Il geyser alieno nel deserto del Nevada

Rosso, giallo, verde, arancione. Se lo guardi dal giusto lato, sembra un tacchino. Da un altro, tre teste di pesce che affiorano dalle profondità sabbiose. O piramidi di roccia fusa, plasmate da un’antica civiltà con l’uso di tecnologie proibite. Ogni anno per 8 giorni sul finire dell’estate, 90 miglia a nord-est della città di Reno, molte migliaia di persone si riuniscono sulle pianure saline di questo stato, con automobili, caravan, pick-up fuoristrada carichi di materiale. Lo scopo, in effetti, è quello di fondare una città. La chiamano Black Rock, ma l’intero evento è più famoso con il nome formale di The Burning Man, ispirato all’evento finale dell’intera tradizionale kermesse: bruciare in modo plateale, come durante una ricorrenza pagana, un fantoccio antropomorfo rappresentante “the Man” ovvero l’uomo, ovvero, se vogliamo, l’oppositore di una simile controcultura, fondata sul bisogno di esprimersi con opere d’arte che svettino sotto il duro sole del maggiore deserto statunitense. Oggetti come templi, statue, obelischi, scenografie rappresentanti mondi e sentimenti totalmente fuori dal senso comune. Tra i quali, sareste perdonati nel pensarlo, figura in posizione periferica questo oggetto letteralmente mai visto prima: una forma variopinta alta 3,7 metri, simile ad un cuore o altro organo segreto del corpo dei viventi, caratterizzato da variopinte sfumature di colore. E non finisce qui: poiché dalla sommità di esso, sgorga copioso un flusso d’acqua riscaldato a circa 200 gradi, abbastanza per ustionare chi sia tanto folle da andare lì a toccarlo con le proprie mani. Com’è possibile? Verrebbe da pensare allora, quando si considera come la “cosa” sia in effetti costituita di pietra calcarea, ovvero per essere specifici marmo di travertino, risultando certamente più pesante di quello che i suoi saltuari ammiratori possano aver trasportato sulla scena con i loro veicoli stradali generalmente non adibiti a trasporti fuori misura. Quindi l’unica risposta possibile è che un simile oggetto, elemento periferico della città stagionale degli artisti, dovesse effettivamente trovarsi già lì. Da un tempo molto più lungo…
Ma forse non poi così remoto come potreste essere portati a pensare: stiamo effettivamente parlando di una formazione rocciosa naturale generata da una fonte geotermica, come forse avrete già capito, ma non di quelle derivanti dalla remota epoca della preistoria. Il Fly Geyser, diversamente dai suoi simili del parco di Yellowstone e altri scenari assai famosi per gli amanti di simili meraviglie del territorio, ha infatti un’origine dovuta a niente meno che la mano dell’uomo. O meglio, la punta diamantata dei sui meccanismi di trivellazione. Poiché tutto ebbe inizio, a dire il vero, per l’effetto di un semplice errore, anzi due. Il primo commesso più di 100 anni prima, quando i proprietari di questo terreno facente parte di un ranch tentarono di trovare una fonte d’acqua per irrigare nuovi tipi di coltivazione. Se non che, al completamento dell’operazione, il fluido che sgorgò fuori si rivelò essere così caldo  e impregnato di zolfo da non poter essere impiegato assolutamente a un tale scopo. Così il buco venne ricoperto e dimenticato. Se non che nel 1964, con i progressi effettuati nello sfruttamento dell’energia geotermica, una seconda compagnia non giunse presso questo stesso sito, con l’equipaggiamento necessario a raggiungere nuovamente le falde nascoste nel sottosuolo della regione. Soltanto per creare un secondo foro da cui far sorgere la misteriosa acqua delle profondità. Che si dimostrò di nuovo inadeguata per lo scopo di stagione, visto che pur essendo molto calda, non lo era in alcun modo abbastanza per i loro scopi. Il geyser venne dunque nuovamente ricoperto, se non che stavolta, la pressione si dimostrò superiore alle aspettative. Così il pozzo verticale cedette, ritrovandosi a comunicare con quello vicino di tanti anni prima., finendo per trascinare in superficie una grande quantità di materiali e… Stranissime forme di vita. Così che, un giorno dopo l’altro, con una rapidità tutt’altro che usuale nell’ambito geologico, la roccia variopinta continuò a crescere e solleverarsi dalle sabbie del Mojave.

Leggi tutto

Seppia metallica gigante nel piazzale della Maker Faire

Mechateuthis

Corpo di mille merluzzi baleniferi negli otto/nove mari, ærrrr! Il vecchio gamba-di-legno, barbanera e rossa, amante dei pappagalli dall’inseparabile cannocchiale con cappello a tricorno e uncino al posto della mano destra…Aveva dunque, ragione!? La creatura che riemerge dalle onde, per una singola volta ogni 13.000 anni, al fine di mostrarsi nell’intero suo tentacolare nonché affabile sinuoseggiare. Certo, quel vecchio Dingo di mare aveva esagerato con le proporzioni. “Grande quanto la poppa di un galeone del tesoro!” Un gran paio di corbezzoli-medusa trasparenti! È difficile giudicare la distanza di un qualcosa, del resto, quando una benda nera copre la metà dei propri occhi funzionanti. Mentre l’esagerazione, per sua natura, fa parte dello stereotipo della gente che conosce solo il sale, l’acqua il Sole ed i gabbiani, esattamente quanto il beniamino piumato sulla spalla oppure le varie parti del corpo date in pasto a bestie degli oceani, ad incidenti con le funi, a palle di cannone di passaggio (la fame dei proiettili è davvero rinomata). Ed è pur vero che talune altre caratteristiche del mostro sono state sottovalutate: primo tra tutti, il materiale. Non è cartilaginea questa…Seppia, come i temuti squali, né ossea, alla maniera di balene o simili cetacei vagheggianti. Ma costituita in duro e puro ferro e acciaio inossidabile, tanto che nessun arpione, per quanto valido e possente, avrebbe mai le doti necessarie per tirarla fin sopra lo scafo. Una creatura libera, dunque, benché statica in funzione delle circostanze. Qualcuno potrebbe addirittura definirla, una scultura.
Gente non priva di un certo coraggio, gli artisti. Tale da permettergli di fare il verso alla natura, costruendo con le proprie mani un qualche cosa che difficilmente può essere costretto e definito. Giungendo a suscitare il fascino, si, ma anche una vaga di dose di maestosa soggezione. Quale altro sentimento si potrebbe mai associare, a una creazione come Mechateuthis, il fenomenale oggetto quasi-vivente, che negli ultimi due anni (almeno) ha connotato le lunghe giornate di lavoro di Barry Crawford, il possessore di un officina metallurgica con sede ad Elko, nel Nevada. Che come molti degli altri coabitanti dello stato (tra i più secchi e inospitali dell’America settentrionale) ha vissuto gli ultimi 20 anni con il mito di un particolare evento, che partendo da un turbine di quelle sabbie, grazie allo strumento comunicativo di una serie di riprese attentamente regolamentate, cattura l’attenzione di un’intera controcultura globale: quella dei figli, degli a loro volta figli di Madre Natura. Colei che pianta ed accarezza i Fiori. E fu così, tanto per essere massimamente chiari, che nacque originariamente la creazione semovente che da ieri sta facendo parlare di se un po’ ovunque sul web, dai siti e blog specializzati, fino alle pagine di ricondivisione più o meno autorizzate nel giardino fortificato di Facebook; con il ruolo specifico di attrazione per il Burning Man. Di certo conoscerete, o per lo meno avrete sentito parlare, della grande “città” di Black Rock, che sorge ogni anno tra le sabbie delle pianure saline della contea di Pershing verso il primo lunedì di settembre, con lo scopo di fungere da punto d’incontro per chi è stanco delle costrizioni imposte della società, e desidera trovare personalità in qualche maniera affini alla sua. Un tripudio d’installazioni cinetiche, strane statue, monumenti fantastici ed altre meravigliose amenità, culminante con il rito pagano di far ardere (da cui il nome) una giganteggiante effige antropomorfa, ad ogni occasione ricostruita ed in qualche maniera differente. Un ambiente perfettamente ideale, dunque, per nutrire e far prosperare un simile mollusco cefalopode, che nulla desidera di più a questo mondo, che essere soavemente ammirato.
All’interno di un recinto, otto manovelle. Con altrettante persone che le girano freneticamente, allo scopo di far muovere, rispettivamente: braccia (questo il nome degli arti più corti), i due tentacoli maggiori, le pinne di stabilizzazione sul mantello (potreste definirlo dorso) e addirittura fare aprire e chiudere gli occhi della creatura, stranamente simili al tipico cestello per effettuare la cottura al vapore della verdura. Talmente simili, che vuoi VEDERE….

Leggi tutto