Calcia un po’ più in alto, Mr. Taekwondo

Kickgun

Ciò che succede a volte lascia esterrefatti! È da ieri che gira, anche in senso letterale, questo breve video (13 secondi) ambientato dentro ad una sala giochi coreana. Dove pendeva invitante e cuoioso, il frutto a pera della macchinetta tira-pugni, ovvero quel giochino che consiste nel colpire un quasi-tenero bersaglio, esibendo la misura della propria forza a beneficio di ragazze o astanti casuali. Per cui 400 punti sono una facezia, 600-700 roba da anzianotti e 1000, 1200, rispettivamente, un soddisfacente ed ottimo livello di potenza. Ma non per lui. Ingun Yoo, alias Kickgun (calcio-cannone) che ha già ampiamente usato la più celebre arte marziale del suo paese per farsi un nome illustre, quando gioca a cose simili lo fa con una foga particolare. Quasi come se scorresse, attraverso di lui, l’energia di cento battaglie, incanalata attraverso il gesto di annientamento senza compromessi, anche nelle sfide senza un merito ulteriore. Così eccolo che entra, dal bordo sinistro dell’inquadratura, pantaloni grigi e felpa nera. Ed è già notevolmente fuori centro: avete mai visto qualcuno vibrare un diretto a partire da una posizione semi-accovacciata, in bilico sulla gamba sinistra? Chi ha parlato di sganassoni? Niente uppercut, in questo caso. Neanche un gancio dato all’ultimo momento.
Il tempo pare fermarsi e cala giù il silenzio, nel salone. Ingun gira su se stesso una, due, tre volte. Dopo la prima mezza rivoluzione, il pavimento è già lontano, il piede destro molto in alto. Abbastanza in alto, il caso vuole, da colpire… Il punching ball! L’intera struttura della macchinetta vibra sotto il colpo poderoso, mentre il suo display impazzisce nell’arduo tentativo di assegnare un numero all’impresa. A quel punto l’intera Internet attende ansiosa il risultato, ma il video all’improvviso si interrompe. Non è forse misurabile dal punto di vista matematico, una tale forza de-pedis senza precedenti. Oppure in quel momento è intervenuto il proprietario del locale, per bloccare l’entusiasmo dello scapestrato e sequestrare il cellulare dell’amico… Rimarremo, dunque, nel dubbio amletico sul risultato? Su chi fosse, veramente, questo eroe per caso? Fino a un certo punto. Fino a quello, dico e non di più, perché questa specifica eminenza calciante è una personalità di primo piano nel suo settore. Che fa parte, ormai da anni, della troupe dei giovani guerrieri King Of ConneXion, un‘originale combinazione sportiva ed artistica tra praticanti delle arti marziali e ballerini di breakdance, già messa alla prova in molte competizioni internazionali e con il merito ulteriore di aver fatto conoscere, a un livello particolarmente immediato, alcuni meriti della cultura coreana. Loro, che si definiscono un tricking team, hanno saputo dimostrare la capacità di unire modernità e tradizione in un interessante insieme di salti, rotazioni e acrobazie, più o meno a tempo di musica, eseguite negli scenari più diversi. Ma è forse proprio l’attimo imprevisto, l’impresa del singolo membro fuori servizio, colto dall’ispirazione del momento, ciò che maggiormente può colpire la comune fantasia del mondo digitale.
Perché tutti abbiamo provato, almeno una volta, quei diabolici marchingegni, ricoperti di lucine invitanti, posti all’angolo della galleria dei giochi. Assieme ai tiri al bersaglio coi palloni da basket, l’hockey da tavolo, il gioco di Kenshiro e il calcio balilla, tutte quelle attività vagamente sportive, che implicano un certo grado di movimento, non consono alla vicinanza dei normali cabinati ludici, ricolmi di componentistica piuttosto delicata. Ed è una sorta di liberazione, da tanta concentrazione psico-motoria, liberare finalmente tutta l’energia mentale, in un solo forte pugno, benché sia raro, per il videogiocatore medio, ottenere un punteggio convincente.
Troppa cattiveria ed intenzione, serve, per cogliere la gloria virulenta di quell’invitante Pera. Quando pensa, amante del Wu-xia! Bastava saper praticare l’eccellente arte marziale dei calci, sport nazionale della Corea. Un colpo volante rotativo, se dato con i crismi, non può che essere: perfetto. Completamente utile allo scopo. Per garantirsi un punteggio del 100% oppure poco meno, 1999 peta-megatoni cubici al quadrato meno due?!

Leggi tutto

Anziano maestro che sconfigge cinque campioni di judo

Kyuzo Mifune

Ah, Kyuzo Mifune! Quando nasceva quest’uomo i fratelli Lumière stavano ancora perfezionando, nel distante continente d’Europa, le tecniche per mettere la luce su pellicola, il primo prototipo di cinepresa. E adesso eccolo lì, oltre 70 anni dopo tale svolta d’epoca, sul palcoscenico finale del suo dojo di una vita. Spesa bene, molto faticosamente. Guadagnandosi, nonostante le due guerre, una reputazione di sportivo insuperabile. E la cintura nera 10° dan, il massimo grado di quel mondo, eternamente dedito al combattimento. Non per niente tutti lo chiamavano a quel punto, “Il Dio del–“. Questo è uno spezzone di The essence of judo un vecchio e interessante documentario, disponibile su YouTube senza una data esatta o altre specifiche di produzione, probabilmente reperito in origine, nonché sottotitolato, dallo stesso utente Mike Fliss, che ne offre la versione integrale di un’ora di durata.
Qui compare lui, lottatore leggero e apparentemente irrigidito dall’età, rigoroso eppure privo di una massa muscolare rilevante, ormai canuto, spigoloso e invulnerabile quanto uno spietato stelo di bambù. E l’intero gotha tokyoita della scuola Kōdōkan, ove era nato, neanche un secolo prima, il concetto stesso di quest’arte marziale moderna, in cui le tecniche di epoca Muromachi (XVI sec.) venivano adattate e limitate a ciò che fosse giusto, ed utile, al di fuori della furia di una guerra. Niente più intento omicida, dunque. Ma non fraintendete questa scena! Non stiamo certo parlando, qui, dell’incontro tra un anziano istruttore in pensione e i suoi pupilli adoranti, la nuova generazione che lui stesso ha contribuito a plasmare, pronta a ricambiarlo con un gesto di rispetto collettivo, lasciandolo trionfare per bontà… Questa durissima lezione, perché di ciò si tratta, è anche lo scontro tra visioni estremamente differenti. Ciascuno dei giovani guerrieri coinvolti si era già meritato, attraverso innumerevoli tornei ed esami, almeno il quinto o sesto grado oltre il colore nero, tracciando, con gli archi e le proiezioni disegnate dagli avversari sconfitti, una sua via del judo lunga e articolata. Che ebbe a condurlo sopra quel tatami, dandogli l’ultima opportunità. D
i superare chi è venuto prima! Nella visione del combattimento dell’Estremo Oriente, anche contesto del mondo circostante ha un grado primario d’importanza. E finita l’epoca di transizione, dopo la fatica fatta dai predecessori, come mai potrebbero loro dar prova di essere altrettanto validi, e possenti? Se non così, allora…

Leggi tutto

Esegesi del supremo ninja internettiano

Epic Ninja Action

Nessun quartiere. Ma tanti variegati scenari, quanto i diversi angoli di una città bidimensionale, oltre ad un treno in corsa, giustamente. E centinaia di nemici, alti, bassi, eleganti guerrieri oppure membri di squadroni sgangherati. Vagonate di rossastra emoglobina per un cartone animato che non sembra terminare mai. E ti credo! Crearlo, a quanto pare, avrebbe richiesto nove anni di applicazione, faticosamente investiti da Alexey Yurevich detto dex00, l’autore russo di cotanto adrenalinico entusiasmo. Di sicuro, ci avrà lavorato a giorni alterni. Ma il risultato..Ниндзя в деле (Ninja Action) è un vero e proprio tour de force, di frame soltanto parzialmente sovrapposti, fondali che scorrono veloci e soprattutto botte, sciabolate, fucilate, capriole e capocciate. Si tratta, come chiaramente denunciato dalla descrizione, di: “Un omaggio ai vecchi videogiochi per console. Ispirato a Mortal Kombat, Battletoads, Double Dragon, Street Fighter, Streets of Rage. Al cinema di Jackie Chan ed al celeberrimo Xiao Xiao.” (Ah!) Piuttosto che sfondare subito il milione di visualizzazioni su YouTube, come normalmente capita ai creatori di buffi o divertenti cortometraggi disegnati, purché siano di alta qualità, questo qui ci sta riuscendo solamente adesso, dopo due mesi dalla sua pubblicazione. Strano. Di sicuro, non è colpa della lingua! Nessuno ha il tempo di parlare, sulle strade di una lotta tanto ricca di sorprese, mosse speciali e qualche momento comico, a far da pausa riflessiva.
Il fatto è che esistono, in questo moderno mondo d’intrattenimento, due tipi di guerrieri della notte: ninja ninjaninja gaiden. Il primo è furbo e silenzioso. Cammina sopra i rami con un passo lieve, o nuota immerso nel fossato del castello, respirando da una lunga canna di bambù. Poi si arrampica con gli strumenti comunemente denominati “artigli della tigre”, balza dentro la finestra e uccide “solamente” il suo bersaglio. Poco prima di svanire in una scura nuvola di fumo. Rappresenta, in un certo senso, l’approssimazione ragionevole della figura storica di un agente spionistico d’epoca feudale giapponese. E benché, anche in simili figure, Hollywood abbia cambiato molte cose, ninja ninja resta sempre un uomo. Tutto il contrario dell’irrazionale controparte: esiste la convinzione, assai diffusa per qualche misterioso motivo, che un esperto dell’inganno e il sotterfugio abbia al suo interno il seme di una sconfinata rabbia. Pronta a scatenarsi, per un senso di giustizia lesa, contro l’universo intero. Ninja Gaiden è la serie di videogiochi della Tecmo, iniziata nel 1988 e che sconfina nel gaming contemporaneo a tripla A, in cui la sete di sangue del protagonista non pareva mai esaurirsi, ma piuttosto aumentava con il crescere del numero dei suoi nemici. Un simile ninja, non può essere fermato. È come il protagonista di un film d’arti marziali archetipico, che una volta investito del sacro fuoco della vendetta, guadagna la forza di dieci uomini, schiva i proiettili e distrugge a pugni le pareti. Por qué? Una fidanzata rapita. Un genitore trucidato. Il negozio di famiglia dato alle fiamme dai criminali, gli amati elefanti deportati da un crudele imprenditore, oppure addirittura, la manifestazione terrena del grande demone Orochi…Ma nel qui presente Ninja Action, si supera il bisogno di cotanti presupposti. Semplicemente il protagonista corre, entra dentro un’edificio. Incontra gente. Gli appoggia il pugno sulla faccia. E inizia un piano sequenza interminabile, della durata di oltre tredici minuti, in cui viene messa duramente alla prova la varietà di scene d’azione rappresentabili attraverso lo strumento di due sole dimensioni. Oltre alla (paziente) furia dello spettatore!

Leggi tutto

En garde! Sto alzando il mio bastone da passeggio…

Canne de combat

…Che si chiama Durlindana! Se l’anima del samurai è la sua spada curva, arma infusa dello spirito degli antenati, quale potrà essere la nostra, di uomini privi di connotazioni bellicose? La risposta va cercata nella vita quotidiana di una volta, quando la lotta senza appositi strumenti, piuttosto che un’attività sportiva, era una pratica che proveniva dal bisogno. Ma prima d’inoltrarci nei fumosi vicoli della Londra vittoriana, piuttosto che dietro gli alti padiglioni o ai metallici edifici e simboli dell’Esposizione Universale di Parigi (quella del 1900) sarà meglio procedere con metodo scientifico appropriato. Conoscere le vie nascoste dell’autodifesa, certe volte, vuole dire prevalere sui briganti. Soprattutto nel campo eclettico delle arti marziali d’Occidente.
Nelle Olimpiadi dei tempi moderni, la cui seconda edizione ebbe luogo durante la già citata fiera internazionale, esisteva fino a poco tempo fa una sentita tradizione, praticata fino al 1992 e detta in francese (lingua ufficiale dell’evento) sport de démonstration, secondo cui alla nazione ospitante, subito dopo l’accensione della torcia titolare, veniva consentito di dar spazio ad una sua particolare tradizione atletica, non necessariamente di natura agonistica o convenzionale. E la stessa capitale della Francia, avendo ricevuto l’onore di ospitare i Giochi, mise fieramente in mostra, nell’ordine: il volo degli aquiloni, il pronto soccorso, il caricamento dei cannoni ed alcuni interessanti precursori degli sport moderni, come il tennis e il gioco delle bocce. Ci fu quindi un crescendo, nelle edizioni immediatamente successive, per eguagliare o superare tali memorabili momenti. Con proposte storiche davvero imprevedibili: il football gaelico a St. Louis, Stati Uniti (1904), il polo in bicicletta (Londra, 1908) la lotta vichinga del glima, fedelmente ricostruita grazie alle associazioni culturali di Stoccolma (1912) e il korfball, o pallacesto olandese, ad Anversa nel 1920. Ogni volta c’era una sorpresa. Fino a quel fatidico momento, dopo esattamente vent’anni e come stabilito da principio, quando l’onore di tenere i Giochi Olimpici ritornò ai parigini, coloro che, giustappunto, li avevano riportati in auge, nell’epoca dei primi notiziari radiofonici. Con la posta molto in alto e una palla a centrocampo, per usare un eufemismo, quanto meno incandescente. Come superare, in spettacolarità, tanti insigni anfitrioni dei diversi continenti?
Nessun problema: all’alzarsi del metaforico sipario sull’arena, il mondo ebbe ancora una volta il piacere di restar basito. Ecco due uomini agilissimi, in uniforme protettiva, che tentano di colpirsi alle caviglie con dei semplici bastoni. Nelle loro mani, oggetti molto simili a quello che ancora era, in quei tempi, tra gli accessori maschili largamente considerati irrinunciabili: the cane o come lo chiamavano da quelle francofone parti, la canne, oggetto fatto spesso in legno, qualche volta riccamente decorato, sempre rigido e pesante, all’incirca, quanto una sciabola da fianco. Caratteristica, questa, in grado di renderlo due volte utile, al bisogno! Come avevano notato Michel Casseux, farmacista marsigliese (1794–1869) e Charles Lecour (1808–1894) rispettivamente caposcuola e teorico dell’arte marziale del Savate, comunemente detta boxe francese. Nata, secondo la leggenda, sulle instabili navi in viaggio verso le colonie dei diversi grandi Imperi, quando i marinai, per ricevere soddisfazione in una disputa, erano soliti menar le mani in modo nuovo: ovvero, usando soprattutto i piedi, mentre con quelle si reggevano al sartiame. Per poi sbarcare, qualche tempo dopo, e prendersi a sonore mazzate.

Leggi tutto