Seppia metallica gigante nel piazzale della Maker Faire

Mechateuthis

Corpo di mille merluzzi baleniferi negli otto/nove mari, ærrrr! Il vecchio gamba-di-legno, barbanera e rossa, amante dei pappagalli dall’inseparabile cannocchiale con cappello a tricorno e uncino al posto della mano destra…Aveva dunque, ragione!? La creatura che riemerge dalle onde, per una singola volta ogni 13.000 anni, al fine di mostrarsi nell’intero suo tentacolare nonché affabile sinuoseggiare. Certo, quel vecchio Dingo di mare aveva esagerato con le proporzioni. “Grande quanto la poppa di un galeone del tesoro!” Un gran paio di corbezzoli-medusa trasparenti! È difficile giudicare la distanza di un qualcosa, del resto, quando una benda nera copre la metà dei propri occhi funzionanti. Mentre l’esagerazione, per sua natura, fa parte dello stereotipo della gente che conosce solo il sale, l’acqua il Sole ed i gabbiani, esattamente quanto il beniamino piumato sulla spalla oppure le varie parti del corpo date in pasto a bestie degli oceani, ad incidenti con le funi, a palle di cannone di passaggio (la fame dei proiettili è davvero rinomata). Ed è pur vero che talune altre caratteristiche del mostro sono state sottovalutate: primo tra tutti, il materiale. Non è cartilaginea questa…Seppia, come i temuti squali, né ossea, alla maniera di balene o simili cetacei vagheggianti. Ma costituita in duro e puro ferro e acciaio inossidabile, tanto che nessun arpione, per quanto valido e possente, avrebbe mai le doti necessarie per tirarla fin sopra lo scafo. Una creatura libera, dunque, benché statica in funzione delle circostanze. Qualcuno potrebbe addirittura definirla, una scultura.
Gente non priva di un certo coraggio, gli artisti. Tale da permettergli di fare il verso alla natura, costruendo con le proprie mani un qualche cosa che difficilmente può essere costretto e definito. Giungendo a suscitare il fascino, si, ma anche una vaga di dose di maestosa soggezione. Quale altro sentimento si potrebbe mai associare, a una creazione come Mechateuthis, il fenomenale oggetto quasi-vivente, che negli ultimi due anni (almeno) ha connotato le lunghe giornate di lavoro di Barry Crawford, il possessore di un officina metallurgica con sede ad Elko, nel Nevada. Che come molti degli altri coabitanti dello stato (tra i più secchi e inospitali dell’America settentrionale) ha vissuto gli ultimi 20 anni con il mito di un particolare evento, che partendo da un turbine di quelle sabbie, grazie allo strumento comunicativo di una serie di riprese attentamente regolamentate, cattura l’attenzione di un’intera controcultura globale: quella dei figli, degli a loro volta figli di Madre Natura. Colei che pianta ed accarezza i Fiori. E fu così, tanto per essere massimamente chiari, che nacque originariamente la creazione semovente che da ieri sta facendo parlare di se un po’ ovunque sul web, dai siti e blog specializzati, fino alle pagine di ricondivisione più o meno autorizzate nel giardino fortificato di Facebook; con il ruolo specifico di attrazione per il Burning Man. Di certo conoscerete, o per lo meno avrete sentito parlare, della grande “città” di Black Rock, che sorge ogni anno tra le sabbie delle pianure saline della contea di Pershing verso il primo lunedì di settembre, con lo scopo di fungere da punto d’incontro per chi è stanco delle costrizioni imposte della società, e desidera trovare personalità in qualche maniera affini alla sua. Un tripudio d’installazioni cinetiche, strane statue, monumenti fantastici ed altre meravigliose amenità, culminante con il rito pagano di far ardere (da cui il nome) una giganteggiante effige antropomorfa, ad ogni occasione ricostruita ed in qualche maniera differente. Un ambiente perfettamente ideale, dunque, per nutrire e far prosperare un simile mollusco cefalopode, che nulla desidera di più a questo mondo, che essere soavemente ammirato.
All’interno di un recinto, otto manovelle. Con altrettante persone che le girano freneticamente, allo scopo di far muovere, rispettivamente: braccia (questo il nome degli arti più corti), i due tentacoli maggiori, le pinne di stabilizzazione sul mantello (potreste definirlo dorso) e addirittura fare aprire e chiudere gli occhi della creatura, stranamente simili al tipico cestello per effettuare la cottura al vapore della verdura. Talmente simili, che vuoi VEDERE….

Mechateuthis Burning Man
Durante la sua precedente esposizione al Burning Man, Mechateuthis appariva decisamente meno realistica, con movimenti rigidi e imprecisi. La sua patina di quella che sembrerebbe essere ruggine, tuttavia, appariva già presente, costituendo dunque una precisa scelta stilistica piuttosto che un effetto accidentale degli elementi.

Il meccanismo della seppia meccanica può apparire, in un primo momento, sorprendente. In primo luogo perché non si capisce in quale modo il movimento delle piccole manovelle presso cui è chiamato il pubblico, venga in qualche maniera trasmesso ed amplificato fino alla scultura al centro della recinzione, attraverso quelli che sembrerebbero essere a tutti gli effetti dei comuni passacavi. Di gran lunga troppo piccoli per ospitare degli alberi della trasmissione o simili congegni semoventi, a meno d’immaginare incredibili soluzioni prossime alla fantascienza. Ed in effetti la realtà è molto più semplice, ed al tempo stesso pratica, di così: la scultura è in effetti motorizzata e controllata da un computer centrale, nella fattispecie appartenente alla categoria dei kit Arduino, sostanziale sinonimo a partire dal 2005 di ogni automatismo digitale, per così dire, fatto in casa. Ovvero non creato da un grande compagnia del mondo commerciale globalizzato. E non è certo un caso, se una tale seppia splendida è riemersa oggi, come da video di apertura e dopo l’epoca del Burning Man, nel più grande piazzale della Bay Area di San Mateo, California, luogo di nascita ed annuale sito di svolgimento della più importante e rinomata, tra la letterale dozzina di eventi che fanno capo alla rivista Maker Magazine, l’emblema editoriale del recente movimento dei cosiddetti artigiani digitali: inventori, artisti, creativi di ogni possibile tipologia…
Un qualcosa che abbiamo avuto modo di conoscere anche qui in Italia a partire dal 2013, con le tre edizioni tenutosi fin’ora al Palazzo dei Congressi, all’Auditorium Parco della Musica ed all’Università della Sapienza. Nient’altro che, in un certo senso, l’applicazione della cultura hacker al mondo della costruzione materiale, al fine di mettere insieme oggetti che integrino mondi culturali diametralmente opposti: programmazione e falegnameria, meccanica e scultura…O come nel caso di Barry Crawford, purissima metallurgia.

Helicopter Dragonfly
L’artista racconta di aver visitato per la prima volta il Burning Man nel 2012, restandone estremamente colpito. Al punto di esserci tornato, l’anno successivo, con una libellula-elicottero gigante.

C’è un filo conduttore, nelle sue opere, che ricorre come metodo e finalità creativa in molti scultori meccanisti dei nostri giorni: l’impiego di materiali per così dire di recupero, attentamente interconnessi con un’ampia varietà di componenti costruite su misura. Così è possibile vedere, sulla pagina Facebook della sua azienda (il sito ufficiale risulta inaccessibile al momento in cui scrivo, probabilmente per l’eccessivo successo di questi ultimi giorni) un affascinante gufo costruito con parti di orologi ed una catena di bicicletta, ed un cavallo alto 45 cm il cui dorso è un’unione di molle per le sospensioni, dadi e bulloni di vario tipo. Nel frattempo, l’altra sua opera più famosa prima della seppia semovente era questa Libellula-Elicottero su Fiore Meccanico, in realtà un’applicazione pratica dello stesso principio alla base di Mechateuthis: costruire un meccanismo semplice, che riesca tuttavia ad alludere a un qualcosa di notevolmente più complesso. In quel caso, si trattava del battito in alternanza delle ali dell’insetto, reso con una semplice rotazione longitudinale. E basta vedere il video soprastante, per rendersi conto di come tale soluzione sostitutiva fosse in effetti tutt’altro che deludente. Mentre nel caso della creatura marina, egli ha deciso di spingersi molto più oltre: l’ipnotico movimento dei tentacoli, in effetti e così ci viene spiegato, non risulta da altro che dalla rotazione perfettamente regolare di una serie di barre curve, inserite all’interno del magnifico esoscheletro, in qualche maniera simile ad un’armatura per Cthulhu, che Crawford è riuscito a costruire nella sua officina. L’unione di questi due elementi basta per creare un’illusione di movimento alquanto realistica e convincente.
Non è particolarmente chiaro dove, ad oggi, sia stata trasportata la seppia, successivamente al concludersi del suo secondo soggiorno pubblico in occasione di una grande fiera di breve durata. Un video pubblicato a gennaio sulla pagina social della scultura, ad ogni modo, la mostrava all’interno del Centro Convegni di Elko, una struttura all’apparenza molto tecnologica e moderna. Dove il leggendario mostro degli abissi appariva in qualche modo molto più benevolo, urbano & prevedibile, gradevolmente illuminato da lucine led azzurre e persino programmato per muoversi da solo, senza l’intervento diretto degli spettatori che avrebbero dovuto far vorticare le fatidiche manovelle. Una bestia dai due volti, dunque: l’uno rivolto al regno più sfrenato degli abitatori temporanei del deserto, lontano dagli occhi indiscreti di chi potrebbe tentare di catturarla e darla in pasto al mondo ormai globalizzato. E l’altro, di un portavoce d’eccellenza, capacità operativa ed ottime speranze per il futuro, così perfettamente a suo agio tra le altre dozzine di inventori che partecipavano alla Maker Faire.
Come, per l’appunto, una preistorica creatura degli abissi, che per quanto ne sappiamo emerge raramente. Ma quando lo fa, cattura l’attenzione dei biologi di mezzo mondo. Facendosi portatrice di un messaggio, senza parole, suoni o una ragione. Ma soltanto un singolo colore carico di possibilità: il pallido candore dei molluschi.

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