Il parco giochi russo e la palestra costruiti coi rottami

Sloboda Park

Tra il diradarsi della nebbia mattutina, oltre i brutali palazzoni d’epoca sovietica e presso quella che sembrerebbe una piccola chiesa ortodossa in corso di restauro, la coppia di uomini parcheggiano la propria station wagon. Sono stanchi, forse un po’ affamati, di certo di nessuno dei due in uno stato apparente che si possa definire “ideale” per guidare. Lievemente inebriati, questa è l’espressione usata dalla maggior parte dei commenti al video, e quale stato migliore potrebbe mai esistere, per provare sulla propria pelle il risultato di una branca assai particolare dell’ingegneria un tempo tipica dell’Est Europa: la costruzione di luoghi un po’ raccogliticci in cui far correre la fantasia. Nonché il reimpiego, attraverso crismi costruttivi che parrebbero anch’essi in parte derivare dall’aver trangugiato una certa quantità di ottima vodka, delle cose vecchie per produrne alternative nuove. Approccio da cui proviene questo perfetto parco giochi, presso cui far conoscere ai bambini il vero significato dell’espressione “epoca spaziale”. Peccato che nel vasto cosmo, nessun addetto alla sicurezza possa sentirti urlare.
Siamo presso il centro abitato di Sloboda, nell’oblast di Tver, non poi così lontano dall’omonima città di oltre 400.000 abitanti, dove a quanto pare un certo Yuri Chistyakov (il cui nome compare nel blog English Russia, benché la provenienza del dato resti poco chiara) è riuscito a riassemblare alcuni rimasugli della fiorente industria agricola locale, tra le più importanti delle zone circostanti il fiume Volga, per costruire una serie di interessanti e potenzialmente problematici ausili allo svago, qui mostratici, con entusiasmo largamente immotivato, dai due cresciuti visitatori d’occasione. Di cui l’uno, quello al centro dell’inquadratura, sembra particolarmente pronto a mettersi in discussione, mentre l’amico più che altro preferisce limitarsi a ridere come una jena. Il che è comprensibile, del resto, vista la serie di bizzarre disavventure alle quali si trova ad assistere nel giro di pochi minuti. Si comincia dalla ruota orrendamente dondolante di un trattore, assicurata a quella che parrebbe configurarsi come una sorta di altalena colorata in modo variopinto, onde meglio ricordare un qualche tipo di astronave. Grande pneumatico, dai vistosi intagli, che si rivela inaspettatamente sufficiente a contenere una persona adulta, benché sia lecito esprimere un qualche dubbio sull’effettiva pulizia di un simile implemento, sottoposto quotidianamente a pioggia, muffa e umidità galoppante. Ma non c’è tempo di fermarsi a pensare, giacché la nostra amichevole cavia umana si è già messa ad armeggiare col secondo “gioco”, una minacciosa sedia sospesa fatta apparentemente con pezzi di trebbiatrice e non del tutto dissimile da uno strumento di tortura, che lui definisce con ironia: “degna del film dell’orrore Saw”. Se non fosse che l’arnese, agghindato come la postazione di comando di un ipotetico Gagarin o Leonov dei nostri tempi, presenta la dote inaspettata di poter girare liberamente lungo l’asse longitudinale, risultando in grado di effettuare in buona sostanza la simulazione realistica di un giro della morte. È non è chiaro quale fosse l’uso presunto del dispositivo, vista l’assenza di una qualsivoglia manopola o dispositivo di comando da parte di terzi, mentre del resto, il comportamento dell’oggetto con su il peso di un’individuo già cresciuto è alquanto preoccupante. Appare infatti subito chiaro come, allo stato attuale dei fatti, il peso della testa del giovane sia più che sufficiente a far capovolgere l’intero sedile, lasciando il suo occupante in una posizione tutt’altro che invidiabile. Bé, se non altro ciò è la prova che qualcuno si occupa di effettuare la manutenzione del dovuto: bloccati dalla ruggine, questi giochi sarebbero decisamente meno divertenti…O…Pericolosi!?
Dopo un tale trauma, per riprendersi, tutto ciò che gli restava da fare era un altro giro sulla ruota dondolante, però aspetta: c’era ancora un’altra splendida esperienza da provare, la versione russa dell’antica ruota vitruviana e leonardesca. In termini più moderni, una semplice applicazione del principio dell’aerotrim, l’effettivo giroscopio umano usato per addestrare gli astro- e cosmonauti, benché qui libero di muoversi soltanto in senso circolare, invece che verso un numero infinito di vettori. Così inscritto in detta forma, roteando vorticosamente, il corpo umano non dovrebbe faticare a scrollarsi via le redini della residua gravità, raggiungendo vette un tempo inesplorate di accrescimento fisico ed interiore. Questo, almeno, se si è sobri ovvero già dotati di un senso d’equilibrio valido allo scopo. Entrambe doti, a quanto pare, che sfuggono al qui presente operatore, che in breve tempo si ritrova in situazione comparabile a quella dell’odiato seggiolino.

L’affascinante parco di Sloboda, un piccolo dettaglio urbano eppure ricco di connotazioni socio-urbanistiche, costituisce una valida testimonianza della cultura di un modus operandi che è stato sempre particolarmente prossimo ai bisogni della gente. Se davvero si supera, nel profondo del proprio essere, il bisogno di conformarsi a dei valori estetici e alle circostanze marginali, c’è ben poco che riesca ad esulare dagli spazi raggiungibili all’ingegno umano. E la cultura della Sfera russa fu sempre maestra in questa linea di pensiero. Sia che davvero questa serie di giochi fosse frutto di una reinterpretazione moderna, sia che come invece può sembrare a pieno titolo, derivi dai lunghi decenni precedenti alla caduta di quel Muro, la composizione di un simile luogo può facilmente essere ricondotta alla corrente costruttiva dell’epoca della corsa allo spazio, quando si riteneva cosa buona e giusta, che ogni divertimento per bambini alludesse in qualche maniera al mondo tecnologico dei voli extra-planetari. In tutta l’Unione Sovietica, non c’era quasi un singolo prato che sfuggisse al posizionamento di una qualche gabbia a forma di razzo, o altalena stranamente rassomigliante a un’antenna radar, una rampa di lancio. I pupazzi dondolanti si guadagnavano coppie di ugelli in serie, mentre persino i su-e-giù dondolanti, in barba al senso pratico, trovavano le loro pinne ed alettoni.
Ed è strano, davvero sfortunato, il modo in cui questo tripudio della fantasia derivasse talvolta da un bisogno di segregazione e differenziazione dalla visione cosiddetta capitalistica del mondo, alla ricerca di un ideale che andasse oltre la semplice apparenza priva di finalità. Vedi, ad esempio, la problematica storia e il difficile percorso fatto dal culturismo d’epoca sovietica:

Kachalka gym

L’esercizio fisico con finalità prevalentemente estetiche, fino alla metà degli anni ’80, era largamente malvisto dal governo sovietico che, in qualche maniera, tendeva ad identificarlo con l’altro lato dell’Atlantico e il temuto nemico statunitense. Per questo, dalla remota Vladivostok alla Kiev dell’odierna Ucraina, fiorivano lontano dalla luce del giorno palestre sotterranee, luoghi d’ombroso assembramento in cui praticare assieme agli altri appassionati tutti quegli esercizi i cui risultati venivano così efficacemente dimostrati, nel cinema altrettanto proibito di quegli anni, dalle personalità hollywoodiane del calibro di Schwarzenegger e Stallone. Erano spesso dei pertugi, privi di un occhio davvero valido alle norme igieniche dei nostri tempi, nonché degli utili servizi delle docce, o addirittura dei WC. Poi sopraggiunse, all’improvviso, la lunga serie di riforme economiche e gestionali volute da Michail Gorbačëv, la perestrojka che molto cambiò, pur lasciando quasi altrettanti aspetti problematici tutt’ora largamente invariati, a pesare sulla storia contemporanea di questo enorme, complesso paese. Ma una cosa, almeno, fu possibile realizzarla senza il timore di ripensamenti: il bodybuilding fu reso un passatempo largamente accettato dal governo. Fu a quei tempi che, in una sorta di liberatoria manifestazione d’ingegno, il professore di matematica Yuri Kuk e l’atleta di etnia polacca Kasimir Jagelsky iniziarono la costruzione di Kachalka, una delle più vaste e incredibili palestre al mondo. Il cui nome deriva dal termine ucraino kachat, che significa pompare, spesso usato in modo gergale per qualsiasi luogo dedicato a simili attività. Sita nello scenario ideale di un’isola del fiume Dnieper, nel bel mezzo della già citata capitale dell’Ucraina, mostrava la forte influenza della celebre Muscle Beach californiana, con una vasta selezione di attrezzi ginnici ad accesso libero, a totale disposizione di chiunque volesse farne un qualche tipo d’utilizzo. A patto che fosse disposto, come appare chiaro, ad esercitarsi sotto il sole d’estate o la pioggia battente d’inverno, senza alcun riguardo alle pratiche comodità di un sito più convenzionale.
E…L’equipaggiamento! Ha un che di surreale. Panche in legno grezzo sormontante da strutture metalliche piuttosto arrugginite, bilancieri costruiti con residui bellici ed incatenati per evitarne il “prelievo” ad opera di qualche malandrino. Per non parlare dei pneumatici in batteria, da colpire a calci e pugni come novelli emuli del grande Rocky. Che a tal proposito, mostrava nel suo quarto episodio un significativo fraintendimento: lui, eroico protagonista in corso di preparazione per l’epico scontro di propaganda internazionale, che si addestrava duramente nella tundra siberiana, in mezzo alla neve, tra cataste di legna da ardere e fin sopra le montagne in mezzo al nulla. Mentre il rivale Ivan Drago riceveva i benefici di un intero team di tecnici e le migliori attrezzature d’avanguardia, nonché generose dosi di anabolizzanti (ma questa è tutta un’altra storia…). Certo, la trama del film giustificava il tutto con esigenze particolari e il comportamento anti-sportivo dei “cattivi” russi, pronti a sorvegliare e condizionare l’intero addestramento dell’odiato italo-americano, ma è indubbio che la giustapposizione abbia lasciato un certo inesatto preconcetto nella mente degli spettatori: che l’America fosse quella, rimediata ed ingegnosa, dei ribelli per definizione, i protagonisti eterogenei di un racconto di frontiera. Vedi, ad esempio, le astronavi rugginose di Guerre Stellari. Mentre il Blocco Orientale era definibile come una sorta di compatta organizzazione, in cui molto di ciò che avesse un impiego pratico veniva pianificato fino ai minimi dettagli, regolamentato da precise norme circostanziali. Quando la realtà di quei luoghi, come Internet ci insegna quasi quotidianamente attraverso le sue innumerevoli testimonianze, si rivela ricca di sfaccettature estremamente significative.

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