“Come gli squali impediscono agli uccelli di nidificare” può sembrare un tipo di affermazione priva di logica, se non immaginando gli affamati pesci che spiaggiandosi intenzionalmente, nella maniera praticata in determinate circostanze da orche o delfini, si spiaggiassero nel bagnasciuga intenzionalmente, confidando nell’alta marea per ritornare al proprio ambiente di provenienza. Ma un condritto non respira, aria, e le sue branchie difficili da ossigenare non permettono di architettare simili piani diabolici soltanto al fine di procacciarsi il cibo. Apparirà perciò probabile il nostro trovarci a questo punto innanzi ad una relazione di tipo indiretto. La circostanza problematica che viene dal rapporto tra causa ed effetto.
Nel famoso discorso narrativo dell’attivista e giornalista inglese George Monbiot, “Come i lupi cambiano il corso dei fiumi” viene messa in luce la talvolta imprevedibile interconnessione tra gli eventi. Per la maniera in cui la graduale reintroduzione del canide selvatico per eccellenza nel parco di Yellowstone, nel corso dell’ultimo secolo, potrebbe aver motivato un mutamento profondo ed innegabile della locale geografia; poiché un maggior numero di carnivori portava i cervi a più frequenti migrazioni dei cervi. E ciò ha permesso a quelle valli erbose di rigenerarsi… Favorendo la maturazione di un maggior numero di bacche commestibili, così da favorire una popolazione in aumento di uccelli ed orsi. Mentre l’erosione del suolo, un poco alla volta, favoriva punti di passaggio alternativi per l’acqua delle sorgenti montane! È la cascata trofica, per usare il termine scientifico, alla convergenza dei tre mondi: animale, vegetale, minerale. Il che non tiene conto, in un’ideale perfezionamento delle casistiche prese in esame, degli altri due gravosi pesi della nostra epoca notoriamente disastrosa, l’Antropocene: uomo e tecnologia. O per esser più precisi, l’uomo che PILOTA la tecnologia. Droni volanti, come quelli che hanno cominciato a sorvolare, sul principio dell’attuale primavera, le aree balneabili sulla costa Atlantica, immediatamente circostanti la città di New York. Come contromisura preventiva al rischio di annegamento dei bagnanti oceanici, ma anche al fine di avvertirli per il palesarsi di un rischio non troppo frequente, ma piuttosto funzionale nello scoraggiare il turismo. La pinna verticale, la bocca piena di denti, la pelle ruvida e priva di scaglie. Squali che vorrebbero, nella maggior parte dei casi, essere soltanto lasciati in pace. Il che vale, d’altra parte, anche per la beccaccia di mare o Haematopus palliatus, anche detta in lingua inglese oystercatcher (cacciatrice di ostriche/vongole) in riferimento alla componente principale della sua dieta. Un tipo d’uccello chiaramente riconoscibile, per le dimensioni di poco inferiori ad un gabbiano, le zampe lunghe di colore rosso come il becco appuntito ed un piumaggio dall’elegante contrasto tra il bianco ed il nero. I cui luoghi per deporre le uova, spesso poco più che una lieve depressione scavata nella sabbia facilmente attaccabile dai predatori, prevede una frequente quanto aggressiva campagna di difesa da parte dei proprietari. Da ogni forma di minaccia, reale o percepita, abbaiante, miagolante, oppur che ronza col rumore roboante di un migliaio di api…
Avrete compreso a questo punto ciò a cui stiamo alludendo: gli incaricati dell’Ente Parchi, spesso operatori privati di quadrirotori a comando remoto, stipendiati con il fine encomiabile di fornire copertura ed istruire i soccorritori in caso di emergenza marina, hanno dimostrato la sfortunata propensione a far volare quei dispositivi a quote relativamente basse. Così da stimolare l’istinto aggressivo delle beccacce, che tendono ad assaltare i droni emettendo versi minacciosi, calargli sopra con le zampe, urtarli di proposito nel tentativo di scacciare il temuto nemico. Con conseguenze potenzialmente gravi, dall’effettiva predazione dei pulcini mentre lasciano la fortezza incustodita, a tagli e ferite causate dalle pale degli apparecchi e per finire, alla morte. Il che non è tanto un danno in senso sistematico, visto l’ampia diffusione ed ottimo stato di conservazione dell’intero e diversificato genere Haematopus sia nel Vecchio che Nuovo Mondo. Quanto un disastro locale e chiaramente devastante nei confronti della popolazione locale di questi uccelli. Particolarmente se dovesse capitare, come avvvenne con le sterne californiane nel 2021, che una quantità di uccelli superiore a due migliaia dovesse improvvisamente decidere di dare priorità alla propria individuale sopravvivenza. Abbandonando un luogo giudicato insicuro, assieme ad un’intera generazione di uova in attesa di covatura. Disastri evitabili, ma non sempre prevedibili, soprattutto per lo spietato pragmatismo con cui vengono istituite le norme comportamentali di chi dovrebbe condividere gli spazi e rispettare i meriti di creature che comunque contribuiscono, in maniera non del tutto trascurabile, alla popolarità turistica di determinate regioni del territorio.
L’acchiappaostriche o beccaccia di mare figura, d’altronde, tra un tipo di uccelli altamente specializzati che non potrebbe facilmente adattarsi ad un diverso stile di vita. Tanto che studi specifici, condotti a partire dagli anni Duemila, hanno dimostrato come l’effettiva forma del becco di un esemplare possa determinare la strategia di caccia che esso preferisce per procurarsi sostentamento: quella di agguantare i mitili, portarli a riva e sbatterli contro gli scogli nel caso di uccelli con un rostro largo e prensile. Piuttosto che attaccare direttamente il muscolo capace di mantenere chiuso la conchiglia bivalve, insinuando e mordendo nell’intercapedine con la punta stretta e affusolata della configurazione opposta. Un approccio, questo, che implica un certo grado di pericolo vista la possibilità sempre presente che il pelecipode selezionato si chiuda saldamente non lasciando più la presa, finché il ritorno dell’alta marea minacci di annegare effettivamente l’uccello. Un altro tipo di pericolo, in un certo senso “previsto” dalla condizione innata di queste eleganti creature. E con cui l’uomo, per una volta, sembrerebbe non avere nulla a che fare.
Quali possibilità sussistono, dunque, per contrastare o in qualche modo allontanare il rischio di un’estate che potrebbe avere conseguenze deleterie? Gli operatori potrebbero mantenere i droni a quote maggiormente elevate. Oppure evitare di tracciare rotte, per quanto possibili, in prossimità dei nidi dei protettivi genitori pennuti. Il che potrebbe rivelarsi più difficile del previsto, viste le abitudini migratorie notoriamente imprevedibili della beccaccia, che la porta a comparire ogni anno in zone o circostanze del tutto nuove.
Non che gli estimatori dello stesso Monbiot, nonostante la frequenza con cui viene ripetuto il suo discorso, si siano mai effettivamente preoccupati di elaborare una risposta pratica al quesito: “E se volessi avere i lupi, mantenendo nel contempo i fiumi com’erano prima?” o “Come faccio a proteggere i pulcini, mentre controllo i movimenti degli squali?” Domande scomode, per la forma di vita maggiormente interessata a controllare lo stato e l’andamento dei processi terrestri, ovverosia gli umani. Specialmente quando siamo noi stessi, a governare (in)volontariamente l’origine e la fine del problema per come può essere guardato dall’esterno. Ma mai quanto vorremmo, le diverse fasi in cui esso tende a dipanarsi fino al punto estremo delle proprie conseguenze implicite o non del tutto evidenti.