Sono molti gli animali che possiedono un significato simbolico frequentemente citato nell’espressione di un concetto umano. Il cane è fedele, la volpe scaltra, l’orso è forte, l’aquila è libera e il granchio… Uhm, cammina di lato. Quel tipo di deambulazione bizzarra, in qualche modo disallineata con il concetto prototipico di convenienza, che difficilmente si riconcilia con il senso basico della rapidità traslazionale. Superficialmente parlando. Ed in considerazione del fatto che, nonostante la diffusione dei documentari e trattazioni specifiche sia cresciuta esponenzialmente nel corso delle ultime decadi, comparativamente pochi tra i non-specialisti o abitanti del villaggio globale finiscono per interessarsi ad una particolare sotto-famiglia degli Ocypodidae altrimenti detti granchi violisti, visto il possesso di una chela sinistra sovradimensionata utilizzata per difendersi e proiettare il proprio fascino all’indirizzo delle potenziali partner riproduttiva. Caratteristica pur sempre presente benché in modo meno marcato per quanto concerne gli appartenenti al genere Ocypode, con potenziali finalità collegate proprio all’agilità e flessibilità nei movimenti. Osservare approfonditamente alcune delle più grandi tra le 22 specie riconosciute, come l’O. ceratophthalmus così chiamato per la forma dei propri peduncoli oculari (ὀφθαλμός) tanto appuntiti da sembrare corna (κέρατος), risulta essere effettivamente piuttosto complicato, vista la loro capacità di muoversi orizzontalmente ad una velocità pari a 100 volte la larghezza del suo corpo ad ogni sessantesimo di minuto, con dimensioni variabili tra i 30 e 50 mm. Stiamo parlando per chiarezza di un tratto di costa pari a 5 metri al secondo, che una volta portato alla scala umana, corrisponderebbe a 175 m/s o 630 Km orari. Con un richiamo al mondo trasversale dei supereroi, dunque, avendo raggiunto un ritmo superiore alla maggior parte dei record stabiliti dai veicoli a motore fuori da contesti estremamente particolari e più della metà della velocità del suono. Basti aggiungere a questo un tipo di abitudini prevalentemente notturne, oltre ad una considerevole abilità nel mimetismo, per comprendere a pieno la denominazione comune di queste creature come granchi fantasma, qualifica capace di andare ben oltre la mera citazione stagionale nel periodo di Halloween, costituendo una metafora effettivamente utile a cogliere al volo, quanto meno, lo stile di vita e priorità evolutive del piccolo abitante della zona intertidale. Là dove le onde si infrangono, giorno dopo giorno, e tante creature marine vengono trasportate successivamente alla loro dipartita, conducendo i loro corpi ai primi graduali accenni di decomposizione. Che tanto spesso risultano essere gli ultimi, poco dopo che i sensibili chemiorecettori degli scattanti spazzini del vicinato, con le loro zampe acuminate e ben sollevate da terra, possano fiondarsi all’occorrenza del sublime banchetto, mediante l’uso degli efficienti arti massillipedi che prelevano e sminuzzano le carni prima di agevolare l’ingestione. Affinché le spoglie mortali dei pesci, almeno una volta prima di essere restituite al ciclo biologico della natura, possano fare l’esperienza di spostarsi oltre i confini del proprio legittimo ambiente di appartenenza, assumendo tutte le caratteristiche del combustibile a bordo di un’astronave…
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Il grillo che perpetua la sua specie nei deserti lavici creati dalla Dea del monte Kilahuea
Essere o non essere, stati contrapposti nella percezione noetica dell’Universo, come punti estremi dello scorrimento lungo l’asse temporale degli eventi. Un punto di partenza estremamente funzionale, e a dire il vero ineluttabile, da cui venne anticamente elaborata la teoria fondamentale della generazione spontanea. Dove cadono le briciole, nascono formiche. Se l’umidità raggiunge il punto di stoccaggio, la dispensa si popola di curculionidi del grano. Se un essere vivente muore senza essere tolto di mezzo, la sua carne si trasforma in larve di mosca che nei giorni o settimane successive, spiccheranno il volo. “Quello che non vedo con i miei occhi, non è reale.” Affermavano comunemente i primi cercatori della verità in merito alle circostanze ed il comportamento delle creature. “Per questo l’unica spiegazione possibile, è che avvenga senza soluzione di continuità apparente.” Un simile ragionamento strumentale, nella maggior parte delle circostanze, non offre spunti di chiarezza superiori a qualsivoglia tipo di credenza religiosa. Per questo le due linee hanno continuato a combattersi per lunghi e dolorosi secoli, da quando gli umani svilupparono la curiosità necessaria a scrutare con occhi indagatori la biosfera eternamente persistente. Non ebbero particolari dubbi, d’altra parte, gli abitanti dell’Isola Grande di Hawaii, giunti dai loro remoti lidi polinesiani d’origine, nel caratterizzare un particolare insetto dell’arcipelago come figlio fenomenico della divina Pele, Colei che Regola e Determina la Fuoriuscita di Lapilli e Pietra Fusa dalle Cavità del Mondo. Come spiegare altrimenti l’esclusiva presenza di questo particolare ortottero all’interno degli scarni territori ricoperti dalla lava solidificata da non più di qualche mese o anno a questa parte, proprio là, dove nessun’altra creatura sembrava capace di sopravvivere in alcun modo? E dove andavano i piccoli brulicanti, ogni qual volta erba e vegetazione, inevitabilmente, riuscivano di nuovo ad attecchire in quegli torturati frangenti? Normalizzando gradualmente questi luoghi, mentre il quasi leggendario ‘ūhini nēnē pele (“piccolo saltatore ronzante della lava”) ritornava, misteriosamente, nell’apparente dimensione parallela della sua quotidiana esistenza!
Non prima del 1978 dunque, ad opera dei ricercatori del Bishop Museum di Honolulu, Gurney e Rentz, il Caconemobius fori sarebbe stato finalmente fotografato e classificato, assegnandogli una qualifica tassonomica nel gruppo di un recente genere, ospitante primariamente grilli degli ambienti sotterranei sulle coste del Pacifico dall’Asia alle Hawaii. Coi quali condivide il metabolismo poco esigente in termine di nutrimento ed alcune caratteristiche riproduttive, nonché l’assenza quasi totale di ali e di un canto udibile dall’orecchio umano. Ma per il resto, potrebbe costituire uno degli insetti maggiormente caratterizzati dalla propria endemismo estremofilo, raggiungendo quasi le vette di un batterio o microrganismo…
La pigra cavalletta che figura tra gli insetti più tossici dei cinque continenti
L’affamato licaone volgeva con l’attenta consuetudine il suo sguardo all’indirizzo della fattoria dell’uomo. E quella costruzione in filo di metallo, colma di magnifiche creature del tutto incapaci di volare. Ah, galline! Cosa non farei per quel… Sapore. Persino penetrare nel pertugio sotto l’elettrificata recinzione, insinuarsi dentro il territorio reclamato in quel Zimbabwe ed aggirare l’oltraggiata superbia del suo antico avversario, il Cane. L’eterno servitore, imponente assalitore di ogni cosa che viene da fuori. Ora questo Cane, un mastino di Boerboel del peso di almeno 70 Kg si trovava in prossimità di una struttura costruita sulla sua misura, intento a rosicchiare un osso lasciatogli dal suo signore. Al che il licaone, su un piano del tutto istintivo, comprese in modo transitorio un qualcosa di assolutamente fondamentale: non importa quanto ben nutrito, comodo e protetto fosse quel temibile nemico. Il suo cervello in perenne cortocircuito gli avrebbe ripetuto in ogni attimo quel familiare impulso: mangia, mangia, DIVORA! Qualcosa di non sempre conduttivo, in base alle diverse circostanze, a gradevoli conseguenze finali. Ora il quadrupede zimbabwese, in qualche modo fondamentalmente imprevedibile, vide prospettarsi innanzi al proprio agire lo schema prototipico di un piano. Non del tipo elaborato per le connessioni neuronali nel suo caso assenti, bensì prospettato dal verificarsi di fortuite concatenazioni tra causa ed effetto. Allorché avanzando, tra i rami più bassi di una siepe di asclepiadacee dai fiori di cera, vide una scintilla rossa e nera profilarsi ai più remoti confini del suo campo visivo. Ora la diabolica creatura, roboante cavalletta, si spostò all’indirizzo del confine invalicabile, e poi oltre sotto l’occhio incredulo del vigile Boerboel. Che in un solo, agile balzo, la ghermì con le sue zampe muscolose e strinse in bocca tra labbra e acuminate zanne d’avorio. Crudelmente soddisfatto fu in questo frangente il licaone, che sapeva ciò che avrebbe avuto luogo nei pochi momenti successivi. Un sibilo leggero, appena udibile dalle sue orecchie amplificate. E schiuma bianca che fuoriesce dall’insetto, rendendo idrofobo d’aspetto il suo malcapitato torturatore. Finché il mordace non fu preso da tremori e nel giro di pochi secondi, cadde rovinosamente a lato della gabbia del pollame. Adesso soddisfatto, l’irsuto ladro maculato riprese laboriosamente lo scavo. Gli animali selvatici sanno che ci sono circostanze e situazioni dove, ispirati da ragioni di contesto, conviene coltivare sempre i meriti dell’astinenza. Ma quella saggezza e implicita pazienza, adesso, era stata accantonata…
Aritmia subito seguita da crisi cardiaca e nei casi più gravi, arresto cardiaco pressoché immediato. Avreste mai pensato di poter subire conseguenze simili, soltanto per aver introdotto nel vostro sistema digerente il corpo variopinto di un insetto? Probabilmente no, perché probabilmente non siete abitanti dell’Africa al di sotto della linea equatoriale e… Probabilmente, non avete mai osservato con i vostri occhi una riconoscibile esponente della specie Dictyophorus spumans o cavalletta schiumosa delle koppie (n.d.t: koppie significa “collinetta”) in merito alla quale i giovani vengono educati nelle scuole, poiché rappresenta il caso raro di una creatura del Vecchio Mondo, nociva e terribile a tal punto che potrebbe appartenere ai biomi più temuti d’Australia…
Occhi rossi da orsacchiotto, code che saettano tra gli eucalipti. La solenne precarietà di un gremlin che sa volare
Vagando silenziosamente nelle lunghe notti australiane, uomini e donne del Servizio Forestale puntano tra i rami torce dalla luminosità sproporzionata. Fari nella tenebra, potenti come armi, che arrecano disturbo al popolo delle creature con un’unica finalità gentile. Giacché in questa dimensione, la conoscenza può costituire una risorsa, utile a influenzare le spregiudicate scelte della collettività ignorante. E per ciascun paio di minuti spilli incandescenti, timide presenze sovrastanti, un albero può essere salvato. E nel raggio di una quindicina di metri, un’altra mezza dozzina o più dei necessari condomini vegetali. Per il bene di coloro che risiedono all’interno… Esperti di petauri che leggete queste righe, avidi conoscitori del più celebre “topo volante” nel secondo continente più meridionale al mondo, certamente avrete visto assieme a quel minuscolo e striato marsupiale, l’opossum, il bassarisco, il pademelon e il wombat. Ma potreste non conoscere… Costui. Cugino dalle dimensioni massime pari a un gatto domestico, tanto da essere chiamato Greater Glider (Planatore Maggiore) o membro del genere Petauroides proprio perché simile in modo superficiale al volante falangeride, sebbene strettamente imparentato ad un diverso tipo di abitanti. Gli Emibelideini, una sottofamiglia degli Pseudocheiridi, esseri notturni con artigli opponibili dalla coda lunga ma non prensile, il cui volto stranamente espressivo viene talvolta paragonato a quello dei Lemuri africani. Originali persino tra questi, gli odierni protagonisti possono del resto trarre beneficio dal possesso di un patagium, o superficie membranosa che si estende dalle zampe posteriori ai gomiti di quelle anteriori, permettendogli quando lo vogliono di fare un passo verso il vuoto dalla piattaforma dei più alti rami. Per volare agevolmente lungo dei tragitti sostanziali, in grado di raggiungere anche i 100 metri di distanza in condizioni ottimali. Potendo compiere complesse traiettorie o addirittura disegnare angoli a 90 gradi ricercando un punto d’atterraggio sicuro. Utile approccio per cercare di salvarsi quando minacciato da eventuali predatori, tra cui spiccano la civetta reale ed il barbagianni fuligginoso, soprattutto dato il contegno normalmente lento e poco agile di questo pacifico guardiano della canopia. Il cui pericolo vigente di maggior portata, allo stato attuale delle circostanze, resta molto prevedibilmente la riduzione dell’habitat dovuta allo sfruttamento non sostenibile dei territori dell’Australia Orientale. Situazione che, del resto, condivide con molti dei suoi cugini e coabitanti degli ombrosi distretti battuti dai venti della vastità oceanica che lo divide dagli animali del Vecchio e Nuovo Mondo…



