Il fuorviante richiamo di un lago pieno di azzurri veleni

In una società sommamente devota al culto delle immagini che cosa mai potrebbe avere importanza, se non il sottile strato di polvere dorata che ricopre delicatamente le occulte questioni, come neve portatrice di un’ulteriore condanna per gli inconsapevoli umani… Splendido e appariscente, come il colore di un rilassante azzurro cielo che caratterizza il magnifico mini-mare della location quasi cinematografica diventata famosa presso i lidi dell’Internet social con sede a Novosibirsk, terza città russa per popolazione, situata nel bel mezzo della non climaticamente tiepida Siberia. Ragion per cui ogni cosa ci si aspetterebbe di trovare da queste parte, tranne la schiera di fanciulle o baldi giovani capaci di pubblicare uno stuolo di fotografie variabilmente professionali, ma sempre utili a sembrare belli, atletici, interessanti, rilassati, alla moda […] presso uno scenario che sembrerebbe direttamente prelevato da una guida turistica per le isole Maldive o Seychelles. Entrambi nomi, questi, assegnati per analogia alla “Discarica di Cenere TEZ-5” ameno recesso il cui appellativo originario lascia sospettare, almeno in parte, l’orribile verità. Le prime avvisaglie ci sono state all’inizio del mese scorso, quando alcuni degli instagrammers abituali frequentatori/ici di un così attraente luogo hanno potuto verificare il progressivo disfacimento “a scaglie” della suola di gomma delle loro scarpe, per ragioni almeno apparentemente indipendenti dalla normale usura di un simile materiale. Quindi qualcuno ha riportato una forte irritazione alle gambe, soltanto per averle intinto brevemente durante una sessione fotografica a cavalcioni del suo fido fenicottero rosa gonfiabile. Mentre all’attivista ecologica Ulyana Artamonova, giunta sul posto per verificare alcuni legittimi sospetti in merito alla questione, è ben presto venuto un fastidioso sfogo sul volto, apparentemente soltanto per aver trascorso un tempo eccessivamente lungo in prossimità della stessa aria capace d’increspare le limpide, chiari e fresche acque.
A lato delle quali, se soltanto i cultori della propria stessa bellezza possedessero uno spirito d’osservazione verso l’esterno pari a quello per i chili superflui, le difformità esteriori o imperfezioni degne di essere sottoposte a chirurgia plastica, permaneva il fin troppo evidente indizio relativo all’effettiva, “insospettabile” verità: una certa quantità di grossi tubi arrugginiti, serpeggianti tra l’erba, tutti egualmente orientati nella generica direzione delle alte ciminiere della Centrale Elettrica a Carbone SGK Numero 5 (Dove l’acronimo sta per: Siberian Generating Kompany) uno dei principali luoghi responsabili per le televisioni, i frigoriferi, gli impianti di riscaldamento e le altre diavolerie tecnologiche in dotazione al milione e mezzo di anime che popolano il vasto territorio di Novosibirsk. Vero e schietto miracolo di un modo moderno di fare le cose, tutto ciò, se non fosse per la naturale presenza di un volgere degli eventi eguale e contrario, ovvero l’inevitabile produzione collaterale di grosse quantità della polvere bianca nota come ossido di calcio (o calce viva) da scaricare, senza eccessivi complimenti, nell’unico elemento capace di contenerla: l’acqua…

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Cartoline da un pianeta dove il sale può spostare le montagne

Quanti drammi e quanti sforzi, quante tragiche battaglie! Nel rincorrersi dei secoli attraverso il corso della storia: continente, Eurasia, zona, Medio Oriente, nazione, Iran. Ciro e Dario, le loro satrapìe, ambizioni di conquista e prove tecniche di un grande Impero; quindi la venuta del Macedone con le sue armate dalle implacabili sarisse ed infine, il corso tormentato di una lunga guerra moderna ed ahimé, contemporanea, soltanto per riuscire a controllare i pozzi di petrolio di una ricca eredità sotterranea. Eppure, è mai possibile? A tal punto essere presi, dal profondo desiderio del tipo di ricchezza che deriva da una simile risorsa, da dimenticarsi il tipo di conflitti che da un tempo assai più lungo, in quegli stessi luoghi, sono stati combattuti sotto-terra. Poiché dove affiora la ricchezza del profondo, che sia liquida, gassosa o in ogni caso fluida, dev’esserci per forza qualche cosa di non permeabile a riuscire a trattenerla. E quel qualcosa, molto spesso, è il sale (NaCl).
Tra tutte le gemme che derivano dalle occasioni di contatto tra diversi componenti minerali, forse la più candida e perfetta, così solida e immutabile, quindi capace di restare suddivisa in singoli granelli indipendenti. Il che comporta, come è noto, la creazione di un ammasso stratiforme che possiede il nome di diapiro. Un po’ come, se vogliamo, la gustosa farcitura di una torta (salata?) che inevitabilmente, per le leggi della fisica, non può che SPINGERE in direzione chiaramente contro-gravitazionale. A ben pensarci, niente di tanto strano: come in mare, come al lago, per quel principio di galleggiamento che permette il galleggiamento di un tappo di sughero, dove ciò che ha densità minore, per suo conto, non può fare a meno di galleggiare. Ma ora immaginate questo stesso identico processo, per le infinite tonnellate di materiali che compongono l’intera zona di contatto tra due placche continentali, quella arabica e le terre emerse tra il Mar Caspio e il Golfo Persico più a meridione. Perfetto: avete appena visualizzato la catena montuosa di Zagros.
Le chiamano cupole benché tecnicamente, non siano che una delle tante possibili espressioni della cosiddetta tettonica salina, tramite la quale molto spesso, le distese derivanti dalle ancestrali evaporiti di un mare ormai prosciugato da incalcolabili generazioni affiorano, perforano ed iniziano a riversarsi in superficie. Creando quelle insolite caratteristiche del paesaggio che ricordano fiumi, ghiacciai e persino cascate. Mutevoli ma persistenti. Almeno finché un’affamata capra, per una ragione o per l’altra, dovesse finire per passare da queste parti…

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Un tuffo nel baratro di Mirny, cuore diamantato della Siberia

Mir, Mirny o Мир. Erano trascorse soltanto alcune decine d’anni, eppure sembravano secoli. Dopo intere generazioni di addetti ai lavori, impegnati nella perforazione e l’ampliamento di quello che restava, ancora oggi, il secondo buco più profondo mai realizzato dall’uomo, i macchinari tacquero finalmente. Per un’ora, due, un giorno, una settimana. Finché non divenne chiaro come un simile stato apparente di quiete, per lo meno in superficie, avrebbe avuto modo d’estendersi a tempo indeterminato. Il sentiero spiraleggiante fino al fondo del baratro iniziò a ricoprirsi di ghiaccio. E fu allora che l’elicottero con cameraman a bordo, recentemente giunto dalla città di Yakutsk situata circa 1.000 Km ad est, scelse d’intraprendere una missione intrigante: mostrare al mondo, o per lo meno alla parte di esso che presentasse un seppur vago interesse, l’aspetto di un’apertura verso le viscere del mondo profonda 518 e larga 1250 metri. Con il suono regolare delle pale mascherato dal sibilo del vento, l’abile pilota diminuì la sua quota con la massima cautela, al fine di migliorare l’inquadratura. Finché all’attraversamento di un confine invisibile, non capitò qualcosa: per ragioni fisicamente poco apparenti, il rotore principale dell’apparecchio iniziò a sviluppare una quantità inferiore di portanza. E mentre perdeva bruscamente di quota, la cabina s’inclinò da una parte e dall’altra, e iniziò quel tipo di rotazione che per i vettori ad ala rotante precede, generalmente, un rovinoso contatto col suolo. Le pareti scoscese si facevano sempre più vicine!
Fama meritata o immeritata che sia, c’è indubbiamente qualcosa d’inquietante nel concetto di una letterale Scilla (o forse si trattava di Cariddi?) delle vaste distese di permafrost dell’Eurasia, capace per un qualche tipo di fenomenologia mitologica d’attrarre, e addirittura fagocitare i più incauti viandanti del cielo tagliato a fette dal rombante motore. A partire da una situazione, almeno fisicamente, in realtà piuttosto chiara: l’aria più calda che sale dal fondo dell’angusta e profonda voragine, generando pericolosi vortici al contatto con gli strati gelidi soprastanti. Con questo effetto sugli aeromobili, secondo svariati resoconti più o meno diretti, potenzialmente letale. Eppure sarebbe decisamente difficile, anche a fronte di una simile conoscenza ed esattamente come nel caso dello stretto citato da Omero, pensare di resistere al richiamo palese di un tale luogo, un tempo fonte irrefutabile di un terzo abbondante di tutti i diamanti introdotti nel mercato globale. Già, una miniera… E per essere più precisi, del tipo a cielo aperto, scavata con le ruspe, la dinamite e talvolta, attrezzatura di tipo manuale appartenente a distanti contesti storici, mentre il flusso pressoché continuo di motori a jet veniva impiegato per sciogliere i ghiacci eterni, permettendo ai minatori di un simile luogo di raggiungere le posizioni preposte alla loro operatività professionale.
Ma la storia della vasta miniera di Mirny, importante punto di riferimento e fondamentale risorsa economica per l’intera quanto remota repubblica di Jacuzia, persino a partire dalla chiusura nel 2004 del suo fossato principale, può trovare una genesi ancor più remota…

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Il tortuoso viaggio di una torre alta 96 metri

Dei tipi davvero complicati, questi idrocarburi. Non puoi vivere a stretto contatto con loro, ma non puoi nemmeno farne a meno. Resti fossili della Preistoria, rimasugli liquidi o gassosi di creature ormai dimenticate, trasformazione alchemica di ciò che un tempo camminava, strisciava, nuotava e volava su questa Terra. Oggi preziosi per una ragione sopra tutte le altre: la combustibilità. Ma non solo. E se io fossi qui per ricordarvi come ogni oggetto di plastica nelle vostre case costituisce in realtà la remota derivazione di un’insieme di cellule un tempo scintillanti, sublimate da quel brodo primordiale per trovarsi riordinate in un reticolo proficuo ed altrettanto redditizio? Attraverso uno specifico processo condotto in verticale dentro l’alambicco, in ciò che abbiamo la capacità di ricondurre al semplice strumento di un laboratorio, oppure una distilleria di liquore.
Perché ogni cosa può essere declinata su diverse scale di grandezza e quell’oggetto monumentale che ha fatto la comparsa, esattamente quattro giorni anni fa, sulle strade canadesi vicino la capitale regionale di Edmonton, nella provincia di Alberta, per procedere accompagnato dal più impressionante dispiegamento di forze da parte della multinazionale olandese degli iper-traslochi Mammoet, altro non era che la declinazione metallica di quell’oggetto sulla lunghezza approssimativa di un campo da calcio, secondo le precise linee guida identificate nel progetto di una torre di frazionamento. E di certo in molti l’avranno capito, mentre marciava quasi a passo d’uomo spinta innanzi da letterali dozzine di camion e un paio di piattaforme semoventi dai 26 assi (e che notevole risultato, per un oggetto dal peso di 800 tonnellate!) lungo le 12 strade e viali che collegano la zona industriale della sesta area metropolitana più vasta del Canada fino alla località nei pressi dell’ex-fortezza di Saskatchewan, dove a partire dai prossimi mesi, si occuperà di trasformare il gas propano estratto localmente in una quantità stimata di 525.000 tonnellate di plastica ogni anno.
Un’impresa difficile, un record nazionale ed in qualche maniera assai probabilmente, anche globale, a patto d’individuare il giusto numero di tratti di distinzione nel riassunto dell’impresa. Eppure anche l’unico modo possibile di ottenere il risultato desiderato, quando si considera il basso grado di tolleranze e le specifiche esigenze di un tale apparato, per sua stessa natura praticamente impossibile da assemblare in loco. Stiamo parlando, dopo tutto, del cuore stesso di un impianto petrolchimico come quello della Inter Pipeline che l’ha commissionato, il cui funzionamento stesso e condizionato da ogni singola saldatura, ciascuna svolta a gomito del suo arzigogolato percorso interiore…

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