Quando è la dura legge della giungla a determinare le caratteristiche di una creatura, e intendo proprio il geoma tropicale umido e biologicamente affollato dell’area terrestre sita ai margini dell’Equatore, puoi capirlo facilmente. Poiché lì necessiti, per sopravvivere, di occhi grandi per vedere anche di notte e un affilato senso dell’udito. Di zampe artigliate al fine di poterti arrampicare, sopra gli alberi, almeno di essere il supremo predatore. E qualche volta anche, perché no, di un grande paio d’ali al fine di elevarti, sopra il dramma quotidiano della continua lotta per riuscire a sopravvivere, scampando al segno del pericolo che ti circonda e chiama, con patetica insistenza, al fine di ghermire tutto ciò che può costituire per te vita, gioia e ogni possibile soddisfazione. Ali, oppure perché no, il patagium: termine latino in grado d’indicare, nella maggior parte dei contesti, la pratica membrana posseduta da certi mammiferi pipistrelleschi (e qualche rettile) in grado di agir dinamicamente per creare la portanza necessaria, a evadere, spostarsi, raggiungere auspicabili fonti di cibo. E forse non cè n’é un più rappresentativo possessore, nella zona succitata ed in particolare nei paesi di Thailandia, Malesia, Indonesia e le Filippine, del colugo o cosiddetto “lemure volante” che in effetti non è un lemure, né volante. Bensì l’unico membro di un particolare ordine, quello dei Dermoptera, e una singola famiglia, Cynocephalidae (letteralmente: testa di cane) suddivisa in due generi e altrettante specie. Entrambi riconoscibili come questa creatura arboricola del peso di appena 1-2 Kg, lunga fino a 40 cm, il cui aspetto complessivo in posizione di riposo rassomiglia in modo significativo ad una sorta di termocoperta con le zampe e il muso a punta, dagli sporgenti bulbi oculari ottimizzati chiaramente per l’attività notturna. Ma è con l’arrivo della sera e il ritirarsi dei maggiori predatori, che il colugo rivela le sue notevoli caratteristiche inerenti, tra cui la capacità, più unica che rara, di planare fino a 150 metri in un singolo balzo, a seconda dell’altezza dell’albero che hanno scelto d’impiegare come rampa di lancio; verso nuove mete e altri validi arbusti, nonché dispense della loro dieta folivora del tutto vegetariana. La vista di queste creature in volo, con la succitata membrana che si estende a formare una sorta di quadrato che si estende dalla punta delle dita posteriori e la coda fino alle manine dell’animale, è sempre risultata così caratteristica da far pensare, per lungo tempo, che potessero essere in qualche maniera imparentati coi pipistrelli. Mentre analisi più approfondite, e la moderna scienza tassonomica, ci hanno dimostrato come i suoi parenti più prossimi fossero nient’altro che i primati nostri contemporanei, modificati tramite un notevole caso di convergenza evolutiva nei confronti dello scoiattolo possibilmente volante. Della cui genìa il Callosciurus notatus, coabitante malese di una delle due specie, costituisce in effetti un problematico rivale per l’acquisizione di cibo…
