La prudenza che si chiama pachiderma

Elephant Voices

La savana è un sistema di fattori che si fonda sul continuo mutamento. Attraverso i cicli stagionali, la pioggia e le tremende siccità, gli attori di quel biòma si rincorrono, costruiscono un’intesa e poi si mangiano a vicenda. Nessun ruolo è fisso, qui copione non esiste. Tale legge di natura, se vogliamo, vale pure per le cose inanimate. Un fiume che scorre in mezzo alla radura, personaggio degno del teatro shakespeariano, può essere, non essere, o sul volgere del mese scomparire, come il sogno di una notte a metà estate. Luglio? Agosto? Il calendario, fondamento dell’umana concezione temporale, può servire in certi casi, tra la gente. Esami, rate da pagare, impegni di lavoro….Ok! Preveder la pioggia in mezzo al Kenya…Non è di questo mondo. Dunque spesso capita, che un tale corso d’acqua, sparito d’improvviso dal paesaggio, sia però ancora ben presente, altrove, dentro ad una mappa. Virtuale, ben salvata nella mente di un intero branco d’elefanti. Disse Archimede: corpo immerso in un fluido che riceve una spinta verticale pari al peso di una massa di fluido di forma uguale a quella della parte immersa; aggiungi una proboscide, come timone, quattro zamponi per motore, sei a cavallo. L’animale terrestre più imponente del pianeta, come molti sanno, sa nuotare all’occorrenza. O se il corso si è asciugato, beh, discendere un pendio.
Più o meno. In questo video suggestivo, pubblicato dal portale ElephantVoices.org, si possono ammirare i molti approcci di alcuni quadrupedi eleganti, dalle vaste orecchie, che si ritrovano dinnanzi ad un dilemma. Come andare avanti. La mentalità di branco, basilare istinto di sopravvivenza, fa di questi scherzi. Tutti ricordano l’esempio delle pecore che saltano la staccionata; se va una, tutte le altre devono seguire [ZZz]. Ma quando pesi più di 10 tonnellate, per quanto agile, scattante, una ripida discesa è come un monte. Hai voglia: “La mattina ogni animale deve correre, etc. etc…” A cosa servono le Nike, per un pachiderma? Questi qui poi sembrano dire: facciamo subito, con calma. Just do it, ovvero giusto un attimo.

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Aperitivo con giraffa e noccioline

Giraffa nel bar

Un uomo entra in un bar e trova una mucca ritta in piedi dietro al bancone di servizio, con la cravatta al posto del tradizionale campanaccio. Resta subito di stucco. “Cos’hai tanto da guardare?” Chiede l’impeccabile bovino. “Mai vista una mu-ucca che prepara i drink?” “Non è questo…” risponde l’uomo. “Non avrei mai pensato che la giraffa si sarebbe venduta la licenza e pure il bar. Ah, tempi duri questi qui!” Eccome! Di giovani quadrupedi dai geni scombinati, segregati, poi sparati e spezzettati. Emblematica è l’idea. Speculativamente parlando, erano tre, queste gigantesse collo-lungo della torrida savana: Perdy del Sudafrica e gli ormai famosi Marius Brothers, emigrati, per l’irresistibile volere d’altri, nella terre fredde del distante Nord Europa. In altrettanti zoo danesi. Migliore fu la vita, questo è chiaro, della parente semi-selvatica rimasta nel suo continente. In questo video del 2013, che sta ricevendo grande visibilità, si assiste alla scena surreale di tale giraffa-femmina imperturbabile, sottilmente fuori luogo, che tranquillamente si avventura tra le sedie e i tavoli di un bar. Siamo nello spettacolare Lion Park, oasi sita nel Gauteng, giusto a qualche chilometro dalla celebre città di Johannesburg, Sudafrica. “Una delle cento destinazioni turistiche più amate in tutto il mondo!” Tuona il sito ufficiale, con pantagruelico banner in giallo e nero, fra foto di lepaordi, tigripardi e satolli panteroidi. Qui è possibile esplorare, come si capisce al primo sguardo dell’home page, mondi d’altri tempi, inscenare il Tarzan redivivonutrire le belve dalla propria sacra mano, scattare foto di Primati senza pari. Poi, questo è il bello, soprattutto: niente sbarre tranne quelle dei golf cart; se ci sono gli ampi spazi, tutto il resto vien da se.
Ecco l’esperienza della selvatica natura, impacchettata nella pratica misura d’uomo, senza i problemi eugenetici delle giraffe viaggiatrici. Tanto che alla fine, succede pure questo: Perdy che vagabondando si ritrova dentro al bar. E come ridono i presenti, quale astrusa giustapposizione, tra l’enorme dinosauro e gli avventori, i banconieri, ovvero quelli che servono i gelati! Niente bracconieri, quelli no, per fortuna. Altrimenti affari suoi.
Ritornando all’ipotetica speculazione, questi due fratelli, Marius & Marius, a colloquio con la bella Perdy sotto l’albero di baobab, potrebbero aver detto: “Emigrerò, mal che vada so una cosa, solamente. Un leone non mi mangerà.” Quale orribile ironia.

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Roboagenzia di collocamento: doppia assunzione

Fun with robots

Bangokok la splendida, città fragrante, antica capitale e moderna metropoli tailandese. Sulla spaziosa Via Rama III, un lungofiume del sacro Chao Praya, campeggia coloratissimo ristorante giapponese della tipologia Yakiniku, di quelli dove si mangia la carne grigliata. Dietro al bancone c’è un samurai silenzioso, con un televisore a fargli da testa, due grossi occhi da cartone animato e un look, nel complesso, non dissimile dal celebre Marvin il Marziano. La sua armatura storicamente accurata, rossa, gialla e oro, non sfigurerebbe sui lontani campi di battaglia del turbolento XVI secolo, tra i molti signori sconfitti da un grande conquistatore, placati dal diplomatico taiko e infine dominati dallo shōgun paziente, sul canto finale di un usignolo assai lungamente atteso. Tale redivivo guerriero, in anacronistica effige metallica, senza la spada simbolo del suo rango, non è li per combattere a beneficio dei suoi precedenti signori. Percorre, piuttosto, una Via di benevolenza e altruismo. Il solenne sentiero del cameriere automatico, vera star della scena ristoratrice.
Di questo curioso figuro meccatronico, nonché del suo identico collega, ne parla diffusamente Bangkok.com, nella sottosezione del portale dedicata alle ultime curiosità cittadine. Insieme, i due pupazzi costituiscono la principale attrazione di Hajime, un popolare bistrò etnico dedicato al più remoto arcipelago d’Oriente, molto amato da grandi e piccini. Ci si siede ai tavoli, ciascuno dotato del tradizionale barbecue, da usarsi per cuocere personalmente alcuni degli ingredienti del proprio pasto, tra cui carne di maiale, manzo, pollo e verdure. Si effettua quindi l’ordine, usando l’apposito tablet di supporto. E poi ci si mette a guardare il robot, piuttosto a lungo, pare. Dicono, infatti, che il servizio non sia velocissimo, con i suoi quasi 20 minuti di attesa. Probabilmente, il collo di bottiglia si trova in cucina. Jigou jitoku, significa: quello che fai, è ciò da cui trarrai beneficio. Mai e poi mai un depositario di tradizioni millenarie, come quell’androide samuraico, dimenticherebbe tale nipponico assioma.
E poi, mettiamoci pure che i robot non falliscono mai (il più delle volte). Ecco, questo è l’aspetto interessante, di simili iniziative commerciali: il puntare a un tratto emergente della cultura dei nostri giorni, ovvero la sempre maggiore fiducia popolare nell’automatismo. Fino a qualche anno fa, una simile idea, di farsi portare il cibo da un robot, avrebbe fatto alzare più di un sopracciglio. Figuriamoci poi, affidare ad un suo simile la direzione del traffico, in un incrocio davvero problematico…

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Millepiedi non bastano per arrivare prima

Millipede

Neanche l’artropode miriapode più grande al mondo può sottrarsi alle regole del codice della strada, specie qualora debba confrontarsi con delle dispotiche formiche legionarie. La scena si svolge nel parco nazionale di Bui, nel Ghana meridionale. Archispirostreptus gigasanche detto il millepiedi gigante africano, quella mattina si era svegliato con un proposito importante. Andare verso una specifica direzione, per un tempo indefinito, verso mete vagabonde. Difficilmente questo essere, che può raggiungere la ragguardevole lunghezza di 38 cm e i 7 anni di età, pensa profondamente a qualche cosa. Già le sue 256 zampe, di un numero equivalente ai colori grafici di un vetusto standard VGA, occupano la parte principale della preziosa materia cerebrale nascosta nel suo capo corazzato. Lentamente, tastando il suolo con le antenne, si volge verso sera. Una volta pronto, zampettando se ne va. Gira intorno ai tronchi degli alberi, in cerca del materiale putrescente di cui si abitualmente ama nutrirsi. Serpeggiando evita le pozze e i pochi torrenti delle regioni sub-sahariane, in cerca di un pascolo gradevolmente ombroso. Se incontra un predatore più grande di lui si chiude a spirale, lasciando scoperte unicamente le rigide placche dorsali, simili all’armatura a scaglie di un cavaliere medievale. Vive nella più totale serenità di un singolo momento, sapendo che in caso d’emergenza può anche secernere un fluido speciale, urticante per gli occhi e il muso degli eventuali mammiferi affamati. Tra l’altro non ha nemmeno un buon sapore. Tutti lo ignorano. E lui degli altri, non se ne cura. Finché, distrattamente, non giunge a contato con la sua perfetta antitesi: un formicaio, comunità brulicante fondata sul senso pratico e la determinazione. E li, beh, sarebbe servito l’aiuto di un semaforo.

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