atipica commistione architettonica di fauci e porte, benché sia consigliabile procedere sempre in un’ordine ben preciso. Questo perché il drago, in base all’ideale taoista, rappresenta il principio positivo e luminoso dello Yang, mentre la tigre è oscura e allineata con lo Yin. Ragion per cui sarebbe assurdo non “entrare” cominciando dal primo e “uscire” dalla seconda, superando in questo modo il rischio di vanificare i presupposti apotropaici di un simile gesto, mentre si transita tra raffigurazioni tridimensionali degli inferni e paradisi d’Oriente. Piccoli accorgimenti operativi, capaci di fare la differenza tra una semplice visita turistica, ed un vero e proprio pellegrinaggio spirituale non pianificato, la via d’accesso ad un livello superiore di serenità fino alla transizione inevitabile dell’umana Esistenza…
Nuove nascite a New York: sei veri draghi di Komodo nello zoo del Bronx
Ci sono scelte operative per cui le conseguenze del prospetto originale tendono a richiedere più tempo delle altre, mesi o anni trascorsi nell’attesa di un qualcosa che potrebbe, a conti fatti, non riuscire a realizzarsi affatto. Momenti e situazioni che generalmente tendono a coinvolgere animali, piante, creature la cui vita segue un ritmo più o meno rallentato in senso generale, ma comunque paragonabile al ciclo sempiterno delle stagioni. Qualche volta, per vedere realizzato il proprio sogno occorrono soltanto poche settimane. Certe altre, mesi ed anni sono i materiali necessari a costruire quella casa/cosa, intesa come la metafora di un lieto e straordinario evento. Così che all’inizio di novembre, nell’incubatrice del più antico ed importante zoo di New York, il coronamento di un percorso tanto accidentato si è infine materializzato con forma tangibile, o per meglio dire, allungata, sinuosa e ricoperta di colorate scaglie. Il tragitto cominciato nel 2014, con l’accoglienza da parte dell’istituzione di un trio delle più grandi (e notoriamente aggressive) lucertole di questo pianeta, i Varanus komodoensis o “draghi” dell’isola di Komodo. Così come scelse di chiamarli il naturalista e sceneggiatore William Douglas Burden, che nel 1933 creò la storia di King Kong ispirandosi all’immagine fantasiosa di un gorilla intento a combattere un gruppo di queste creature niente meno che impressionanti. Veri e propri dinosauri dei nostri giorni, per quanto una simile definizione potesse andare stretta alle due sorelle Rose ed Ivy trasferite in questo luogo 8 anni fa, assieme al fratello Stubby all’interno di un ambiente a temperatura controllata costruito per riprendere la loro effettiva area di provenienza. Ora che le nuove nascite siano il risultato di una relazione consanguinea non è in effetti poi tanto probabile, lasciando immaginare l’intercorso scambio in epoca più recente con gli esemplari provenienti da un altro sito di studio ed approfondimento della loro specie, sebbene sembrino mancare dichiarazioni stampa atte a dirimere tale specifica e fondamentale questione. Il che non priva in alcun modo di fascino l’eccezionale aspetto dei nuovi nati, caratterizzati da un lato estetico capace indubbiamente di sorprendere chiunque sia inerentemente incline a giudicare i figli come sempre simili ai loro genitori. Dopo tutto, non può che in questo caso apparire particolarmente chiaro, per i visitatori fisici e quelli intenti ad osservare tramite la lente di Internet, come una nuova generazione di varani appaia nettamente distinta da colui e colei che si sono occupati di metterli al mondo, per una precisa e presumibilmente funzionale scelta evolutiva pregressa. Conseguenza del bisogno per questi ultimi di elevarsi, letteralmente, fino ai rami protèsi verso il basso dagli alberi della foresta, per condurre il tipo di vita che può essere soltanto definita come quella di una preda: perennemente in fuga, parzialmente mimetizzati, attenti ai più lievi e appena percettibili movimenti. I loro nemici? Facili da identificare: nessun altro che coloro che si erano dati tanta pena per riuscire a metterli al mondo.
Diversa è d’altra parte la modalità e stile di vita dei rettili, così come nettamente distinta risulta essere la vasta selezione di possibili comportamenti dettati dai loro istinti, al punto che soltanto una preparazione idonea delle cause e degli effetti determinanti, può riuscire ad assicurare un felice risultato del processo riproduttivo in essere al momento culmine della loro esistenza. In natura. Mediante soluzioni come quella di rendere i piccoli più affusolati ed agili almeno fino al raggiungimento degli 8-9 anni d’età, permettendogli d’inseguire e nutrirsi per i primi anni di vita primariamente d’insetti, uccelli ed altri rettili di dimensioni ancor più ridotte, all’interno di una nicchia ecologica e con modalità nettamente distinte rispetto a quelle che dovranno condizionare in seguito la loro esistenza. Il che potrebbe condizionare non poco i tempi di apprendimento e adattamento alla vita adulta nello sviluppo cerebrale di un’altra tipologia di creatura, laddove per il varano tutto sembra essere più semplice o letteralmente colorato di bianco e di nero: ovvero, si muove (ed mi entra in bocca) lo mangio; si muove (ed è più grande di me) fuggo. Il che diventa più semplice ad un certo punto quando non ci sarà più niente, nel suo areale d’appartenenza in Indonesia, che possa formalmente definirsi come più grande o più pericoloso di lui…
Nuota come un drago celeste, morde come una murena leopardo
Vi sono luoghi, disseminati nel Pacifico, dove l’esistenza di esseri superni non è in alcun modo subordinata all’adorazione degli esseri umani. E ogni montagna, ogni lago, ogni valle possiede un nome e un volto, più o meno inconoscibile, personificazione non interpretabile della Natura stessa. E così tra le possenti e inamovibili colonne del suo palazzo, il Dio strisciante attende il sopraggiungere del suo momento. Fauci semi-aperte, occhi fissi, antenne protese a rilevare l’attimo predestinato. Quando l’ennesima ombra, proiettata casualmente sopra quegli anfratti, significherà il passaggio di una preda inconsapevole ancorché perfettamente predisposta ad essere fagocitata. O accolta in mezzo alle sue sale, per accompagnarlo silenziosamente nel passaggio degli Eoni. È un Dio magnanimo, questo. Subacquea manifestazione di pazienza e consapevolezza. Ma è anche un Dio… Affamato. E chi da lontano la sua solitudine, non può fare a meno di comprenderne l’essenza ultraterrena, la guisa senza tempo né confini definiti, che si perde nei colori cangianti della scogliera. Bianco, nero, rosso ed arancione, in un disegno a macchie che non sfigurerebbe di sicuro in mezzo alla savana dell’Africa distante. Per questo sono soliti chiamarlo leopardo, murena leopardo, poiché personifica caratteristiche di entrambi gli animali; ma per tutti, da queste parti, è la murena drago, altrimenti detta Enchelycore Pardalis. Diffusa grosso modo nello spazio che si trova tra l’isola di Réunion e il Giappone meridionale, tale specie trova specificamente in quel paese una definizione utile a chiarirne le caratteristiche fondamentali. Poiché tra le molte interpretazioni post-moderne del concetto di Kami (divinità) ve n’è uno che si adatta in modo particolarmente utile al contesto presente. Di sicuro lo conoscerete: sono i Pokèmon, pluralità cangiante di danzante, canticchiante mitologia pre-moderna, trasferita in un pacchetto facile da vendere e apprezzare, non importa quale sia il proprio background religioso e culturale di provenienza. Creature tra le quali, il collezionista digitale più perspicace e addentro al “gioco” non potrà fare a meno di ambire ai cosiddetti shiny, singoli esemplari molto rari, caratterizzati da una colorazione nettamente distinta da quella dei loro conspecifici incontrati nell’habitat di provenienza. Il che ci porta alla questione di giornata poiché in questa specie di murena, assai semplicemente, OGNI singolo rappresentante costituisce formalmente uno shiny. Come quello mostrato nel presente video su Instagram dall’agenzia per immersioni internazionali Maduro Dive, la cui località non viene resa nota, ma dotato di colori e tonalità davvero interessanti. Laddove come avviene per i pesci koi allevati dagli umani (Cyprinus carpio) potremmo prendere anche una decina di murene appartenenti ad una simile specie, trovandone taluni tendenti al giallo, altre rosse, altre ancora bianche in campo nero, con righe, macchie, strisce diagonali e ogni altra possibile diavoleria visuale. Il che del resto è lungi da essere l’unica caratteristica particolare, quando si considera la minacciosa configurazione della testa, con denti ben visibili data l’impossibilità di chiudere completamente la mascella. Ed un paio di vistose corna carnose, in realtà facenti parte di altrettante insolite narici direzionabili, perfettamente adattate a individuare da lontano il passaggio di possibili prede. Dagli anfratti rocciosi di scogliere o barriere coralline, dove è solita risiedere la forma sinuosa di codesta insolita creatura, tanto evidentemente mantenuta in alta considerazione da sub, esploratori degli abissi ed estimatori di ogni essere che nuoti in mezzo alle profondità inusitate. In mezzo all’acqua, scorre un fremito: è un piccolo pesce di passaggio. Fioriscono i colori delle ostili profondità. Il momento è giunto e assieme ad esso, l’inizio di una cena tanto a lungo attesa, così fortemente agognata dal suo singolo e sinuoso partecipante!