“La tua spazzatura è il mio tesoro, i tuoi scarti un pranzo da re.” Questo dice la mosca, paria fra gli insetti, indegno essere che insidia i giardini e le case di noi esseri umani. Nessuna è più odiata di lei, tranne forse la zanzara. La scura mangiatrice delle cose morte, nonostante tutto, svolge il suo compito con diligenza e un profondo gusto esistenziale, rigurgita e consuma, rigurgita e consuma. Quanto spesso compare la mosca in un quadro? Non abbastanza. L’arte che ricerca il bello non potrà mai esaltare questo insetto, orribile nella sua utilità. Ora buzz-ta, sembrano dire miliardi di piccole voci, da oggi buzz-tiamo a noi stesse. La ronzante ribellione inizia da una scatola, sopra un tavolo, dentro uno studio a Los Angeles in California, per il tramite dell’artista moderno di Minneapolis, John Knut. Nella scatola ci sono ben 200.000 larve brulicanti, sul tavolo un barattolo pieno di zucchero e… Pigmenti colorati. L’artista amico delle mosche è infatti venuto a conoscenza, durante un periodo d’interessamento verso le malattie trasmesse ad opera degli insetti, di come gli appartenenti all’ordine dei ditteri siano soliti rigettare una buona parte di tutto ciò che ingeriscono, spandendo germi e batteri su tutte le superfici con cui vengono inevitabilmente a contatto. Da ciò nasce il suo strano esperimento: lasciare che da piccole si riempiano di cibo iridato, per poi metterle tutte fra un vetro e una tela, candidamente pronta ad accogliere lo splendido arcobaleno dei loro succhi gastrici alterati. Nel giorno dell’epico sfarfallamento, spiccando per la prima volta il volo, il popolo ronzante avrebbe finalmente avuto un suo racconto pittorico d’elezione. Così nascono questi quadri, pattern randomizzati di macchie indistinte senza significato, di per se stessi molto difficili da interpretare, quasi fini a se stessi. Su di loro aleggia lo spettro del pointillismo, però accidentalmente riprodotto attraverso i meccanismi del caos. Eppure, ciascuno è un pezzo unico per definizione, nato dall’incontro fra migliaia di singoli individui. La risposta, da noi lungamente attesa, della mosca. Per anni gli abbiamo donato rifiuti, adesso ci rendono un abbondante biascicamento. Grazie, care piccole buzz-tiole.
arte
La roadster monoposto in vimini e bambù

Un trionfo di linee curve, leggerezza aerodinamica e aspetto sobriamente combattivo, la Phoenix potrebbe dirsi una perfetta realizzazione del concetto di design al servizio di un mondo motoristico migliore, ecosostenibile, coscienzioso e visualmente sovversivo. Nata dalla mente di Kenneth Cobonpue, ispirato designer internazionale di origini filippine, occupa quello spazio esclusivo dei prototitipi automobilistici tanto futuribili, così originali e stupefacenti da non sfigurare nemmeno accanto alle più sfrenate creazioni di un qualunque autore di romanzi fantascientifici. L’idea è semplice: cancellare la necessità di smaltire i componenti e le carrozzerie dei veicoli destinati alla rottamazione, creando a tal fine la prima automobile biodegradabile del mondo. Ma il risultato finale è molto più di questo. Simile ad un coleottero che si prepari al dispiegamento delle sue ali, la Phoenix è stata esposta per qualche tempo negli spazi fieristici di via Tortona, a Milano, riscuotendo un successo straordinario; quella che doveva profilarsi come una mostra di arredamento, campo principale in cui l’artista opera da molti anni, si è ben presto trasformata nel trampolino di lancio per questa concept-car che nessuno si aspettava, creata dall’artista in soli 10 giorni, grazie alla partecipazione e l’assistenza del giovane tecnico Albrecht Birkner. Oggi, incredibilmente, l’entrata in produzione non sembra più tanto improbabile. Le fiancate della Phoenix sono in vimini intrecciato, un materiale di cui Cobonpue viene considerato un grande maestro, mentre la “spina dorsale” che corre in alto al centro è fatta di bambù, con all’interno, nella parte posteriore, dei diodi al LED che fanno da luci di segnalazione. Lo chassis inferiore contiene, come inevitabili elementi di rafforzamento, alcuni pezzi in fibra di carbonio e acciaio, su cui trovano collocazione tre ruote ultraleggere.
Persino i più sfegatati sostenitori dell’auto in senso tradizionale, simbolo importante dell’industrializzazione e della subordinazione della natura all’uomo, intravedono in un prossimo futuro la progressiva scomparsa dei motori di grossa cilindrata e dei veicoli più inutilmente ponderosi. Questa splendida invenzione che viene dalle Filippine, con il suo aspetto rivoluzionario, potrebbe essere il giusto approccio al problema.
L’artista che imbriglia il vento nelle sue sculture
L’arte di Anthony Howe nasce da una serie di competenze meccaniche straordinariamente personali, che gli permettono d’incanalare il respiro della Terra all’interno di svettanti installazioni metalliche, basate sul principio stesso dell’infinito dinamismo. Nei centri urbani, in prossimità dei luoghi di passaggio e delle piazze, le sue sculture ci ricordano della fluidità del contesto umano, tutt’altro che immanente: un breve attimo nel giardino dei Venti, terreno fertile per la relativa Rosa. Sospeso nel vuoto cosmico, appoggiato su di un sottile strato roccioso posto fra il magma e il gelo più assoluto, il mondo civilizzato potrebbe dirsi il frutto di uno scontro tra forze che tendono a sfuggire dalla nostra comprensione, con estremo impeto e forza generativa. Siamo circondati da mostri invincibili dai nomi antichi, che si scontrano fra loro in una guerra eterna: la fredda tramontana in opposizione all’ostro, levante e ponente che soffiano dai paesi distanti di civiltà agli antipodi, grecale o libeccio, chi vincerà? Sarà meglio, per noi insignificanti ospiti del pianeta, limitarci ad osservare. Mentre i tifoni, gargantueschi, battono le coste del sud-est asiatico e le brezze ostili si congregano nei terribili tornado del Midwest Nordamericano, questo artista ci mostra il lato più mansueto di tali forze, ovvero come l’aria in movimento possa anche creare e modificare strane forme, con gestualità prevedibile, persino ripetitiva. I petali del fiore, senza le sgradite spine. Simili a meduse, planetari e talvolta quasi accidentalmente figurative, con tanto di volto vagamente antropomorfo, le sue creazioni si nutrono di energia eolica creando negli spettatori un senso ipnotico di assennatezza. Alla fine anche la luce, veicolata da pannelli lucidi o specchietti ultra-leggeri, finisce per fare la sua parte.
I sassi d’Oriente che saziano la fame…Spirituale

L’arenaria tagliata a fettine, con il suo gusto corposo, costituisce un primo ideale, purché adeguatamente condita mediante l’impiego di graniti ignei metamorfici, riconoscibili da quel tipico retrogusto, lievemente piccante. Il cupo basalto afasico ricorda il pesce di fiume. Arricchitelo con preziose spezie di porfido, possibilmente della tipologia riolitica, insaporitelo quindi con pezzetti di feldspati e miche. Marmi e quarziti saranno il vostro dessert: illuminati di traverso dal sole splendente del Sichuan, la loro superficie cristallina vi apparirà simile a quella di candide meringhe, dal cuore segreto ripieno di fluida e magmatica cioccolata. Che nessuno si azzardi, però, a mettere in bocca uno di questi durissimi manicaretti. A meno di avere un piano dentistico d’eccezione e anche allora… Soltanto un flipper potrebbe digerirli. Perché l’appetitosa tavola imbandita inquadrata nella foto, nonostante le apparenze, contiene del cibo materialmente indigesto. Si tratta del pezzo forte del museo delle pietre di Yinchuan, capitale della provincia del Ningxia, che vorrebbe rappresentare il pantagruelico banchetto di Manhan Quanxi; un evento storico, risalente al XVII secolo, in cui si tentò l’approccio diplomatico più significativo tra la dinastia cinese dei Qing e i loro vicini del nord, i popoli Manciù. Secondo la leggenda, in tale occasione vennero serviti 108 piatti impareggiabili, con ingredienti raccolti da ogni angolo del paese. Ancora oggi, nelle grandi occasioni, è usanza servire un’approssimazione moderna di tale pasto divino, nonostante molti degli animali sul menù siano ormai a rischio di estinzione. Naturalmente, non mancano le alternative. Questa di usare la pietra, contrariamente alle apparenze, non è un semplice scherzo fine a se stesso. Proviene anzi da un tempo molto lontano…