Dal punto di vista dell’ingegnere aeronautico francese Marcel Leyat, laureatosi verso l’inizio del Novecento e che aveva costruito il suo primo aeroplano nel giro di appena una decina d’anni, si trattò di un’osservazione, e conseguente sviluppo tecnico, del tutto naturale. Perché mai, si chiese infatti, l’Europa avrebbe dovuto seguire l’esempio dettato dalla “Lucertola di latta” immessa sul mercato all’altro capo dell’Atlantico da Mr. Ford? Con albero di trasmissione, leva del cambio, meccanismo dello sterzo anteriore finalizzato a traslare il movimento rotativo di un volante. Quella Model T che era relativamente affidabile, economica e semplice da produrre, ma anche il culmine di un lungo processo ingegneristico, che per molti versi rappresentava il più tipico esempio di una soluzione complicata al più intuitivo dei problemi: spostare una persona, ed eventualmente la sua famiglia, da un luogo all’altro della città e del mondo. Laddove l’aeroplano, di suo conto, presentava comparabilmente un approccio dall’immediatezza notevole, con il suo semplice blocco del motore, un’elica davanti e superfici di controllo controllate in maniera per lo più diretta mediante l’impiego di una serie di cavi. Una volta eliminate quindi le severe tolleranze necessarie a costruire un qualche cosa che dovrà materialmente staccarsi da terra, ovvero la coda e le ali, tutto ciò che resta è il concetto di un veicolo ridotto ai minimi termini, eppure in grado di competere dal punto di vista funzionale con qualsiasi altro apparato stradale costruito fino a quel fatidico momento. Era quindi già il 1913, quando Leyat fondò a Parigi la sua compagnia Helica, dal termine greco riferito al concetto di “spirale” già utilizzato per la raison d’être di tanti motori navali e volanti, qui riferito d’altra parte per la prima volta ad un qualcosa di concepito al fine di spostarsi lungo un tragitto veicolare terreno. Così il suo primo prototipo, costituito quello stesso anno, si presentava come un corpo aerodinamico di legno poggiato su tre ruote, due davanti ed una dietro, con un singolo propulsore in legno nella parte anteriore, capace di spingerlo con indubbia e formidabile efficienza. Sebbene alcune concessioni andassero non di meno effettuate, nei confronti dell’eventualità sempre presente di finire contro oggetti, animali o persone, che avrebbero finito per venire letteralmente disintegrate dall’alabarda rotante capace di raggiungere molti giri al secondo. Nulla di simile tuttavia, per fortuna, ebbe modo di realizzarsi durante i suoi limitati giri di prova effettuati fino allo scoppio della grande guerra nel 1915, evento a seguito del quale il suo sogno venne, necessariamente, accantonato. Il che condusse d’altra parte a una fortuna inaspettata, quando al termine del conflitto il grande numero di aeroplani e relativi componenti ritenuti non più utili inondarono il mercato, permettendogli finalmente di sperimentare su larga scala. Dopo alcuni tentativi effettuati a partire dal ’18, che vedevano l’elica posizionata stavolta in posizione più alta della testa del pilota con il fine di proteggere i passanti e successivamente incapsulata in un cerchio protettivo, ragionevolmente affine a quello di una moderna soluzione aeronautica intubata (sebbene di gran lunga troppo corto per aumentare la generazione di spinta) che vedeva inoltre il passaggio dalle tre alle più stabili quattro ruote, Leyat approdò quindi al metodo che sarebbe diventato maggiormente rappresentativo della sua azienda. Una vera e propria rete, costruita con fili metallici, paragonabile a quella di un ventilatore casalingo…
