Al fuoco, al fuoco! Ritrovarsi all’improvviso. Così guidando sulle strade della vita, sopra l’asfalto e dentro i monti, sotto gallerie infinite, giungendo in un parcheggio vasto e chiaro. Anime gemelle, uguali nella mistica sostanza. Piuttosto che nell’apparenza: perché l’una è rosso fuoco per l’amore, l’altra invece blu nel suo pallore, come il dì del cielo del cartello Michelin. Sarebbero furgoni queste cose variopinte, chiaramente, ma diverse. Dal normale, oltre che tra loro. Innanzi tutto perché l’uno è sopra, l’altro sotto. E volevano chiamarla una platonica amicizia, di due libellule senz’ali! C’è della passione, in questa scena statica ma di per se fulminea, variopinta, chiara come il sole e forte quanto il sale. E così il metallo che si piega e poi si allunga, senza colpi di martello, senza gesti umani di sostegno, assume i termini di una trasformazione. Tutt’altra storia, che il frutto di un incidente involontario, la comune situazione conduttiva ad una tale scena di lamiere stritolate o stritolanti… Quando le automobili, spinte innanzi dall’inerzia, si aggrovigliano senza desiderio, solo per l’effetto di un inetto capitano. Mentre qui probabilmente, la mano del guidatore neanche c’era. Solo il vento fresco della primavera.
Perché tutto sorge dalla fantasia, dai calcoli dell’energia! Si, di Chris Labrooy, grafico tridimensionale scozzese di Aberdeen, su e su per l’isola del Regno Unito. Dove i sentieri vanno a perdersi nella brughiera, oltre quelle nebbie che ogni cosa occultano, rendono possibili scoperte; naturali, qualche volta (vecchi fossili, colonie di crostacei) oppure tecnologiche, impreviste (rivoluzione una seconda volta, per l’industria dei trasporti del domani?) E addirittura, in questo caso, frutto della via di mezzo tra le cose contrapposte, insettile tecnologia. L’attribuzione molto pratica, quasi inevitabile, di caratteristiche degli esseri viventi ai nostri oggetti del maggiore desiderio, beni al sole ed alla luce dei lampioni. Le automobili che sono, ed erano da sempre state, quasi come dei cavalli di metallo, posti al servizio della rigorosa, intransigente umanità.
Guarda tutti quei garage. E i palazzetti su livelli sovrapposti, dove splendide berline, lussuose fino dall’ago usato per cucire i lor sedili in pelle di giaguaro, giacciono per giorni, settimane. Accanto a motorini, poco più che biciclette borbottanti, senza un grammo di raffinatezza. Se davvero l’auto fosse come l’animale, o ancor più, davvero degna di quei nomi che talvolta si ritrova attribuita; Bravo, Brava, Tigra, Smart(ass)… Allora mai, starebbe lì obbediente, ad aspettare. Avrebbe i suoi club, segreti luoghi di ritrovo. Andrebbe al cinema, presso la biblioteca comunale. Per studiare la sua storia, guadagnarsi una coscienza e il senso vero dell’appartenenza di categoria. E tra le officine o le aree di sosta autostradali, sarebbe ancor Parigi – 1789, ghigliottine in marcia per il nuovo codice stradale.
