Le quindici piramidi che precorsero la transitorietà delle ancestrali dinastie cinesi

Che una serie di massicce piramidi possa essere “scoperte” in maniera improvvisa costituisce oggettivamente un fatto alquanto sorprendente,. soprattutto se si trovano lungo la costa di una prefettura cinese da 497.000 abitanti, e letteralmente a ridosso di una cittadina che ne conta 86.400. Eppure nell’estate dell’anno scorso numerose testate nazionali ed internazionali, soprattutto di natura digitale, hanno titolato in merito alla presunta ricomparsa dalle offuscate nebbie del tempo di una serie di presunti monumenti denominati strategicamente sulla falsariga delle aguzze tombe dei faraoni, per affinità con le strutture concettualmente non dissimili, benché sensibilmente meno imponenti, delle tombe imperiali della dinastia Xixia (1038–1227). Ecco finalmente un appropriato tipo di attrazione, paesaggistica e proto-storica, per questa località in precedenza fuori dalla preponderante maggioranza delle guide turistiche, per lo più dotata di proporzioni totalmente prive di precedenti: tra i 200 e 400 metri di elevazione rispetto alla valle sottostante, in modo tale da evocare pressoché immediatamente i soliti noti tra cui ufologi, cospirazionisti e cultori dell’origine extraterrestre di plurime civiltà ormai da lungo tempo scomparse. Il che avrebbe costretto di responsabili del marketing turistico ad aggiungere, pressoché immediatamente, il critico debunking delle circostanze, ovvero una spiegazione pratica di cosa, esattamente, il mondo si apprestasse a discutere a margine del loro piccolo, antico angolo di mondo quasi letteralmente sconosciuto fuori dai confini disegnati dai suoi stessi abitanti. Trattasi dunque di 天然金字塔 (Tiānrán jīnzìtǎ) traducibile come “piramidi naturali” costruite dall’azione carsica di epoche eccezionalmente remote, prima di assumere le proporzioni e l’attuale aspetto di vere e proprie colline. Databili, grazie all’analisi stratigrafica del carbonato presente all’interno, all’Era del Triassico (oltre 200 milioni di anni fa) quando ancora l’intera regione di Anlong sostanzialmente non esisteva, rimanendo sommersa sotto le acque salmastre dell’oceano primordiale che assediava i continenti. Le sue lande sottoposte a forze d’erosione più che millenarie, un eone dopo l’altro, così da erodere gli strati meno resistenti per lasciare impervio il nocciolo di pietra dolomitica insolubile, depositato in cumuli creati grazie all’attrazione gravitazionale della Terra. Finché al ritirarsi delle salmastre distese, sottoposte all’energia del sole, le intemperie, il vento, non vennero scolpite molto prima di qualunque mano umana avrebbe mai potuto immaginare di riuscire a farlo…

C’è qualcosa di assolutamente magico ed appassionante in effetti, nella struttura superficiale delle piramidi, messo a nudo in base a quanto narrano le fonti cinesi da un estensivo incendio agricolo del 2024, che portò alla scomparsa della copertura vegetale di alcune di queste colline mostrandone improvvisamente l’aspetto lungamente nascosto. Con una scorza esterna fessurata in modo reiterato e regolare, esattamente come se una serie d’immensi blocchi monolitici fossero stati trasportati, da entità o esseri del tutto ignoti, in tale configurazione esteriormente iconica, con scopi a totale discrezione dell’immaginazione di noi moderni. Il che rientra, d’altra parte, a pieno titolo nella sfera del possibile considerato il tipo di faglie presenti in molti siti geologici di larga fama, come gli hoodoo o “camini delle fate” di arenaria verticalmente disposta o gli affioramenti di basalto colonnare, famosi per la loro sommità ad esagoni o altre forme geometriche infinitamente ripetute. Laddove la loro attestazione nel caso di rocce calcaree come in questo caso risulti decisamente più raro, essendo nei fatti attribuibile, piuttosto che a caratteristiche intrinseche di quest’ultime, all’effetto di fenomeni molto più lenti di natura tettonica e sedimentaria.
Dopo aver dunque collocato cronologicamente questo sito in modo tanto antecedente alla comparsa dell’umanità, ed al tempo stesso dal centro pulsante dei trascorsi centri del potere cinese, potrà in effetti risultare sorprendente l’esistenza di un’associazione diretta tra tali distintive colline e la figura di uno specifico imperatore che proprio qui visse in esilio gli ultimi anni del suo regno, a partire dal 1658 d.C. Sto parlando di Yongli, nome personale Zhu Youlang, l’ultimo dinasta dei Ming Meridionali nonché figura conclusiva di un lungo periodo di egemonia dell’etnia principale degli Han, storicamente ed oggettivamente considerata come l’originale popolazione dei vasti territori cinesi. Quando la venuta dei Manciù dalle gelide steppe settentrionali, coi loro cavalli, archi ed armi affinate da molte battaglie, dimostrò quanto a lungo fosse stata trascurata la difesa e riparazione della Grande Muraglia posta in essere dall’antenato Qin Shi Huang, costringendo il sovrano ad una rapida fuga verso i confini marittimi del proprio regno. Proprio là dove, all’ombra delle vetuste piramidi collinari, esercitò un limitato potere per i tre anni che gli restavano da vivere, prima che voce giungesse ai barbari usurpatori del suo ultimo luogo di residenza, inseguendolo fino in Myanmar per catturarlo e infine riportarlo a Kunming (Yunnan) dove fu giustiziato pubblicamente per fiaccare lo spirito di resistenza dei lealisti locali. Sotto molti punti di vista, la fine di un’epoca e l’inizio di un nuovo periodo d’egemonia, destinato a durare ben 268 anni durante i quali la suddivisione tra gli Han e i loro conquistatori Qing sarebbe diventata progressivamente più labile, portando ad un’integrazione culturale pressoché totale della classe dirigente ed i suoi seguaci. Una tendenza particolarmente nota agli storici per tutti quei popoli depositari di un’antica e complessa civiltà, che sconfitti sul campo di battaglia finiscono in ultima analisi per mantenere un qualche tipo di egemonia, assimilando con successo coloro che non possedevano un corpus paragonabile di caratteristiche o peculiarità evidenti.

Alte ed impassibili, corroborate dalla tipica indifferenza della natura nei confronti delle alterne tribolazioni umane, le “piramidi” assistettero dall’alto a tali eventi, ricordando nella loro forma esplicita quel tipo di essenziali lasciti, che gli antichi assembramenti delle collettività civilizzate ebbero ragione di proiettare verso la prosperità, per ragioni di prestigio, religione, rispetto nei confronti di coloro che avevano ricevuto il solenne mandato dei Cieli. Dinnanzi allo sguardo consapevole del popolo di Anlong, se non l’intera popolazione di un’identità ancora frammentata all’epoca, che attendeva il sorgere di un singolo vessillo in grado di riunire le aspirazioni il senso di appartenenza delle moltitudini, nessuno escluso.
Frangente d’interconnessione possibile la cui latente sussistenza non dovette sfuggire all’imperatore in fuga Yongli, prima che i tragici risvolti della propria storia personale riuscissero a raggiungerlo, senza lasciargli la speranza di un radioso domani. Allo stringersi spietato di una corda di seta, scelta su richiesta del generale manciù Wu Sangui, da usare tradizionalmente per lo strangolamento degli alti dignitari. Il cui sangue, persino in quel frangente, non poteva essere versato sotto l’istrionica ascia o spadone del boia locale. Ancorché resti estremamente difficile comprendere se ciò dovesse nei fatti costituire, in ultima analisi, un privilegio.

Lascia un commento