Quanto è forte l’Italia nello sport delle battaglie medievali?

Battle of Nations 2016

Risposta breve: molto. Risposta lunga: davvero molto, ma purtroppo ancora non abbastanza per sconfiggere Russia, Bielorussia, Ucraina e Polonia, il manipolo di paesi che ha fondato nel 2010 questa particolare forma di competizione tra singoli ed a squadre, a partire dalla passione locale per le ricostruzioni storiche che vanno, per così dire, dritte al punto. È una metodologia piuttosto originale di onorare la Storia, questa, che antepone all’accuratezza estrema degli aspetti per così dire, esteriori, così relativamente facile da ottenere purché si abbia la giusta documentazione (e materiali, studiosi, costumisti…) Con un approccio che potrebbe facilmente essere definito “sperimentale”.
La questione è molto semplice, volendo. Sappiamo bene, dalla letteratura coéva, dalla storia dell’arte e dai resoconti delle cronache delle famiglie nobili, che nell’Europa di una buona parte del Medioevo del Rinascimento, diciamo almeno tra il XII ed il XVI secolo, sia esistita la diffusa tradizione (se non vogliamo addirittura definirla “moda”) di far cozzare le proprie armi senza l’intenzione di ferire o uccidere l’avversario, ma sotto lo sguardo appassionato di un nutrito pubblico talvolta addirittura popolare, accorso sugli spalti o presso le pareti dell’arena per tifare i propri beniamini. Che erano, doverosamente, i signori del territorio di residenza, mentre i loro avversari provenienti da fuori dovevano fare affidamento sul proprio seguito di scudieri e servitori, trasformati per l’occasione in una sorta di primordiali cheerleaders, pronti a battere con forza sugli scudi di ferocia e d’entusiasmo. Una situazione, nel complesso, che non pochi sono giunti a definire come antesignana dei moderni sport più seguìti, in cui squadre attentamente definite si combattono inseguendo un qualche tipo di pallone, innalzando metaforicamente il vessillo della propria maglia rigorosamente nazionale. Così noi oggi, sappiamo tutto del torneo. Ma sappiamo veramente TUTTO del torneo? Perché un conto è leggerne sui libri, tutto un’altro, invece, calarsi sulla testa il rigido cimiero, ed avanzare verso la controparte di giornata stando bene pronti a ricevere qualche abbondante dozzina di colpi di mazza, azza, spada e scudo, trasformato per l’occasione nell’equivalenza pratica della proverbiale sedia degli incontri di wrestling, sarebbe a dire, l’arma dell’ultima spiaggia eppure tanto, tanto dolorosa. Perché qui, credo siano in pochi a voler dubitarne, si fanno veramente male, come testimoniato anche dalla presenza di un intero staff medico contemporaneo, appropriatamente tenuto nascosto in una tenda periferica del grande accampamento, ma sempre pronto ad intervenire per far fronte a contusioni, graffi sanguinanti, l’occasionale micro, oppure macro-frattura. Detto questo, veniamo a noi.
O per meglio dire a loro, gli atleti italiani che hanno gloriosamente partecipato alla recente edizione della Battle of Nations 2016, tenutasi durante la prima metà del mese di maggio a Praga, benché sia chiaro che l’evento si sposta ogni anno tra i diversi paesi dell’Est Europa ed in un caso anche in Francia, senza mai restare legato alle tradizioni e modalità di uno specifico territorio. Risultando dunque tanto più internazionale e significativo. La nostra delegazione di 36 guerrieri e guerriere (si, c’è anche la categoria femminile), capeggiata da Antonio De Zio del club di rievocazione di Livorno “La Vergine di Ferro” era tra i più numerosi ai banchi di partenza, con delegazioni e distaccamenti preparate in modo specifico per quasi tutte le categorie: il duello 1vs1, lo scontro 5vs5 e la grande rissa 21vs21. Mancavamo, purtroppo o meno male, unicamente di un partecipante per la categoria degli scontri individuali con le armi lunghe, tra i più pericolosi implementi bellici impiegati nel corso dello sfaccettato evento.

Leggi tutto

L’antico sport dei guerrieri d’Irlanda

Hurling

Gli alti bastioni di Emain Macha, sulle colline di Armagh, sembravano chiamarlo ed accoglierlo con un senso di possente aspettativa. Il ragazzo ben sapeva, grazie a un’intuizione superiore al normale, che qualunque cosa fosse successa in quel fatidico giorno, sarebbe stata predestinata dagli Dei. E questo aveva detto prima di partire a sua madre Deichtine, figlia ed auriga del re di Ulster, Conchobar mac Nessa. Così, all’età di soli 11 anni, il coraggioso Sétanta aveva lasciato la tenuta di famiglia, l’equivalente di un feudo medievale nell’epoca del primo secolo d.C, per recarsi presso la capitale del regno, ed unirsi alle bande guerriere dei giovani difensori dei clan. A vederlo, non sembrava ancora fatto della stoffa di un eroe: egli era basso, con la carnagione scura, non particolarmente muscoloso o imponente. Il lunghi capelli, dai riflessi cangianti tra il castano, il biondo e l’oro, erano stati legati con cura attorno alla sua nuca. La tenuta era modesta ma conforme a quella tipica del viaggiatore, con un mantello di colore verde dal cappuccio abbassato, stivali stretti alle caviglie con la corda ed una larga tunica, dalla stoffa decorata a quadrettoni variopinti. Nella mano destra stringeva, come sua abitudine, il fido bastone da passeggio dalla testa appesantita, che il suo popolo era uso a definire shillelagh. Nessuno, nella capitale, conosceva il suo volto. Eppure i guardiani del portale dell’arena, vedendolo palesarsi, subito si fecero da parte: c’era un qualcosa, nello sguardo e il portamento di quel ragazzino, che riusciva a suscitare un senso immediato di soggezione, persino tra i guerrieri veterani delle molte battaglie dell’Ulaidh, la terra che un giorno lontano avrebbe preso il nome di Irlanda del Nord.
Quasi immediatamente, sopra l’erba rigogliosa del luogo di scontro ed addestramento in cui si era inoltrato lo straniero, calò uno stato innaturale di immobilità. Chi correva, chi lanciava e riprendeva la sliotar, tradizionale palla in legno e crine di cavallo, chi si adoperava negli scontri simulati col camán, una sorta di versione piatta e larga della mazza da guerra, simile ad un remo, con rinforzi di metallo alle sue contrapposte estremità…16 ragazzi, ancora troppo giovani per essere guerrieri, si fermarono, si riunirono in un minaccioso capannello, quindi avanzarono verso quello che non potevano fare a meno di considerare un intruso: “Chi sei tu, insignificante individuo…” A parlare era il capo della banda, che l’abbigliamento identificava come il figlio di un nobile della città, “…Che osa mettere piede nello stadio di Emain Macha, senza prima chiedere la protezione a uno di noi? Lo sai cosa comporta questo gesto?” A quel punto Sétanta, i piedi ben piantati nella posizione di riposo del Gioco, lo shillelagh ben stretto tra le mani e in posizione orizzontale all’altezza della vita, serra i denti e increspa il labbro superiore: “Voi…” Le pupille improvvisamente ingrossate, prendono a muoversi in maniera ritmica da destra verso sinistra, e viceversa, mentre le sopracciglia sporgono in fuori, a guisa di malefici vermi di terra: “Siete voi…La giovane banda…Che progetta di assalire il Connacht? Voi…Non siete pronti.” Colto in contropiede, l’arrogante condottiero apre la bocca, quindi la richiude. Alza in alto il suo intimidatorio camán. Poi pronuncia le fatidiche parole: “Ragazzi, questo qui viene da fuori, ad insultarci. Dategli subito ADDOSSO!”
Ora, naturalmente, nell’Irlanda protostorica le risse erano già una cosa seria. Ce n’erano di ogni tipo, nelle locande, nelle piazze, durante le riunioni di governo nella lunga sala del sovrano. Per le ragioni più diverse: una disputa su scambi commerciali, ad esempio, oppure divergenze in materia di proprietà terriere. O ancora l’incertezza su chi dovesse cedere il passo alla sua controparte. Una donna. Ma nessun argomento infiammava gli animi, soprattutto nella primavera della vita, che la sensazione di aver ricevuto un’offesa d’onore. E questo, Sétanta lo sapeva molto bene. Così alzò subito lo shillelagh, per deviare il colpo del suo nemico. Qui lo fece mulinare in un ampio discorso persuasivo, simile al movimento ritmico di un direttore d’orchestra. La banda dei giovani esitò. Ma il primo di loro, che nonostante l’età era già scaltro e furbo nella lotta, si era nel frattempo mosso alle sue spalle con la fluidità del vento, e alzato l’attrezzo in legno e ferro sopra la sua testa, lo vibrò poderosamente all’indirizzo del nipote del re, colpendolo alla spalla destra. Quello, quindi, cadde a terra rovinosamente. E tutto sembrò essere perduto, mentre già il resto della banda, ripreso il coraggio, insidiava la figura ripiegata su stessa da ogni lato. Se non che all’improvviso, il futuro difensore dell’Ulster parve come illuminarsi, in un vortice di calore divampante, mentre i capelli si scioglievano spontaneamente dall’acconciatura e prendevano un aspetto paragonabile a quello della chioma di Medusa. La sua pelle assunse una tinta minacciosamente rossa, mentre gli abiti si agitavano per l’effetto di un vento sovrannaturale. La mazza gettata da una parte, appariva ormai del tutto priva di significato, visto come la mani strette ad artiglio parevano atteggiarsi alle zampe di un orso. Sétanta balzò in piedi, mulinando come un ossesso. In breve tempo, l’intera cricca degli aspiranti guerrieri fu annientata dal nuovo arrivato. Qualche osso qui e là, secondo il resoconto dei presenti, potrebbe aver ceduto all’entusiasmo della situazione.
Gli adulti distanti, che osservavano la scena dagli spalti, capirono immediatamente a cosa avevano assistito: era questo, niente meno che un leggendario caso di ríastrad, l’invasamento divino. Il ragazzo trasfigurato, quindi, riprese il controllo e ritornò ragionevolmente “umano”. Ma da quel giorno, nessuno avrebbe più dubitato del diritto di Sétanta a percorrere il campo da Iomáint di Emain Macha, e sarebbero anzi stati i giovani locali, con un senso di atterrita soggezione, ad implorare il suo permesso per accedervi, e giocare.

Leggi tutto

L’uomo che sorvola la città col gatto delle nevi

Levi LaValee St. Paul

Se c’è una cosa che non ti aspetti dal tipico video di acrobazie urbane, questa è certamente l’originalità. Da quanto il pilota di rally Ken Block rivoluzionò il mondo dei video per YouTube sponsorizzati, rilasciandovi gratuitamente il suo celebre video Gymkhana 2 nel 2009, tutte le aziende con velleità sportive hanno, prima o poi, fatto in modo di riprendere gli atleti delle proprie scuderie alle prese con gli scenari più improbabili dei centri cittadini in giro per il mondo. Ma quello che ha in modo particolare questo nuovo video di Red Bull è, prima di tutto, l’appropriatezza di contesto, con perfetta identità di luogo scelto, provenienza del pilota, condizioni climatiche e situazionali: a St. Paul, nel Minnesota, la prima delle due Città Gemelle che costituiscono la principale megalopoli dello stato. E poi, l’avevate mai viste figure simili, realizzate tramite l’impiego di due pattini sterzanti e un solo cingolo motorizzato? Il gatto delle nevi, come tipologia di mezzo, rientra senz’altro nel gruppo di quelli che ispirano un senso latente di imprudenza e voglia di fare follie. Forse per il suo aspetto inusuale, specie dal punto di vista di chi vive a latitudini diverse dalle alci o gli orsi canadesi. O magari per l’ottimo rapporto peso potenza, una necessità pressoché irrinunciabile per simili veicoli, concepiti originariamente per portare assistenza in luoghi estremamente remoti e del tutto privi di strade. Eppure, stiamo parlando di un veicolo che può raggiungere tranquillamente i due quintali di peso, specie se in versione adatta all’impiego professionistico e di gara, e che in conseguenza di ciò risulta inevitabilmente meno agile di una leggiadra moto da cross. Così, ci vogliono capacità fuori dal comune per fare apparire facile il gesto di saltare, da un lato all’altro delle varie gaps (termine proveniente dal mondo dello skateboard) sfrecciare tra gli incroci, infilarsi dietro a questo o quel muretto… Doti come quelle, per l’appunto, di Levi LaVallee, l’artista della snowmobile (così la chiamano da queste parti) nato nel 1982, e che dal 2004 sta collezionando medaglie prestigiose a ogni singola edizione dei Winter X Games di Aspen, per non parlare dei titoli vinti all’ISOC, il principale campionato di gare su neve degli Stati Uniti, e l’essere stato nominato il 19° sportivo più influente del mondo dalla celebre rivista ESPN. Niente male, per il praticante di uno sport talmente settoriale, da risultare essenzialmente sconosciuto a livello professionistico al di fuori di specifici paesi!
E dove poteva nascere, un simile fulmine di guerra, se non tra le nubi del destino di un luogo simile, parte inscindibile del vasto bacino idrico dei Grandi Laghi, dove il fiume Mississipi s’incontra con il Minnesota e all’altro lato di quest’acqua sorge Minneapolis, secondo centro abitato dell’intero Midwest, sorpassata unicamente da Chicago. Un luogo che veniva chiamato, agli inizi del 1940, niente meno che “l’Occhio del Maiale” perché qui sorgeva la taverna, e luogo di scambio commerciale, di proprietà del cacciatore di pelli franco-canadese Pierre Parrant, così detto in funzione di una parziale disabilità visiva. Finché Lucien Galtier, il primo prete cattolico della regione, non vi costruì vicino una cappella di tronchi dedicata a San Paolo di Tarso, ribadendo a più riprese che la regione dovesse essere intitolata al suo beniamino, principalmente perché si trattava di un nome composto da una sola sillaba, “Facile da pronunciare per tutti i cristiani.” E caso volle che nel giro di un paio di generazioni, la sua volontà fu assecondata. Fin ad un tale punto che è ancora possibile, oggi, osservare l’evoluzione remota di detto edificio religioso nella cattedrale cittadina, attorno alla quale LaVallee esegue alcune delle sue migliori evoluzioni di apertura: il salto in verticale verso una piattaforma elevata, ed un coreografico “superman” (il gesto di lasciarsi trascinare in aria dal veicolo aggrappandosi al sellino) con la cupola ecclesiastica raffigurata a lato dell’inquadratura. È una vista agile e leggiadra come quella di un angelo, ma che al tempo stesso pare incorporare le fiamme del baratro infernale di colui che non teme la morte, un peccato per definizione. Ma così tremendamente facile, da perdonare…

Leggi tutto

Nuovi modi per scendere dai grattacieli di Dubai

Dubai Dream Jump

Senti il vento che ti soffia nei capelli, mentre lo sguardo vaga rapido sul panorama. Non sei mai stato tanto attento in vita tua. Sopra la Princess Tower, sopra la tower, mamma mia. E quell’arbusto geometrico che si protende verso il mare! Vederlo con i propri occhi, da un’altezza di circa 400 metri, fa una certa impressione. Perché non c’è proprio nulla di naturalistico, nell’arcipelago ingegnerizzato di Palm Jumeirah, il primo e più piccolo dei tre progetti di recupero dal mare che dal 2001 hanno iniziato ad ergersi orizzontalmente (in fondo, sono alberi) all’interno del Golfo Persico, stagliandosi con il loro color sabbia sullo sfondo dell’Oceano Indiano. Un’ipotesi di crescita ed investimento così profondamente…Caratteristica della città di Dubai…Dove tutto sembra qualche volta possibile, persino l’irragionevole. E salire sulla cima di un palazzo, qualche volta, non comporta il riutilizzo successivo degli stessi metodi col fine di tornare giù. Bensì un approccio radicalmente differente, che presuppone una mancanza di vertigini e l’appartenenza a una specifica cultura, quella, naturalmente giovane, dell’arte verticale del BASE Jumping. O almeno, questo è il messaggio che ti sembra di aver metabolizzato, al termine del corso accelerato, condotto con gli istruttori della Skydive Dubai, una delle poche scuole al mondo che si specializzano nel divulgare questa strana disciplina. Un rombo distante, alzi gli occhi per notare il transito di un piccolo jet, l’aereo, assai probabilmente, di qualche magnate del petrolio in viaggio verso le città di Doha o di Muscat. Chi ricorda, giunti tanto in alto, i quattro punti cardinali? E perpendicolarmente sotto quella macchia di colore nell’azzurro cielo, in posizione protetta dalle onde per l’effetto della “chioma” della palma, campeggiano due cose totalmente differenti: 1 – La marina, un porticciolo, ad uso rigorosamente d’intrattenimento (ma ciò non vale in questi luoghi, forse, per ogni singola cosa?) In cui yacht e motoscafi attendono pazientemente che ritorni il loro proprietario, per l’attimo esaltante, di nuovo ripetuto, di provare l’entusiasmo mediano di un balzo in mezzo ai flutti scintillanti. (Oh, quanto vorresti, in un certo senso, essere laggiù…) 2 – Un piccolo aeroporto, con accanto il capannone che conosci fin troppo bene: qualche aula, una potente capsula del vento o due, dove fluttuare virtualmente come se la gravità ti avesse in pugno per qualche estatico minuto. Nient’altro che la sede, in effetti, del tuo istituto di educazione post-laurea delle ultime settimane, dove hai appreso tutto quello che serviva per trovarti qui, adesso, e partecipare all’esperienza irripetibile del cosiddetto Dream Jump.
“È molto semplice, studente. Ci serve sangue fresco.” Pare ancora di sentire la sua voce: “Lo vedi quello? Si, il palazzo alto con la cupola sulla sua cima. In questo momento ti trovi all’ombra del secondo edificio più alto degli Emirati Arabi, misurante la metà esatta della torre Burj Khalifa. Ecco, non farti strane idee. Quella lì, purtroppo, è off-limits. Ma in prossimità della cima della sua sorella minore, che è pur sempre l’edificio residenziale più alto al mondo, di qui a qualche mese sarà collocata una passerella. E dalla passerella correrà un filo. Sarà teso come una corda di violino ed ancorato…” A quel punto, l’istruttore si alzò con un fluido movimento, spostandosi fino alla finestra più vicina. Quindi puntò il dito verso un punto, apparentemente arbitrario, del verde praticello antistante: “…Proprio lì. Allora, che te ne pare?” E se mai c’è stata un’occasione irripetibile di questa vita, allora eccola qui. Perché se è vero che gli sport estremi, a Dubai, sono di casa, in una sorta di ricerca delle relazioni pubbliche che ha scelto di fondarsi sul compiere dei gesti veri, correre pericoli, ma in modo affascinante…Non sono in certo in molti, i newcomers che ricevono l’invito a un’esperienza come questa, destinata a stabilire un certo numero di nuovi record del mondo. Così, mentre tu portavi a termine la serie di lanci prevista dal tuo corso, pagato rigorosamente in anticipo e per una somma, tutto sommato, non maggiore di quella di un paio di track days presso l’autodromo di Vallelunga, dalla cima di questa location prestigiosa era iniziata una vera e propria pioggia d’uomini, per nient’altro che le molte prove di un lancio collettivo che doveva esserci, ci sarebbe stato. Ed in effetti si è verificato, ormai da qualche tempo (era lo scorso aprile del 2015). Ma ecco che il tempo si esaurisce….Basta divagazioni. Ritorniamo a TE, saltatore dell’ultimo giorno, l’invitato speciale ucronico dell’intero show!

Leggi tutto