Sotto il segno dell’aerografo spaziale

Spray Paint Art

Centinaia di migliaia d’atomi d’idrogeno, polvere di stelle, dozzine di pianeti variopinti spruzzati gaiamente sulle superfici. Che New York fosse prettamente multiculturale, questo si sapeva, ma del suo lato galattico si parla molto poco. All’ombra degli svettanti grattacieli, tutto intorno ai colonnati della celebre Grand Central Station, fra una traversa e l’altra della pantagruelica Fifth Avenue, oltre i banchetti del gelato e dei panini, l’osservatore attento scorgerà delle finestre, bianche, in un primo momento, e poi subito rosa, viola, gialle o bluastre come nebulose siderali. Portali, ovvero fogli di carta lavorati per pochi minuti. Sono l’opera degli artisti della strada, espressionisti dell’aerografo, che con tecnica semplice (ma efficace) riproducono le astruse meraviglie dell’Universo più remoto. Nel campo della creatività grafica ci sono due registri contrapposti. Da una parte il regno dei metodi, dello studio conoscitivo e dei modelli. Poi, dall’altra, l’improvvisazione pura. Lontani dai musei e dalle gallerie d’arte della tradizione, giovani come questo si guadagnano dei dollari applicando vernice, spostandola di lato, imbrigliandola tramite l’apposizione di coperchietti rugginosi. Perché sminuire questa tecnica? Si tratta di un’invenzione comunicativa, come tante altre, che permette di produrre immagini tendenzialmente simili tra loro, però indubbiamente gradevoli, decorative. Se quel che conta è il solo risultato, questi quadretti della spray paint art sono difficili da criticare, facili da appendere a parete. E in fin dei conti, il merito che hanno, più che nell’ambito del prestigio misurabile, rientra in quello della filosofia. Miliardi di secoli nel nostro passato, con botto fragoroso, secondo le simulazioni e la teoria dei fisici, la materia si espanse in ogni direzione, costituendo galassie, stelle, pianeti e altri astri rarefatti. Non con calma, frutto dell’ingegno, ma tramite il sentimento della folgorazione, l’ineffabile casualità, si giunse all’attuale stato delle cose. Rappresentando il cosmo, si dovrebbe pensare a tutto ciò, includerlo nell’arte del momento. Il graffitaro, come questo suo vicino concettuale, l’artista galattico della mini-bomboletta, dedicano il tempo al solenne immaginare, piuttosto che al materialistico creare. Quest’ultimo gesto, a causa delle implicazioni tipiche di quel mezzo espressivo, si compie in due, tre, quattro minuti. E per giunta, all’incontrario.

Spray Paint Art 2

Qualche settimana fa, come gesto di supporto al suo nuovo canale di YouTube, Banksy ha scritto un’altro capitolo della sua pungente critica rivolta al consumismo. Scegliendo come bersaglio d’elezione, questa volta, l’arte stessa. Aveva dunque, e in molti lo ricorderanno, messo in vendita delle sue opere autografate in quel di N.Y, presso il banchetto di un semplice ambulante. Il prezzo era bassissimo, però in pochi le hanno comprate. Benché il suo scopo non fosse stato esplicitamente dichiarato, l’interpretazione è presto giunta all’attenzione di noi tutti, tramite il diffuso commento delle masse internettiane: “Lampante! Senza contesto, la gente non è in grado di riconoscere il talento! Mon Dieu! Che spreco!” Forse, c’era dell’altro. Particolarmente rilevante, a far di contrappunto, appare questo video di risposta. È una sorta di parodia, però efficace, perché si dimostra parte di un valido ragionamento. Qualche giorno dopo, Dave Cicirelli, artista e studioso delle dinamiche di massa, si è recato nello stesso luogo, vendendo stavolta dei “veri” falsi delle opere di Banksy. Ne ha piazzati molti, ricavandoci bei soldi.
A mio parere, il punto è questo: qualora si veicoli un messaggio di qualunque tipo, non si può prescindere da ciò che ci circonda. Gli artisti che hanno un nome, un passato mediatico di spicco, proiettano un’ombra che oscura l’oggettività del pubblico comune. Ciò che fanno, di per se è già bello, senz’altro! Però, lo è pure perché lo fanno loro. Il graffitaro di strada delle origini, che è la vera base di Banksy, tutto questo lo sa bene. E lo sapeva pure Ruben “Sadot” Fernandez, il riconosciuto precursore del movimento dell’Aerosolgrafia.
Fu proprio lui il primo, a metà degli anni ’80, a percorrere le strade di un grande agglomerato urbano reimmaginando il volto splendido dei pianeti e delle stelle. Secondo quanto riportano le fonti, egli si sedeva nella posa del loto, di fronte al suo atelier, oppure dove capitava, offrendo ai passanti il frutto della sua bomboletta, ritratti, scene cosmiche e altre splendide facezie. Stendeva ciascuno strato di vernice, quindi lo rimuoveva con poche passate di una spatola, giungendo all’immagine finale. Nel farlo, fumava, cantava o arringava i presenti sulle sue idee in campo politico ed esistenziale. Così è il creativo della strada: comunica senz’altro, mentre Comunica su (metaforica) tela. Che poi scelga di farlo con metodi a lunga permanenza, di registro alto in concomitanza con le pratiche di Banksy, o come un araldo d’altri tempi, per via orale, gestuale, altrettanto valido potrà essere il frutto del suo spruzzatore. Per giudicare un quadretto come quello d’apertura di questo post, strumento di piccoli guadagni, non basta soltanto guardarlo. Bisogna assistere alla sua creazione, capire, almeno in parte, chi lo ha realizzato L’arte dell’aerografo, talvolta, prospera più nei metodi, che nelle procedure.

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