Come nasce un fucile super-lusso di Beretta

Beretta Premium

Questo video è il frutto di un particolare approccio al marketing, molto moderno, che punta alla divulgazione prima che alla semplice pubblicità. Basandosi sulla consapevolezza che quando una cosa è davvero bella, lo sarà per gli occhi di tutti veramente, anche quelli chi non si sognerebbe mai di acquistarla. Magari per tutta una vasta gamma di ragioni: è un prodotto con un target specifico, è troppo caro per le proprie tasche, gli si preferisce un’arma meno impegnativa da gestire, etc. etc.. Ma resta impossibile, assistendo alla genesi di un simile fucile, non desiderarlo, almeno per un attimo. Sognar bonariamente di tenerlo in mano, spalancare la sua bascula ed accarezzare il calcio marezzato, quel grilletto ben equilibrato. Possederlo ed ammirarlo, se non per fare fuoco contro varie cose svolazzanti, quanto meno, allo scopo di appenderlo sopra il camino e rimirarne le incisioni, l’alta qualità costruttiva e l’incredibile armonia dei materiali e delle forme.
La serie Premium di Beretta, imperituro orgoglio del Made in Italy, si rivolge a chi desidera possedere uno strumento unico, largamente fatto a mano, eppure nonostante questo costruito con le tolleranze dell’industria moderna, e quindi tanto maggiormente affidabile & efficiente. Un’arma come questa può costare, a seconda del modello, anche diverse decine di migliaia di euro e non è chiaramente concepita per il semplice utilizzo, scevro di connotazioni ulteriori. Simili oggetti, fin da quando il primo fabbro romano decorò una spada legionaria, nascono con l’obiettivo di essere sfoggiati. Sono il culmine, la punta di diamante di uno stile personale eppure conforme a meriti assoluti, che non vuole scomparire neanche nel momento della propria sfacchinata, su e giù per le colline, quando l’automobile, la villa al mare, i gioielli e l’orologio d’oro passano in secondo piano, di fronte al desiderio di trovare una folaga o un fagiano, ben nascosti tra i cespugli ombrosi. E saranno certamente lieti, questi ultimi volatili, di essere colpiti a loro volta dalla “straordinaria eleganza e raffinatezza” di un fucile come il Diamond Pigeon, lo shotgun sovrapposto messo in mostra nel presente cortometraggio HUMAN TECHNOLOGY, già mostrato sui diversi principali social network. Segmento che si è guadagnato nell’ultimo mese, grazie all’ottimo soggetto e cinematografia, quasi quattrocentomila visualizzazioni. Dunque diamogli una spinta, diamine, affinché si possa riconoscere la qualità in quanto tale, indipendentemente dalle controversie suscitate dal settore operativo, la caccia. Che è pur sempre estremamente significativa dal punto di vista culturale, quanto meno perché antica. A dir poco!
Tutto inizia con la scena di un fenomenale crogiolo fiammeggiante, simbolo potente, immerso nella pura ed assoluta oscurità. Da qui si passa, con sapiente giustapposizione, ad un’immagine quasi bucolica: lui, l’artigiano-Virgilio dai giganteggianti baffi (nei commenti paragonati a quelli di Stalin, oppure un meno problematico Super Mario) accarezza un tronco, poi ne prende tra le mani un’estrusione magica, perfettamente levigata. Non ci viene mai mostrata l’opera del boscaiolo, poco rilevante nel discorso operativo. Soprassediamo e proseguiamo nel mirabolante viaggio. Questo pezzo, un levigato ciocco, appare già formato nell’aspetto di un calcio ligneo da fucile ed ha più venature di un tocco di marmo di Carrara; al primo sguardo, si capisce che qui siamo ben oltre i limiti della seconda o prima scelta. Solo il meglio, può essere impiegato per chi sceglie di acquistare un Beretta Premium, fatti con il cuore stesso degli alberi più rari e splendidi di questo mondo. Si passa quindi ad un montaggio parallelo: mentre avveniristiche macchine CNC (a controllo numerico) plasmano il metallo nella forma del camera di scoppio dell’arma, con tutto ciò che quest’ultima comporta, mentre un paio di sapienti mani, forse appartenenti a quel traghettatore di anime perdute, stondano la sagoma del legno, alla ricerca di un canone estetico che può soltanto essere definito: pura perfezione.

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Rombo di moto tra gli umidi canyon dell’Arizona

Lake Powell Jetski

Primo ottobre 1956: il presidente Dwight D. Eisenhower, adagiato sulla sua sedia regolabile in pelle di caribù, osserva un oggetto di forma circolare che un attendente della White House gli ha portato qualche ora prima. Un vistoso filo nero è stato fatto passare, con suo massimo fastidio, tutto attorno alla pregiata scrivania di legno mahajua, importata direttamente dall’arcipelago delle Filippine. Che strano dispositivo da collegare alla rete telefonica, dentro all’ufficio dell’uomo più potente del mondo! Come una delle invenzioni del proverbiale Wile E. Coyote, personaggio dei cartoni animati, tale pulsante attiva una bomba. Eppure, non c’è un senso drammatico del momento, nel modo in cui il comandante in capo della nazione, con gesto attentamente calibrato, avvicina l’indice destro al detonatore, accanto ad un prezioso calamaio di vetro svedese. Piuttosto, Eisenhower pare stanco, ed ansioso di tornare al suo vero lavoro, mentre i due rappresentanti dello United States Bureau of Reclamation, ente federale dedito alla gestione delle risorse idriche, osservano con entusiasmo quasi palpabile. E forse, a guardarli un po’ meglio, un sorriso leggermente forzato. Alla fine *CLICK – Il dito raggiunge il bersaglio. Dalle rispettive poltrone Chesterfield, rivestite con cuoio di Yarwood e punzonate con vistosi bottoni di bronzo, i due eleganti visitatori balzano sul tappeto: “Congratulations, Mr. President, Congratulations indeed!” Già il meno giovane dei due, un certo Floyd o Freud (?) Gli porge la mano. È rigida e sudaticcia. Cosa è successo? A quasi 3500 chilometri di distanza, presso l’arido confine tra gli stati dello Utah e dell’Arizona, riecheggia l’eco della deflagrazione. Ove prima campeggiavano rocce preistoriche, ornate di antichi graffiti indiani, adesso scorre una piccola parte del Colorado River, il celebre fiume che passa per il Grand Canyon. Perché non si possa dire che ciò che la natura costruisce, l’uomo non può disfare. Affinché i centri urbani di questo distretto, piccoli ma numerosi, possano ricevere un valido apporto di energia elettrica, affidabile, pulita. Mo-der-na. Questi tunnel cavernosi non sono che l’impressionante inizio: nel giro di 10 anni, in questo preciso luogo sorgerà la diga del Glen Canyon. E dietro di essa, si estenderà un enorme lago artificiale. Il secondo più grande degli Stati Uniti, con i suoi circa 30.000 chilometri cubi d’acqua. Il suo nome, se non altro, offrirà un valido spunto di approfondimento.
John Wesley Powell era stato un comandante della guerra di secessione, geologo e scienziato, fermamente dedito all’abolizione della schiavitù. Durante la battaglia di Shiloh (1862) nel verdeggiante Tennessee, stava guidando verso la vittoria la sua compagnia di artiglieri nordisti, quando il colpo di un fucile di grosso calibro lo raggiunse nella parte bassa del braccio destro. L’arto venne amputato e di lì a poco la guerra finì. Eppure, il suo maggiore contributo al mondo doveva ancora venire. Nel 1969, assieme ad altri 9 uomini, partì dal Wyoming verso le regioni recondite del vecchio West. L’itinerario l’avrebbe portato, assieme al fratello disturbato di mente, lungo il corso dei fiumi Green e Colorado, con la finalità di raccogliere il maggior numero possibile di dati sulla regione. Il viaggio fu lungo e difficile. Tre membri della spedizione, presso le rapide successive al Grand Canyon, si ammutinarono e cercarono di tornare alla civiltà, soltanto per essere uccisi dagli indiani Shivwits. Il resto giunse a destinazione ormai all’estremo stremo delle forze, presso quella che sarebbe diventata l’odierna Salt Lake City; da allora questa appassionante vicenda, largamente nota al popolo americano, è stata commemorata in due modi: il film prodotto da Walt Disney, Dieci uomini coraggiosi (1960) ed un labirinto di strette fessure, che conducono, infallibili, fino ad un’ampia polla, dall’acqua limpida e il paesaggio incontaminato. Un centro turistico di primo piano, questo vasto e labirintico lago Powell.
Nonché divertente. Offre ogni sorta di intrattenimento, come una Rimini sospesa tra i diversi deserti del continente americano. Vi sono riserve di pesca, porticcioli, centri sportivi. Vi si pratica il nuoto, il wakeboarding e ci si tuffa dalle alte rocce a strapiombo, poste tutte attorno, senza incorrere in particolari pericoli accessori (niente squali né megalodonti). C’è inoltre la possibilità, per chi non ha carenze di intraprendenza e capacità di guida, di intraprendere un piccolo viaggio di esplorazione, in memoria e celebrazione di quell’uomo che qui rischiò la vita, dopo averla già rischiata altrove, finendo per dare il nome ad un tale bacino. Si comincia prendendo in affitto una moto d’acqua, come il qui presente Christian Yellott, nel suo video da oltre un milione di visualizzazioni. Il resto vien da se, al ritmico suono del propulsore…

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Una macchina per scaraventare i salmoni

Fish Cannon

La vita dei pesci di allevamento è già abbastanza difficile senza sperimentare la traumatica esperienza di essere tirati via dall’acqua, sollevati oltre i confini della propria casa e venire trasportati faticosamente a braccio, lungo percorsi sdrucciolevoli, verso le vasche di una nuova prigionia. E pensare che per propensione non dovrebbe avere alcun problema! Creature come queste, in natura, sono prive di radici. Un pesce vagabondo, com’è quello dalle carni rosa e tenere per eccellenza, non ha possedimenti terreni da lasciare indietro. Ma piuttosto un obiettivo troppo chiaro innanzi ai suoi due occhi scuri e acquosi: raggiungere la splendida compagna, presso le cime da cui scaturisce il fiume, oltre la bocca del palmigrado ursino, gli artigli del falco pescatore o gli stomaci dei lupi o topi troppo fortunati. Egli, pesce senza presupposti metropolitani, viaggia nuotando in salita sotto i fusti d’albero della foresta, senza mai guardarsi indietro, nella piacevole incoscienza della sua mortalità. Mentre il compagno ormai perduto da generazioni, frutto della selezione artificiale, vive in vasche meditando. Non è che la sua vita sia peggiore, in senso universale. Né particolarmente breve, di confronto: il salmone dell’Oceano Atlantico, normalmente, abbandona le acque della sua maturità dopo soltanto un anno, per intraprendere il faticoso viaggio che lo porta a riprodursi, svuotarsi di ogni risorsa e forza per morire soddisfatto. La libertà, per simili scagliose creature, vuole dire dedicare tutta la propria breve esistenza alla realizzazione di quel singolo momento: la trasmissione topica del proprio DNA.
Al confronto vivere in spaziose vasche, asserviti ai desideri e al gusto degli umani, ha alcuni lati positivi. La sicurezza di riuscire a prosperare, riprodursi. Benché disseminata di attimi di assoluto terrore, purtroppo ricorrente: stiamo parlando di quando si viene trasferiti da una vasca all’altra. Gli allevamenti chiudono, si spostano, diventano sovraffollati. A quel punto, è necessario traslocare. Per spostare 10 pesci. 100, 1.000 o 10.000. Per farlo con la massima efficienza, tranquillità, una ragionevole considerazione per l’igiene: questo è l’Hydrovision 2014 della Whooshh Innovations, un’azienda  (provate a dirne il nome quattro volte di seguito) che promette straordinari risultati in questo campo delicato, pregno e rilevante. Il segreto sta nell’utilizzo sapiente dell’aria compressa. Il meccanismo, che sta proprio in questi giorni riscuotendo un grande successo sui maggiori social network, consta di un lungo tubo flessibile, largo esattamente quanto il pesce da spostare. E di un poderoso motore elettrico a pressione. Si tratta, per usare un’analogia, della versione ittica dei tubi pedonali visti nel cartone Futurama, in cui un sistema simile veniva usato dai cittadini al posto del trasporto pubblico, con un significativo aumento di praticità nel muoversi attraverso i grandi centri urbani.  Per non parlare di quella magnifica emozione di volare…

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Dragoni cingolati di foreste canadesi

Ponsse Scorpion

Ai margini occidentali della Columbia Britannica, vasta provincia nordamericana, si trovano rispettivamente la città maggiormente popolosa e quella più antica della zona. Sono Victoria e Vancouver, l’una sulla terraferma, l’altra capoluogo costiero, oltre un braccio di mare e su di un’isola che ha nome, alquanto stranamente, anch’essa Vancouver. Come il suo insediamento contrapposto, piuttosto che quello direttamente soprastante. Fraintendimento comprensibile. L’incontaminato e fronzuto Canada naviga in due Oceani, non uno soltanto, ciascuno da esplorare con dei mezzi molto differenti; il primo è di barche, navi ed aliscafi. E l’altro è il dedalo dei tronchi, un verde labirinto dalle molte vie d’ingresso. Ovvero, il bosco misterioso. Chi dovesse entrarvi partendo a suo rischio dalle coste dello stretto di Georgia verso Est, si ritroverebbe presto circondato da conifere rabbiose, pini atroci e querce belluine; gli antichi nemici dell’umanità. Alberi, questi, che sottintendono mancanza di controllo, spazi e strade da percorrere su solidi pneumatici, tra il metallo di automobili rassicuranti. Siamo forse scoiattoli, pernici o beccaccini, a doverci accontentare delle intercapedini di un legno stolido e indefesso…
Tutto questo, inoltre, sottintende la questione architettonica. Del materiale, per l’appunto. Quell’utile sostanza ormai defunta, la polpa e la corteccia, da tagliare, levigare ed inchiodare su pareti, paraventi e scrivanie. Il legno arreda e costruisce, offre rifugio dal pericolo degli elementi. Non avremmo ad oggi le nostre svettanti città, senza aver pagato un caro prezzo in vita vegetale. Il che si traduce, essenzialmente, in una singola latina locuzione: nemora delenda est. “Sia dannata la foresta, boscaioli, e tutto quello che contiene” Dicevano gli antichi, alquanto ingenuamente. Ancora non capivano, in mancanza del bisogno, che il mondo naturale deve esser coltivato. E trattato con rispetto; altrimenti, alla fine cosa resterà? Solamente l’incredibile tecnologia, roba da nulla! Quella, come questa, in grado di produrre macchine, stupende, che risolvono i problemi. PONSSE Scorpion: vi presento il fulmine svedese con otto pneumatici, cingolabili all’occorrenza, una cabina stabilizzata e il braccio distruttivo di un titano. Armato, quest’ultimo, di uno strumento assai particolare, detto harvester. Perché gli alberi, come noi uomini, sono sostanzialmente tutti uguali. Ben lo sapevano i francesi, durante la celebre Rivoluzione. Quando ghigliottinavano i nemici del Progresso: una testa rotola, lo stesso. Purché sia ghigliottinata e ghigliottinare un tronco, dopo tutto, non è così difficile. Basta premere un pulsante di questa cabina di comando.

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