L’arte ipnotica dei vortici di sabbia

Krugovorot

L’artefice, l’esecutore: spiriti affini sul sentiero di Nettuno, alchemico pianeta degli artisti. Il primo lo ritrovi, facilmente, nello studio di pittura, fra la polvere di marmo in un laboratorio; circondato dalla luce mattutina, nato sotto l’astro Sole, riproduce ciò che vede, i propri gusti e sentimenti. Sua è l’arte statica, immanente purché meriti il soverchiamento dell’oblio. L’altro, verso il vespro, recita sul palco e danza, canta o rende voce all’illusione di un teatro, nella notte oscura e misteriosa. Saturnino, puoi chiamarlo se lo vuoi. La sua tela in poche ore si dissolve, volentieri, purché il giorno dopo ricompaia, dietro gli occhi luminosi della gente. Ed è una lotta senza vinti, questo suo trionfo ripetuto, possibilmente in grandi prime, soirée agognate, infine sospirate repliche, purché ci sia la voglia di partecipare. Esserci, vedere o fare l’esperienza…Dell’invisibile meraviglioso. Lasciare un segno, nella sabbia? Due figure che raccontano la stessa storia, divergendo, possono incontrarsi raramente.
Ma nel caso dell’artista russo KRUGOVOROT, sul quale Internet sa dirci molto poco, convivono i due aspetti, attraverso un certo tipo di esclusiva esibizione: tracciare cerchi, con le dita e una spugnetta, poi virgole, arcuate lingue fiammeggianti, fiori ed altre cose ricorsive, su di un grosso piatto turbinante grazie a un tornio. Come un tavolino naufragato, perso tra le acque di un potente mulinello. C’è parecchia tecnica, nel suo lavoro. Ci sono pure le conchiglie. Guardando il lungo video d’apertura, che parrebbe quasi terminare in un momento, s’intuisce la presenza di un motore: troppo fluido e regolare appare il corso dell’illuminata giostra, per essere venuto da un pedale. Questa precisione di una macchina, di un meccanismo elettrico, ben lascia libere le mani umane, di produrre molte cose. Sono tre le tracce utilizzate, musicali e tematiche allo stesso tempo.
Il primo piatto, del colore giallo-spento del Sahara, è metodico, misticheggiante. In un rapido rincorrersi dei mesi, vi appaiono i fulmini piovosi dell’autunno, circondati dalle nubi, seguiti dalla rigida struttura dei cristalli dell’inverno. Neve, poi lo sboccio di una rosa e il fuoco, il mare ondoso: wow, che magnifiche stagioni!

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Nel nuovo video di KRUGOVOROT, pubblicato da circa una settimana, si possono apprezzare i metodi con cui si svolge il suo spettacolo di sabbia ed arte visuale. I bambini partecipano con gioia.

Il secondo cerchio è molto rapido, persino sincopato. Nel suo vortice ci sono razzi e sprazzi, merletti diseguali: di sicuro, fra dodici persone, ciascuna ne trarrebbe una diversa conclusione. A mio parere, in tale arzigogolato astrattismo, si realizza la ricerca delle cose materiali, il dinamismo delle interazioni tra persone. Mentre accelera la tarantella usata come sottofondo, compare sulla sabbia la contraddizione più saliente, di quel modo in cui: più si è oberati dagli impegni, meno si ricordano i momenti. Già si scorge quasi una figura, che l’autore passa crudelmente a cancellarla, poi vi traccia sopra stelle, fili ed altre immagini spezzate, in un tremendo turbine infernale. Rosso è il suo colore, come Marte, Giove, il forte, il grande, l’eternamente povero di doppi sensi.
E infine viene Venere Viridia, dalla spuma-sabbia quasi bianca, con il ritmo ascetico di un sogno. Nella sequenza di chiusura al video, KRUGOVOROT infonde il senso della crescita di un organismo sulla strada dell’evoluzione. Inizia da una singola spirale, leggerissima, l’unico elemento destinato a scomparire. Poi vi traccia il centro astruso di una cellula, con il suo sacro alone protettivo, che fortemente tende ad irradiarsi, verso il bordo buio del distante pavimento. Un mondo libero e incontaminato, quello-qui, questo-lì, da cui proveniamo consapevolmente, noi che a nostra volta raccogliamo sabbia. Che può diventare arte, prima o poi. Dunque nascono le punte, capelli di un labirinto che s’insinua, gradualmente, ben oltre se stesso, verso il paesaggio di una cordigliera all’orizzonte. Montagne di zucchero di silicati…Un canto etnico africano, antico e appassionato, ci ricorda che qui non siamo in Tibet, questo non è il mondo intero del Buddhismo Mahāyāna con i suoi mandala, ma il momento, l’attimo di gioia estetica di un singolo individuo, preso dal ritmo inarrestabile della creatività. Il dettaglio è nell’insieme, non l’opposto. Solamente una conchiglia.
Di arte sulla sabbia, praticata innanzi a una platea, ne avevo visti alcuni esempi molto belli. Però mai così allegorici e spontanei al tempo stesso, ricchi del respiro stesso dei pianeti. Spero che KRUGOVOROT pubblichi al più presto nuovo materiale. In particolare, mi piacerebbe comprendere, un po’ meglio, come nasce quel suo metodo creativo tanto fuori dal comune.

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