Il problema degli ulivi per l’insetto nella camera di bolle

Nella quiete soltanto apparente del più avanzato stadio del sonno REM, gli eventi immaginifici assumono proporzioni mostruose o abnormi. Così un gesto tra i più naturali, come liberarsi dell’urina che ci appesantisce la vescica, diventa un’Odissea attraverso lunghi viaggi in automobile, infernali interrogazioni scolastiche, estenuanti maratone sotto l’occhio attento di un pubblico con telecamere puntate. Immaginate dunque la sorpresa che potrebbe ricadere su di noi, se al momento del risveglio ci trovassimo in un luogo ed una situazione totalmente all’opposto: non più sul nostro letto duro/morbido di appartenenza, soltanto a pochi metri dal sollievo del bagno di casa, bensì all’interno di una stanza oscura ed imbottita formata da una spuma di bolle, vagamente simile all’interno di una capsula in viaggio verso la Stazione Spaziale Internazionale. E l’organismo che c’informa, in modo stranamente rilassato, che la crisi ce la siamo ormai lasciata totalmente alle spalle. Poiché nessun fluido preme più lo spazio angusto di quel sogno tormentato… Mentre un’oscura connessione, lentamente, inizia a prendere forma tra le nostre sinapsi che si accendono all’unisono, neanche fossero le lucciole di un tardo pomeriggio d’estate!
Nessuno può realmente ipotizzare, o in qualche modo concepire, lo stato di coscienza della minuscola sputacchina o spittlebug (superfam. Cercopoidea) la prima volta che all’uscita dall’uovo materno sceglie di lasciare temporaneamente il mondo della veglia. Uno stato per lei corrispondente, in maniera pressoché totale, con l’infliggere la rigida proboscide dentro lo xilema o sistema linfatico della pianta, fino all’accumulo di una quantità di liquidi totalmente spropositata rispetto alle proprie singolari necessità. O che tale certamente sarebbe, se queste ultime appartenessero esclusivamente all’ambito della nutrizione o sostentamento, senza includere anche il bizzarro intento architettonico di costruirsi una vera e inespugnabile fortezza d’urina.
È tutto ciò uno strano adattamento alla sopravvivenza, poco ma sicuro, per un insetto imparentato con le cicale ma ancor più strettamente gli afidi che vivono ai margini del sistema vegetale, traendone il consueto giovamento dei parassiti. Che tuttavia risulta, possiamo ben immaginarlo, estremamente efficace: il letterale bozzolo di bolle, formato dalla linfa pre-digerita in aggiunta ad uno speciale fluido viscoso, si presenta infatti con l’aspetto di un involucro abbastanza spesso, il cui gusto acre può riuscire a scoraggiare un qualsiasi predatore. Fermando, inoltre, il passaggio dell’ossigeno, ragion per cui è davvero una fortuna che la sputacchina non possieda neanche l’ombra di un polmone. Potendosi accontentare per l’assunzione del gas vitale di far emergere dal cumulo di bolle la parte estrema del suo posteriore, usata dunque allo stesso tempo per espellere ed assumere, espellere ed assumere i due fondamentali fluidi dell’esistenza. Finché l’ora di quel lungo sonno che precede la metamorfosi verso l’imago o stadio adulto non potrà figurare a pieno titolo tra gli impegni delle sue lunghissime giornate. Affinché l’ultima bolla possa lasciare il suo corpo, destinato a diventare del tutto irriconoscibile persino per colei che l’ha messo al mondo…

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La nascita di un muro di ghiaccio sulle sponde del fiume Niagara

“Ce l’ho fatta, ce l’ho fatta!” Grida l’uomo comprensibilmente esagitato, rispondente al nome di Superman sull’elenco degli utenti di YouTube “Per Diana, l’ho ripreso in video!” (Seguono espletivi non propriamente ripetibili) “C’era un margine di 30 secondi per riuscirci, ed io l’ho fatto.” Il tono è allegro, incredulo, soddisfatto e terrorizzato al tempo stesso. Mentre la sua voce, nonostante il tono possente, riesce a sovrastare a malapena il ruvido frastuono di ciò che stiamo vedendo assieme a lui, grazie all’obiettivo della videocamera di un cellulare mantenuto, per nostra in fortuna, nella più consona posizione orizzontale: qualcosa di bianco, qualcosa di grande, qualcosa d’impressionante. Dalle apparenti profondità di un corso d’acqua candido perfettamente riconoscibile, grazie al ponte internazionale sullo sfondo, come l’imboccatura del fiume Niagara, a partire dall’Eire (il cui successivo dislivello tra due Grandi laghi da l’origine a quella che potremmo facilmente definire la più celebre cascata del pianeta Terra) sta infatti emergendo il più impressionante ammasso semi-solido di blocchi in sovrapposizione, che scavalcando facilmente l’argine protettivo eretto in prossimità dell’arco commemorativo di Mater, inizia a crescere in direzione del plumbeo cielo. È una scena che potremmo associare mentalmente alla creazione della leggendaria Barriera di Westeros, posta dall’autore de Il Trono di Spade George Martin a proteggere i regni degli umani dall’assalto dei non-morti redivivi, successivamente trasformata nella versione fantasy del vallo di Adriano eretto contro l’invasione dei Pitti. Neanche un coraggioso Nativo dal copricapo in piume d’aquila o Messicano fuori dal proprio contesto geografico di provenienza, d’altronde, è coinvolto nella storia di un siffatto monumento in corso d’opera, trovandoci effettivamente innanzi a uno sferzante colpo di coda di quella che è potrebbe essere soltanto ed esclusivamente la Natura.
È tutta colpa di quello che chiamano, da queste parti, frazil [ice]: sostanza non propriamente newtoniana, con una consistenza paragonabile allo slush (granita tritata in modo sottile) che si forma al di sotto di particolari temperature, quando l’acqua soggetta a scorrimento ultra-rapido inizia improvvisamente a congelarsi. Dando l’origine a un’incalcolabile pletora di cristalli sfavillanti, capaci d’intasare i canali di navigazione, soverchiare gli stramazzi e causare intoppi nei tubi d’ingresso delle centrali idroelettriche, aderendo in modo saldo ad ogni superficie liscia e/o artificiale che, nostro malgrado, possa riuscirgli d’incontrare durante il proprio tragitto verso il mare. A meno che a qualcuno, allo scopo di preservare impianti e strutture d’importanza civica rilevante, non venga in mente d’installare un’idonea contromisura…

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Ghiaccio e gomme sul torrente dove sfrecciano i go-kart

Il rombo, il grido, lo scricchiolìo. Nella la ricerca e l’estasi di uno stato di massima realizzazione motoristica, descritto nell’inerzia di quel movimento che può unicamente perpetrare se stesso, al ripetersi di un gesto predeterminato: far girare, per molte decine di gradi, lo stesso anello del comando, noto ai più col nome di “volante”. Eppure per colui o colei che siede in quella posizione, scomoda e desiderabile allo stesso tempo, appare molto chiara la totale assenza di una diretta corrispondenza tra la direzione scelta e quella percorsa dal veicolo, indirizzato in modo trasversale all’apice di questa curva o quella successiva. Non esiste alcuna alternativa, a questo punto, che sgommare fino all’ultimo e poi farlo ancora, noncuranti di ogni possibile teorica conseguenza. Tra cui quella maggiormente peculiare, di trovarsi immersi fino al collo dentro l’acqua gelida, del fiumiciattolo nel primo inverno di Togliatti(-grad). Siamo nella Russia occidentale, d’altra parte, presso una delle città più grandi che non danno il nome al proprio oblast (regione) che lo prende invece dalla vasta diga e relativo lago artificiale, che venendo costituito negli anni ’50 fece scomparire l’antica fortezza storica di Stavropol. Ben presto sostituita, in prossimità del Volga stesso, dai moderni palazzi e stabilimenti metallurgici di un luogo destinato a ricevere un appellativo il quale, piuttosto che onorare un patriota della Russia comunista di allora, avrebbe rafforzato la natura internazionale del Comintern, traendo l’ispirazione dall’allora leader e segretario del nostro PCI, Palmiro Togliatti in persona.
Un centro abitato, questo, dove i motori hanno sempre avuto una primaria importanza, a partire dal momento in cui lo stesso personaggio tanto rilevante nella storia dell’immediato dopoguerra curò assieme all’AD Vittorio Valletta il trasferimento e l’implementazione di una massiccia catena di montaggio per la FIAT 124, che prima di essere prodotta in svariati milioni di esemplari, avrebbe qui acquisito il nuovo nome di battesimo di Lada-Vaz Žiguli. Mentre allo stesso tempo, nell’ottica della creazione della “perfetta città sovietica”, il governo fece costruire un alto numero di centri sportivi e scuole per le più diverse discipline sportive, tra cui quelle che avrebbero dato i natali ai club locali ancora rilevanti nel calcio, hockey e nello sport nazionale del bandy. Mentre almeno 10 anni sarebbero percorsi, ancora, fino alla fondazione della scuola di Karting per grandi e piccini A.A.Sinegubova, istituzione sotto la cui prestigiosa egida, a quanto sembra, potrebbe essersi svolta questa singolare iniziativa, successivamente pubblicata online sul canale dello stesso guidatore/cameraman Gennady Novichkov.

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Kiribati, la nazione che rischia di sparire con l’alta marea

In un apocalittico istante sullo stretto istmo di terra che separa Parigi e Londra, il complicato incastro acquatico che separa arbitrariamente il Pacifico Meridionale da quello Settentrionale sembrò contrarsi, quindi espandersi ricoprendo l’unica strada asfaltata di un’intera comunità di 120.000 persone. Non pensiate neanche per un attimo, tuttavia, che tali nomi abbiano lo scopo d’indicare spazi affini a quelli delle omonime grandi capitali europee. Bensì piccole penisole, unite da uno stretto ponte di terra, ai margini di quella che l’esploratore spagnolo Hernando de Grijalva scelse di chiamare nel 1537 Acea. Ma che col tempo, avrebbe visto il proprio appellativo sugli atlanti trasformato in Christmas Island (Isola di Natale) quindi successivamente, secondo le regole fonetiche locali, in Kirimati. La risacca avanza un po’ alla volta, per poi trasformarsi in una vera e propria onda, sufficientemente alta da ignorare la banchina alta appena mezzo metro, attraversando letteralmente la linea tratteggiata che divide trasversalmente il tragitto per le poche automobili locali. Ciò che avviene dopo, quindi, è una vista al tempo stesso surreale e ben collaudata: l’Oceano si apre per accogliere se stesso. Indisturbata dall’aver attraversato una terra emersa dai confini sempre più sfumati, l’onda procede per il suo tragitto verso l’infinito. Assieme ad essa, qualcosa d’insostituibile procede: il corpo in sabbia e terra di un’intero micro-universo, che potrebbe sopravvivere a un simile trattamento per i prossimi… 20, 30, 40 anni? Lapidi silenti a immota testimonianza, come pietre miliari circondate dalle correnti, qui restano le tombe dei soldati caduti in una delle più sanguinose battaglie nel conflitto tra le forze americane e giapponesi. Quando tutto il resto sarà sparito sotto i flutti, chi potrà riuscire a conservarne la memoria?
Il fatto che occorre specificare quando si prende in considerazione il progressivo declino Atlantideo di svariate nazioni-arcipelago sperdute nel più vasto spazio azzurro dei nostri mappamondi, tra cui quella più spesso discussa è anche la più prossima all’annientamento, è che non si tratta di un potenziale disastro nel remoto futuro di un’epoca impossibile da definire; ma un preciso evento, purtroppo non databile, concettualmente già iscritto nell’annuario dell’oltre 85% di giovani sotto i 25 anni che vivono in questo luogo, molti dei quali sono pienamente coscienti di poter arrivare a costituire, un giorno, i primi esuli di un nazione affondata nella storia del pianeta Terra. Ed è particolarmente chiara, nella mente di molti di loro, l’associazione ed ingiustizia fondamentale dell’intera questione: poiché se esiste un centro nero responsabile dell’attuale situazione del mutamento climatico, con conseguente aumento del livello degli oceani, Kiribati è forse il luogo più distante da esso che si possa immaginare. Pur costituendo quello che, a conti fatti, risente maggiormente degli effetti maggiormente problematici della questione. Di documentari per approfondire la questione ne sono stati girati parecchi, molti dei quali liberamente disponibili online (si tratta, dopo tutto, di una “causa giusta”) e parecchie parole sono state spese dai più celebri ed insigni portavoce del movimento ambientalista internazionale. Quest’isola, assieme all’arcipelago che gli fa da corollario, ha più volte accolto ad esempio Leonardo di Caprio, accorato portavoce del suo dramma dinnanzi al vasto pubblico disposto a prestargli orecchio. Ma la più cupa e orribile verità dell’intera questione, come eloquentemente esposto a più riprese dall’ex-presidente di questo paese Anote Tong, è che “…Abbiamo sorpassato l’epoca in cui era possibile fare qualcosa. La sparizione di Kiribati, ormai, è certa. Per tentare di ritardare l’inevitabile, la gente può contare unicamente sulle sue forze.” E proprio questo è diventato una realtà del quotidiano al di là di queste spiagge, perché come è noto, la speranza è l’ultima ad annegare. E qualche volta sopravvive addirittura, gorgogliando, a una così difficile prova…

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