Seghe circolari, chiodi e ricci di mare: tre strane ruote che “aggrediscono” l’inverno

Per conoscere qualcosa, bisogna riuscire a dominarla; il che significa, in un’ampia gamma di contesti, riuscire a trovare il modo di sconfiggerla. Ed è una guerra, con tanto di vittime da entrambe le parti, quella combattuta dall’uomo nei confronti delle basse temperature. Che costituendo un’inviolabile morsa, tendono a cristallizzare ed impedire ogni possibile attività all’aria aperta. Pensate, per esempio, al ciclismo: frutto della pedalata che significa qualcosa di profondo, inteso come il desiderio di spostarsi e farlo con le proprie forze, solamente, in barba al monopolio tecnologico di Big Oil. Ma prova tu ad aggiungere uno strato, e quindi un altro, poi un cappello, i guanti e gli stivali (non dimenticare sciarpa e mascherina!) per scoprire come porre una barriera tra se stessi e l’insistenza inarrestabile del vento possa comportare, di pari passo, l’aumento esponenziale di goffaggine, ingombro e peso. Finché il mero gesto di tenere dritto quel manubrio, verso il senso ultimo dell’obiettivo di giornata, può riuscire a diventare una fatica eccessiva. Ed è allora che decade, la ricerca di una soluzione muscolare alternativa ALMENO CHE. Semplice ed esplicativo riesce ad essere il presente video, del celebre ingegnere internettiano The Q (@ThisIsTheQ). Il quale, ancora una volta in bilico tra il serio ed il faceto, assembla sotto i nostri occhi un qualche cosa che potrebbe rivoluzionare, per lo meno in via concettuale, il sempre difficile rapporto tra la propulsione a pedali ed i mesi più freddi dell’anno. Luogo: la nevosa superficie pianeggiante di un lago ghiacciato, ovverosia forse il meno adatto (e al tempo stesso attraente) degli ambienti possibili per compiere un’impresa di questa portata. Almeno finché, di fronte a un tale ostacolo, si erge il meccanismo della soluzione frutto di una mente fervida e mani operose, che consiste nello smontare via dal mozzo gli pneumatici del veicolo bi-ruota, per sostituirli tramite un qualcosa che trova la genesi all’interno di un contesto veramente… Originale. E non c’è spazio in questa circostanza per l’intero macchinario. Ma qui abbiamo modo di trovare, in modo alquanto sorprendente, due perfetti esempi delle lame usate per tagliare i tronchi tra le mura laboriose di una segheria. Vere e proprie seghe circolari, attentamente perforate al fine di agganciarsi, rimanendo altresì mobili grazie all’impiego dei cuscinetti a sfera d’ordinanza, alla riconoscibile struttura del telaio con sellino incorporato. Previa falsa partenza dovuta alla mancanza di trazione sulla superficie candida, tale da richiedere l’implementazione di piccole “traverse” prensili sui denti preoccupanti della sega. Ed è certamente una visione ansiogena, nonché molto preoccupante, quella offerta dal nostro eroe internettiano che affronta l’escursione lacustre pedalando allegramente, con il fondoschiena e gli stinchi a pochissima distanza da un qualcosa che dovrà riuscire a distruggere lo status quo, prima di riuscire a introdurre un capitolo nuovo. Lasciando uno spazio nella nostra trattazione, a tal proposito, la questione spesso tralasciata di come una sega per utensile elettrico sia relativamente poco affilata (in quanto funzionale a velocità di rotazione molto elevate) senza per questo nulla togliere al coraggio e la spregiudicatezza dell’avventuroso istrione digitalizzato. Che avrebbe potuto utilizzare con pari efficienza, e rischio assai minore, i semplici pneumatici maggiorati di quella che prende normalmente il nome di fat bike.
Ai posteri l’ardua sentenza, quindi, e con i posteri intendo chiunque abbia il senso pratico e l’immaginazione necessaria a traslare tale approccio fuori dallo scenario di un semplice video d’intrattenimento su YouTube. Il che non può prescindere, del resto, dal costituire base per la progressione ideale, che conduce in via diretta verso l’applicazione della stessa forma mentis verso gli esigenti requisiti del viaggio a motore; e lì, apriti, oh gelida tormenta che proviene dalle lande siberiane!

Si tratta soprattutto del colore, nero opaco come il veicolo che servono a traghettare oltre l’insuperabile palude ghiacciata. Ma queste ruote per la RZR sembravano già dei ricci anche nella versione precedente proposta da WhistlinDiesel, in grigio chiaro con punte “insanguinate” dall’appariscente tonalità vermiglia.

Chiunque abbia a tal proposito sperimentato l’eventualità di montare per la prima volta catene da neve “sul campo” (e non mi riferisco certo a tiepide spighe di grano, bensì ruvido e aggressivo asfalto) conserverà quindi una precisa memoria del tipo di difficoltà presentate nel portare a termine quella specifica mansione, specialmente sotto i fiocchi che cadono, tra i bolidi che sfrecciano e dinnanzi alla furia insistente del vento che tenta di strapparti via ululando fino all’ultimo fragile residuo d’umanità residua… Non sarebbe meglio, a tal fine, poter disporre di un sistema valido davvero ad affrontare “ogni terreno” inteso a tal proposito come terra, strada e addirittura quello scivoloso ed inadatto medium paesaggistico semi-trasparente, che si manifesta per effetto trasformativo della comune acqua da bere? Proprio questo è perciò l’oggetto del presente video del canale multi-autorale WhistlinDiesel (@whistlindiesel) nella persona del “giovane ragazzo dell’Indiana” e membro del parco d’influencer Corey Funk, con la sua ricerca di lunga data per il Santo Graal di quelle che nel tempo è giunto a definire le Reaper Wheels (letteralmente “Ruote Mietitrici”). Nient’altro che un agglomerato di acuminati spuntoni di colore nero, situati attorno ad un sistema d’aggancio che non viene qui mai mostrato, ma parrebbe l’ideale per farne un tutt’uno con il mezzo meramente funzionale di un Polaris RZR. Stiamo parlando, per intenderci, dell’ATV creato tra il 2007 e il 2008 come adattamento ad uso civile di un mezzo concepito in origine per l’esercito, leggero, maneggevole, adatto ad ogni circostanza di spostamento. Ma non tanto adatto, almeno nell’idea del qui presente autore, quanto potrebbe diventarlo previa l’inclusione di un apposito adattamento sovradimensionato dal riconoscibile concetto dell’echinoderma marino per eccellenza. Riccio che perfora, riccio che ghermisce ad ogni cosa unisce, incluso lo pneumatico senz’aria alla metafora perfetta della non-aderenza. Qui l’intento appare, quindi, evidentemente finalizzato a suscitare un qualche tipo di reazione negli spettatori, piuttosto che proporre un’effettiva soluzione del problema. Come esemplificato dal tipico intento spaccatutto dimostrato in questo popolare sotto-genere di video virale. Ma il risultato nell’inquadratura, c’è. E colpisce, sotto diversi punti di vista, mentre il Reaper “Razor” avanza a velocità apprezzabile lungo il candido scenario innevato, senza dimostrare alcun intoppo degno di essere descritto o in qualsivoglia modo narrato. Almeno finché dopo alcuni brevi exploit, come già riscontrato in precedenza presso i lidi del qui presente canale, gli spuntoni metallici iniziano a piegarsi sotto il peso del rotolamento, giungendo e comprometterne non soltanto la simmetria ma anche la capacità di trazione. E sarebbe questo qui l’epilogo dell’intera intrigante faccenda, se non fosse in realtà possibile, risalendo ulteriormente alle radici dell’idea, fino a una versione del 2018 della stessa sensibilità ed idea. Che pur essendo meno scenografica potremmo definire, di pari passo, maggiormente funzionale a un effettivo impiego pseudo-stradale…

Pettina, pettina, pettina. Pungi, pungi, pungi. Eppure, Super Mario l’aveva già capito, che non è possibile balzare rotolando sempre verso la fine dello stage. Perché volte occorre balzare più volte, sopra il guscio della stessa tartaruga. E nessuno può riuscire a prevedere dove urterà qualcosa d’imprevedibile, per tornare indietro al punto di partenza.

Sto parlando della nostra vecchia conoscenza e vero e proprio artista veicolare Garage 54 (@garage__54) esperto meccanico russo che opera nella glaciale periferia di Novosibirsk, dove il freddo non è soltanto una conoscenza occasionale, bensì effettiva costante in grado d’influire sensibilmente sullo stile di vita delle persone. Il che, unito al tipico pragmatismo dell’ingegneria russa, non poteva che condurre ad un approccio tra il serio ed il faceto che tenda naturalmente ad inclinarsi verso il primo di questi due princìpi. Benché i dettegli da risolvere, prima di un’effettiva omologazione, restino necessariamente numerosi. Consideriamola per questo, più che altro, una dimostrazione di fattibilità! Per chi dovesse, un bel giorno, decidere di sostituire lo pneumatico con un letterale tappeto di 3.000 chiodi, non così distanti da quelli usati per il letto di un fachiro in grado d’indurire la sua dura scorza come quella di un armadillo o pangolino. Ma è più che altro, ancora una volta, la forma obliqua della capigliatura del ceruleo riccio Sonic, quella che finiscono per ricordare gli appuntiti arnesi dopo appena una manciata di giri sulla glaciale superficie oggetto dell’esperimento, con significative conseguenze sulla guidabilità del veicolo dotato delle quattro “super” ruote.
Esiste quindi per davvero, in ultima analisi, una possibile soluzione del problema? In quale modo possiamo trasformare i nostri apparati funzionali allo spostamento veicolare, affinché possano non solo ignorare le asperità del clima, ma punire quello stesso terreno… Che tanto chiaramente si trasforma ogni anno per sfidarci e metterci in difficoltà? Forse la realtà è che l’unica soluzione possibile è venire a patti con l’umana e imprescindibile aggressività. Accettando come brevi periodi di riposo, tutti quei momenti in cui non è possibile portare a compimento gli obiettivi che ci siamo imposti. Per appendere la sega al chiodo, affinché agisca come uno specchio in grado di raccogliere la luce della primavera. Che un bel giorno, finalmente, tornerà di nuovo.

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