Quando i campioni facevano i conti col macinapepe

Curta Calculator

1954: un fantastico pomeriggio sulle strade di montagna tra La Bollène-Vésubie e Sospel, quartultima tappa del grande Rallye Automobile Monte Carlo, l’evento motoristico più amato da mezza Europa. Le fiammanti automobili di un tempo ormai lontano, momentaneamente silenziose e poste in fila indiana lungo un breve rettilineo, creano un contrasto significativo con le anse digradanti del Col de Turini, una delle strade più celebri, e pericolose, che attraversano le Alpes-Maritimes, sopra la barbagliante Costa Azzurra. Manifesti disegnati a mano, bandiere e nastri variopinti si agitano lievi nel vento. “Questce que c’est, copilote?” Chi ha parlato è Louis Chiron, il 55enne campione d’innumerevoli segmenti dal crudele asfalto, tornanti irrecuperabili ed altre ripide tenzoni. Fin da ragazzo, costui aveva guidato. Sempre al volante: dapprima come chaffeur dei marescialli Philippe Pétain, e Ferdinand Foch, durante la prima grande guerra, e poi ancora, sui circuiti da gran premio delle nascenti gare in monoposto. Aveva trionfato, per Bugatti e Alfa Romeo, in luoghi ormai quasi leggendari, come i circuiti di Marsiglia e Saint-Gaudens, vicino la città di Tolosa. E adesso stava qui, nonostante tutto, a guardare il suo navigatore che sembrava macinare il pepe; CLICK-CLICK-CLICK-FRRR. “Cosa-stai-facendo?” Ciro Basadonna, l’italiano che occupava il suo sedile passeggeri fino a poco fa, è appoggiato con la schiena allo sportello destro della Lancia Aurelia GT, bianco fulmine della giornata. Alza lo sguardo, per un attimo, verso il suo compagno di squadra e solleva la mano destra, con il palmo aperto e declama: “Aspetta un attimo!” Un passero sceglie quel momento per posarsi sul cofano dell’auto. Un’occhiata del francese basta a farlo subito scappare via. L’altro continua a sferragliare.
“Dodici minuti, quarantasei secondi e 2 decimi” Fa Ciro, con l’indice sinistro alzato. Pétain resta perplesso per un attimo, poi comprende: “Il tempo massimo? Per vincere, vuoi dire?” L’altro esibisce l’oggetto della sua frenetica attenzione: “Si, puoi contarci. Me l’ha detto un austriaco!” A quel punto, finalmente ben visibile in controluce, si staglia il cilindretto a manovella, la piccola invenzione meccanica, prima calcolatrice portatile della storia. Frutto dell’opera ingegneristica di Curt Herzstark, veniva venduta da qualche anno in particolari e piccoli negozi di orologeria, con il nome commerciale, netto e chiaro, di calcolatrice Curta Calculator. Ciro aveva avuto la sua dal cugino, di ritorno da un viaggetto in Liechtenstein, fatto con la moglie per il quindicesimo anniversario di matrimonio. “Vuoi vedere, Pétain?” Di suo il grande pilota, che tren’tanni prima era stato anche tenente d’artiglieria, di calcoli ne capiva qualche cosa. Ma un oggetto simile… Così accetta l’offerta del compare, stringendo delicatamente la struttura poco familiare. La calcolatrice non ha nulla a che vedere con quelle usuali di quei tempi, simili a sferraglianti macchine da scrivere, pesanti e delicate. Assomiglia, piuttosto, alla testa metallica di una granata tedesca o all’obiettivo di una macchina fotografica, striato da numerose levette preminenti. Dalla parte superiore dell’oggetto, come lui aveva già avuto il tempo di notare, spunta una piccola manovella di metallo, che può essere estratta di uno, due scatti. Quando la gira per due volte in senso orario, qualcosa cambia nella parte superiore dell’oggetto: sono dei numeri stampati, montati su degli elementi in grado di ruotare. “Aspé, aspetta un attimo.” Ciro, d’un tratto eccitato, inizia a spiegare in breve quale sia la storia. La regola fondamentale di funzionamento ed il sistema d’utilizzo. A quel punto riprende in mano la Curta. E parla a lungo, un po’ in italiano, un po’ in francese, del modo in cui lo straordinario oggettino possa, incredibilmente, calcolare addizioni, sottrazioni, divisioni e moltiplicazioni, sulla base di come si manovrano le sue diverse componenti. Quindi, di fronte allo sguardo fisso di Pétain, ripete la serie di gesti usati nel suo calcolo di due minuti prima: addizione del tempo impiegato per le diverse tappe precedenti – il totale dei tempi del team della Peugeot 203, loro principale avversaria nella gara. I due concorrenti, loro vecchie conoscenze nonché amici-nemici di tante altre competizioni, sono già al di là del passo, avendo partecipato alla sessione mattutina della gara. Ma una breve telefonata dall’hotel ad un amico dei giudici ha fornito a Ciro quel fattore necessario, per conoscere la Verità.
Il grande pilota sorride, poi batte una pacca sulla spalla del navigatore “Quelle bonne idée! Grazie, grazie mille amico mio! Questa volta…Aha! Li-facciamo-neri!”

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Persino il muletto non è privo di flessuosità

Muletto nel camion

Problema semplice, soluzione complicata: all’alba del primo giorno del settimo mese di lavoro, dopo un’estate passata al mare, giunge un camion sulla piazza dell’azienda di famiglia. È vuoto eppure carico di aspettativa, questo cupo e grosso e stanco mezzo di trasporto. Dovrà prendersi, secondo precisa bolla di accompagno non una, non tre, bensì esattamente due casse cubiche giganti. Piene di… Prodotte in… Polpette dal peso di 30centomille quintonnellate l’una e dalle dimensioni, neanche a farlo apposta, esattamente identiche allo spazio utile a disposizione. Come installarle nella stretta sede, spingerle adeguatamente a fondo, dunque, restava certamente un orrido quesito. Non puoi spingere a mano 30centomille quintonnellate x2. Ma sbrigati, che l’autista batte già nervosamente il piede a terra!
Il che ci porta a noi, anzi, a codesta coppia di campioni. L’uomo con la maglietta ed il cappello rosso, i pantaloni mimetici e l’inarrestabile carrello elevatore arancione n. 23503300, con il suo amico in maglia viola pronto a sollevarlo. Si tratta di una storia pregna e ricca di sorprese. Parla di un mondo in cui quello che conta non è partecipare, ma giungere a destinazione, portare a compimento l’obiettivo; di una consegna, di uno scaricamento, dell’ultima mansione assolta prima della pausa pranzo. Lavoro è quel compito per cui la società ti ricompensa, in funzione dei problemi che risolvi. Ma mentre durante le vacanze, più ti diverti, tanto maggiormente paghi e dopo piangi per i conti da pagare, sulla sedia dell’ufficio oppure del veicolo che guidi, trovando aspetti positivi nel trascorrere della giornata sarai sempre soddisfatto. Farai un lavoro, addirittura…Migliore? Più veloce (faster) agile (stronger) efficiente (better). Tre parole d’ordine che possono assegnarsi a molte cose, tranne forse, normalmente, al caro, piccolo e prezioso mulo da trasporto. Che non è un “animale” molto intelligente. Né disponibile a comprendere le situazioni, benché forte all’occorrenza. Anzi, non lo è proprio, un essere vivente (in questo caso, almeno) ma un sistema di pneumatici, motore e quattro leve di comando, con un uomo sopra, cavaliere delle fabbriche o dei magazzini. Tra tutti gli impiegati radunati sul piazzale, il guidatore di tale veicolo è dotato di una straordinaria aura di potere. Soltanto lui, fra tutti, grazie alla chiave di avviamento e al patentino, può risolvere il dilemma di giornata. E del resto, tanto meglio se si è in due!
Se fossimo in Spagna, li chiameremmo Don Chisciotte e Sancio, in Sudamerica, Zorro e Bernardo. Negli Stati Uniti, Batman e Robin ma qui siamo in Cina. E benché manchi l’alta canna di bambù, piegata appena dall’incedere lieve dei guerrieri trascinati oltre il suolo e dentro il vento, loro sono chiaramente: Drago e Tigrone, senza dubbio alcuno. Il primo sostiene, spingendo innanzi, e l’altro si ricava spazio dove non ce n’era: 力山 diceva, del resto, la sua candida livrea. 力山: carrello elevatore. 力山: forza di gravitazione? 力山: energia della montagna? Peccato l’altro assembramento di caratteri antichi, apparentemente, non voglia dire altro che “numero tre.” C’é un limite persino alla poesia. Finché lo scatolone non viene immediatamente fatto levitare. E messo in parte dentro al camion. Solo il giusto: perché subito dopo, neanche a dirlo, nello stesso modo viene maneggiato il primo agente, cavallo e cavaliere, supereroe e Batmobile in questione, per continuare l’opera e portarla a splendido coronamento. L’unione fa, la forza. Elimina, lo sforzo.  Ciò vale anche negli altri ambiti…

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L’austriaco delle porte rotanti

Klemens Torggler

Una sola pagina nera opaca, segmentata, alta giusto quanto la parete della stanza. Evolution è il suo nome: pare un gigantesco libro chiuso, il mistero sull’inizio della scena. Poi con un gesto ruota, fluttuando si ripiega, sparisce e dunque ricompare, uguale, soltanto a mezzo metro di distanza. Al suo posto resta un punto di passaggio, vuoto. Passi l’uomo nella porta, fra i triangoli. Quasi come un origami giapponese, l’ultima creazione del designer viennese Klemens Torggler muta forma e posizione, ripiegando la sua forma su se stessa. Divide le stanze e al tempo stesso le arricchisce, richiamando alla mente immagini di mondi futuribili e di altrettanto bizzarre visioni escheriane, oltre i confini della semplice normalità.
Creare spazi e definirli è il punto stesso dell’ergonomia. Ogni stanza, cubo potenziale, trova la sua effettiva configurazione dalle singole esigenze dei momenti: dormire negli angoli distanti, mangiare al centro del soggiorno illuminato… Ciascuna di queste attività quotidiane sottintende un mutamento, termodinamico o biologico, che necessariamente si rispecchia nelle molteplici geometrie dell’architettura, arte universale del bisogno abitativo. Per questo cambiando stanza ci si sposta, nel contempo, in un diverso mondo filosofico. In mezzo a tale valico, nell’epoca moderna e da altrettanto chiara tradizione, dovrà pur esserci un qualche tipo di interfaccia. Ideale quanto effettiva. Le pareti racchiudono, i pavimenti sostengono; ciò che serve ad uno scopo non può essere modificato. Con facilità. Per questo la porta, convenzionalmente, non divide, ma conduce a dei concetti. La presenza di una piccola finestra, ad altezza occhi, palesa il benvenuto a dei visitatori. Grosse serrature, paletti di metallo, scoraggiano gli intrusi malvoluti. Funzionalità prima che estetica, secondo il puro senso della chiarissima ovvietà. Tutto il resto è appannaggio dell’arredamento, il contenuto. Non è Forma. Si può cambiare il senso di una porta? Intellettualmente no, altrimenti diventerebbe una finestra. O altro. Però, ecco, nel suo funzionamento…

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Torre in domino da guinness dei primati

Austrian Domino

Erano all’incirca in centomila, dentro la semplice palestra di una scuola del comune di Yspertal, sul principio di un momento memorabile, l’oggetto di questo video travolgente. Il crollo di un palazzo gigantesco, alto ben (solo) sei metri. La svolta degna di una saga leggendaria, scolpita nella plastica e forgiata con il gioco. Perse fra le tessere, c’erano anche le aziende più famose dello stato federato della Bassa Austria, promotrici di soluzioni tecnologiche o prodotti innovativi. E poi una banca regionale, le ferrovie di stato e soprattutto patrimoni culturali, come la celebre abbazia benedettina di Melk. Ciascuna cosa ricreata, in situ, tramite l’allegoria di un qualche segno grafico multicolore. Loghi, scritte, stemmi o illustrazioni cubettose, però non particolarmente dettagliate, intendiamoci. Per un motivo presto chiaro all’occhio dell’osservatore: il mezzo scelto per crearle, fotografarle, lasciarle a durevole testimonianza dei viventi. Finché qualcuno…
Il gioco del domino, fin da quando fu inventato nell’antica Cina, si è dimostrato favorevole al riciclo concettuale. I suoi pezzi, ben più versatili di quelli degli scacchi, sono stati usati dai bambini per edificare piccole muraglie, dolmen, templi dorici e corinzi – la tentazione, soprattutto vista la forma regolare, quella compattezza, era semplicemente troppo grande. Ci si reinventava costruttori. Del resto, l’abbiamo visto succedere anche con le carte, dai mazzi a quei castelli. Ma mentre tale tipologia di attrezzi ludici, sottile per definizione, è sempre stata pronta al crollo, sia pure con un soffio, le gustose tesserine, una volta messe in piedi tendevano a restare. Finché ad un tratto…
L’energia potenziale di un simile costrutto, pronta a scatenarsi d’improvviso, andrebbe misurata in megajoule, come per l’esplodere di un barile di tritolo. Quel senso di stasi silenziosa, il protrarsi dell’attesa, con centinaia di migliaia di elementi, simili ai soldati nella tomba dell’imperatore, pronti a scatenarsi nel turbine dell’ora più tremenda. L’ultima battaglia di una lunga serie, sempre, ma mai, il termine di una carriera. Finito l’orrido scrosciare, radunati, divisi per colori, i pezzettini torneranno nelle borse, nelle scatole o persino nella mente, per lunghi giorni o mesi di tranquillità. La metropoli di tessere di questa iniziativa, splendido exploit del gruppo specializzato Austrian Domino Art, è frutto di un’attenta pianificazione. Decine di persone, con pazienza certosina, l’hanno costruita. Qualcuno ci stava ancora lavorando, quando all’improvviso…

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