Se il maiale miagola con la pianola

Thimble Mini Pig

Non tirategli il salame, a questo strano cane! / Stamattina il contadino /nello spiazzo del pollame / ci ha piazzato un botteghino / per fornire al suo reame / un concerto ammaliatòre /del premiato maialino / trionfatòre dell’esame. Aw, yiss, pura poesia dinamica, nenia saltellante in chiave di violino. Thimble fa di nome, questa artiodattile ungulata, dall’ugola dorata. Ebbene si, sarebbe poi una lei. Peccato non facesse rima, la maiala concertista. Personaggio degno di candidarsi come protagonista del nuovo film Pixar, se non fosse, molto chiaramente, fatta tutta-tutta in carne (mmm) ed ossa. Perché del porco non si butta nulla! Tanto meno l’affetto che può darti e il suo talento, se soltanto gli offri il modo di conoscerti un po’ meglio. Sono animali intelligenti, questi qui, adattabili e testardi. Proprio-come-noi-potenti-umani, sissignore. Che siamo tanto tesi a criticare certe scelte alimentari di paesi assai distanti, da non renderci conto che anche il tipico suino è ricettacolo di un’augusta e magnifica beltà.
Oltre che bontà – per l’appunto, proprio perché impara dalle circostanze. La caratteristica dei video internettiani, per loro immancabile definizione, è la tendenza a scomparire verso il basso delle pagine virtuali. Sempre più lunghi e articolati, blog e siti pluriennali si riempiono di cose nuove, immancabilmente affascinanti e soprattutto diverse, travolgenti, senza veri precedenti. Tutto scorre per sparire, un tragico e spietato giorno dopo l’altro.  Ma, visioni come queste. Restano. Tutta la vita! Thimble zampetta sul suo piccolo strumento, presso il giardino dei Diamond Bar Kennels, istituzione che teoricamente alleva e addestra purissimi labrador di razza. Però ecco, questo particolare esemplare… Potrebbe essergli uscito un pochettino strano. Oppure oibò, sara un incontro non previsto. La titolare del canale YouTube rilevante all’occasione, che per l’appunto si fa chiamare Panzertoo, l’avrà probabilmente adottata per analogia con Paris Hilton, paladina delle cose piccole e pelose. Un’esperienza che oltrepassa il tipico confine del chihuahua, questa qui, penetrando nell’arcano regno delle idee. Chi lo sa. O forse, piuttosto, la venture avveniristica di un nuovo business, ovvero la rivendita di bestie meno inflazionate dal mercato. Meno concorrenza=più guadagno. Ad ogni modo, guardate quanto è brava! Il modo in cui alza il suo musetto – pardon, grugnetto? – Verso l’alto, puntando gli zoccoli anteriori sulle note provenienti dritte dal suo estro musicale. La ridicola coda tronca che si agita nel vento, le orecchie irsute e setose, gli occhi semi-chiusi dal piacere. Chi dovesse innamorarsene, sarà giustificato, anzi! Dovrebbe cliccare sulla pagina Facebook dell’impareggiabile ani-maiale, ormai online da molti anni. Per trasformare un tale fenomeno, come i suoi predecessori canidi e suini, nell’ultima tipologia di eroe dei nostri tempi. Il meme umano-non-umano, galoppatore entusiastico  di valli e villi polmonare. Fin dentro ai nostri cuori spaziosi ed affamati di prosciutto. Sovviene, ad ogni modo, un vago dubbio. Non ci sarà mica, per caso, il trucco?

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La beccaccia balla senza cubo

American Woodcock

Non vola tanto spesso, questo uccello, ma quando finalmente si decide… L’american woodcock, o scolopax minor, è un abitante dei boschi dal peso di 230 g al massimo, con il becco a punta e gli occhi tondi e neri, stranamente arretrati sulla testa. Cresce presto. Mangia vermi. Si mimetizza. E quando arriva la tardiva primavera, negli stati nevosi in cui è solito abitare, la saluta per il tramite di uno speciale rituale. La danza e il canto di un amore senza fine, espresso in quel linguaggio universale che si può tradurre in gesti, suoni e sentimenti. Memorabile è il suo modus, degno di entertainer consumati, con le penne ben rodate da milioni d’anni di evoluzione. Verso sera e verso sud, dondolandosi tra i bassi cespugli dove ha costruito la sua casa, l’uccello raggiunge i margini della vegetazione. Emerge dagli alberi natii, da quel tiepido rigoglio, stando bene attento che non sia presente un predatore. Quindi, trovata una radura, un pascolo, uno spiazzo qualunque, subito si mette a gorgheggiare. Con il caratteristico piglio onomatopeico della lingua inglese, esiste un verbo apposito che definisce pienamente il verso di questa beccaccia: (to) peent. Peent, peent, peent (ripetere ad oltranza) Poetando in tale modo il suo entusiasmo, il maschio inizia a passeggiare in circolo, guardando bene intorno, nella speranza di scorgere la sua compagna. Lo fa per una, due, tre serate. Finché, d’un tratto eccola lì. La gallina (hen) splendida della foresta, decisamente più imponente del suo principe marrone. Lui incrocia il suo sguardo per un attimo, stringe il becco e dispiega le potenti, tozze ali. Tempo di far festa.
Lo scolopax può tenersi in aria ad una velocità di soli 8 Km/h, un record all’incontrario, tra i suoi simili pennuti. Fa tutto parte dello show. Il culmine operativo dello spettacolo aereo, ad ogni modo, ricorda un po’ l’attacco dello Stuka, il bombardiere tedesco che fischiava in picchiata per gettare nel panico il nemico. Come quest’ultimo, l’uccello vola in modo erratico e scomposto, benché non abbia il fine di dissuadere la contraerea. Si alza a 100 metri di altitudine, continuando il suo *peentare* finché a tale suono non si aggiunge un nuovo accordo; è un sibilo, il fischio del finale. Lo produce sempre lui, con le penne esterne delle ali.
In una folle discesa, valido contrappunto del suo vagheggiare precedente, si arresta in una parabola elegante, tra l’erba lievemente mossa dal vento. Nel silenzio ritornato della sera, lui ritrova la sua lei.

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La vendetta dell’oblungo ballerino

s Funk Guy

Chi l’ha visto, assai probabilmente, lo ricorda. Difficile rimuovere dai propri archivi il sottile, storto volto di Cool Guy, l’uomo ganzo. Persino pericoloso. Di questi tempi, colorati pupazzi californiani si armano di fucili giocattolo, oppure di sassofoni, poi vanno e danzano per strada in cerca di celebrità. La prima volta è capitato nel 2009, sulla sincopata musica di un breve brano funk. Alquanto ripetitivo, ma tant’è. Ci aveva pensato un certo Grigio un po’ dinoccolato, con la felpa ed il cappuccio, come fosse fuoriuscito dall’ennesimo episodio degli X-Files, a dargli un senso duraturo. Internet funziona in questo modo: qualcuno crea una cosa, poi sparisce. Milioni di persone cliccano il gustoso video, lo commentano ne aspettano l’evoluzione. Poi per anni tutto tace, fino a che… Da un paio di settimane, sul canale YouTube dei Lonely Boy Industries, il duo di comici auto-pubblicato dietro a quell’idea memetica senza particolari imitazioni, si svolgeva questo strano conto alla rovescia. Sullo sfondo di scenari cittadini poco chiari, sulla spiaggia di località non meglio definite, c’era nuovamente lui, quello che non parla: con la stessa maschera violacea che nasceva da “un progetto scolastico di Devin” (cit. Knowyourmeme) e il passo degno di uno showman anni ’50. A questo punto pensavamo tutto fosse chiaro; ahimé, che svista!
Giorni cupi richiedono l’apporto di più freschi buontemponi. E giustappunto, sull’alzarsi del sipario virtuale, sullo schermo abbiamo ritrovato non il già celebre Cool Guy, ma il del tutto nuovo “Mr Funk”. Con una corporatura che pare fuoriuscita dritta dal pianeta folle di ToeJam & Earl (Sega Megadrive – 1991), l’indimenticabile epopea funk dei videogiochi a 16-bit, l’allegro figuro vanta pantaloni bianchi, scarpe lucide e camicia fantasia. Ma sopratutto un ponderoso capoccione con sopracciglia fuori posto, capelli crespi e bocca tonda. I suoi creatori, coadiuvati da un notevole miglioramento tecnico nel plasmare la cartapesta, hanno giocato sulle strane proporzioni: le mani del costume sono finte ed alla fine di avambracci spropositati. Questa incongruenza, fra le altre, è forse quella che contribuisce maggiormente alla stranezza dell’insieme. I fondamenti del genere musicale cosiddetto “sporco ed attraente” nato dai fortuiti sincretismi tra la musica del jazz e il blues, dovrebbe soprattutto favorire un senso naturale di cameratismo. La fratellanza festaiola di chi ha soltanto voglia di giocare, libero da pregiudizi e inibizioni. Peccato che questo fatto, per astruse ragioni, nessuno l’avesse mai comunicato al primo mietitore della serie. Che si nascondeva fra le mangrovie soffocanti…

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Musica di rocce vietnamite

Litofono

A vedere questa ragazza vietnamita con due martelli, mentre suona il suo litofono ancestrale, sovvengono questioni stravaganti. Come questa: chi l’avrebbe mai detto, che rock è un genere, ma anche uno strumento! Nascosto nelle viscere magmatiche di questo mondo c’è un macigno così pesante, grosso e denso da resistere alle forze delle epoche trascorse. È lucido ma opaco, smussato ai bordi, eppure frastagliato. Nessuno l’ha mai visto, né sentito. Ha molti nomi e due pronomi, poiché racchiude Venere, femminea, ma anche Marte, il vigoroso. Tale roccia monolitica ed immota, se percossa col martello, produrrebbe un suono tanto preminente, così accattivante, da poter svegliare draghi ed unicorni. Per secoli e millenni la soave pietra, bella e maledetta, è stata al centro dei pensieri e delle gesta degli esploratori, armati della zappa, della corda del piccone. Mentre narratori e menestrelli, con la penna e con la cetra, l’hanno tratteggiata pure troppe volte, tramite parole dalla dissonanza sovversiva. Maledette malelingue. Cerca e scrivi, sfrega e stridi, siamo giunti a questa conclusione: questa qui è la Volta, il Paragone. Se davvero fosse mai trovata, tale stele, se qualcuno la suonasse, nascerebbe l’universo. Con un doppio tonfo sordo, in sovrapposizione a quello già esistente! Un disastro senza precedenti. Ciò che serve per la mente non è quella originale ma una copia, l’approssimazione.
Nulla si crea e niente si distrugge, tranne le note di una qualsiasi melodia. Termodinamica permettendo, certe vibrazioni sono figlie di due fonti ben distinte: una è la mente, l’altra l’energia. Non puoi contare i tuoi neuroni, da vivo. C’è un contenuto di pensieri che si aggiunge a quell’oscillazione di atomi e ossicini, dentro al tubo misterioso dell’orecchio umano. Giustappunto, furono i nostri antenati ad inventarla. La musica. Come il fuoco, acquisito per associazione dalla furia elettrica dei temporali, anche il suono armonico è stato ripreso dalle cose preesistenti. Che affioravano placidamente, sotto i piedi, senza voce ma ricche di precipue possibilità. Difficile intuire chi l’abbia capito prima, dietro a che confini, sotto quale sole. Però ebbene, in Vietnam, prima delle antiche civiltà, alcune culture montanare erano solite scavare delle pietre assai particolari…

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