Ah, parkour! Skywalker si, che corre molto bene

SWparkour

Se vai a Roma e fai come i romani, in Francia devi correre come fossi un seguace del Credo de l’Assassin. Sul pianeta Tatooine, comportati pure come vuoi, run free! L’inconoscibile potere della Forza, vecchio quanto l’Universo, acquisisce attraverso le ere interpretazioni diverse e contrastanti. Per un discendente ideale dei Sith, depositario di una tradizione più vecchia di 25.000 anni, costituisce la via d’accesso ad uno sconfinato potere personale, oltre la censura delle convenzioni sociali e a discapito del bene comune. Secondo un cavaliere Jedi, guardiano di una delle due repubbliche galattiche, passata e futura, sarebbe il sacro dono che permette di difendere la giustizia, attraverso doti e sensibilità psichica oltre l’umano. Questo tipo di personaggio, saggio quanto agile e scattante, troverebbe la sua disciplina ideale nel parkour, la pratica riassumibile nel credo dell’herbertismo “Essere forti per essere utili”, motivazione alla base di tanti salti e capriole parigine. E se l’abito non fa il monaco, beh, sicuramente può fare il cavaliere; guardate qui Ronnie Shalvis con la sua troupe, vestiti come i protagonisti di uno dei film, che si esibiscono nel mezzo di un rosso deserto, non dissimile da quelle regioni tunisine usate per la prima trilogia. Sembrano versioni più giovani del caro vecchio Ben Kenobi. Ma i tempi cambiano e così fanno le concezioni degli autori.
George Lucas, nel 1977, aveva creato la religione mistica del suo mondo fantastico come una reinterpretazione delle discipline orientali, a metà tra gli aspetti esteriori del taoismo e il codice comportamentale di matrice neo-confuciana dei samurai giapponesi. Qualche anno fa, tra le proteste dei fan inferociti dalla più recente e seconda trilogia, ce l’ha invece riproposta come un prodotto accidentale dei microbici midi-chlorian, cellule parassitarie in qualche maniera “assorbite” da individui particolarmente fortunati, organizzati in due gruppi contrapposti e nettamente divisi tra Bene Supremo e Male Assoluto, onde evitare scomodi fraintendimenti da parte di un eventuale pubblico distratto. Per buona misura, ci ha pure regalato il ciarliero Jar Jar Binks, personaggio più odiato nella storia di tutto il corpus cinematografico contemporaneo, ma questa è davvero un’altra storia.

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Il senso biliardesco del chihuahua

Amadeus Pool Dog

Il mastino morde gli stinchi del malvivente, il bracco riporta l’anatra impallinata, il terrier divora il topo eccessivamente incauto. Ogni essere canino tende ad avere una mansione perfettamente definita, tranne lui: il chihuahua. Diretto discendente del beniamino preferito dai grandi sacerdoti della civiltà tolteca, questo quadrupede dall’abbaio penetrante è da sempre in cerca di una vocazione davvero sua, in grado di renderlo speciale. Oggi, grazie al piccolo Amadeus, mascotte di una sala da biliardo della città di Washington, sembra averla finalmente trovata. Giocare meglio del signor Quindicipalle.
Certe specie di animali, osservate dalla confortevole distanza della civiltà urbana, tendono a diventare la personificazione di particolari doti o virtù. La volpe, ad esempio, è furba e così via… Le loro strette nicchie evolutive li hanno predisposti a rivestire quel particolare ruolo, ancor più enfatizzato, ai nostri occhi, dalle generalizzazioni perpetrate nei libri di autori fiabeschi o letterari. Molto più difficile, invece, è ridurre ad antonomasia le bestie che vivono a più stretto contatto con noi. Ciascun cane, gatto, uccello e pesce rosso può assorbire, come una spugna, le prerogative domestiche della sua famiglia adottiva, diventando così un qualcosa di ben più complesso e stratificato della sua ipotetica controparte naturale. Un gatto di casa non ha molto a che vedere con quello che, quotidianamente, viene incoraggiato dai suoi padroni a girare libero per il quartiere. Il pappagallo di un pub inglese impara a tenere il punteggio delle freccette, mentre il merlo indiano del benzinaio saluta il cliente quando sente accendersi un motore. Una munifica carpa koi non si accontenterà, il più delle volte, del mangime economico comprato in un centro commerciale. In nessun caso, poi, tale diaspora dei tratti innati è più evidente che nell’animale cane. La ragione, secondo i recenti studi di alcune università statunitensi, sarebbe da ricercarsi in una dote particolare del suo codice genetico…

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Palle ruggenti senza una mazza

V Battle Carts

La palla NELLA buca. Difficile fraintendere la regola fondamentale, se non intenzionalmente. Questa follia pubblicitaria parte dal presupposto, opinabile, che il golf sia lo sport più noioso del mondo e sceglie un modo davvero strano per rinnovarlo: modificare due golf cart, trasformandoli nella versione gigante della rigida sferetta bianca normalmente utilizzata nel corso di un convenzionale giro sui verdeggianti links. Li hanno chiamati Battle Carts. Uno solo di questi veicoli, magari con il compito pacifico di attrarre l’attenzione del pubblico sul grosso logo che campeggia in alto e al centro del suo cupolone, non avrebbe fatto grandissimi danni. Anche due, tre o quattro di loro potevano, al massimo, aumentare le fonti di distrazione a discapito dei concentratissimi maestri del ferro 9. Per scatenare il caos, serviva un catalizzatore. E siccome le palle ambiscono nella vita ad una cosa sopra ogni altra, la buca, gli spietati marketeers hanno deciso di trasformare quell’impareggiabile cosa nella versione telecomandata di una volpe inseguita dai cani (che c’è di meglio di una bandierina, in fondo, per nascondere l’antenna). Da lì, si è scatenato il caos: DAVANTI; SOPRA; rotolandoci SOTTO a quel gizmo impazzito, le due macchinette, con a bordo altrettanti piloti senza un particolare istinto di auto-conservazione, si sono inseguite da un lato all’altro delle 16 buche, seminando il caos. Lo slogan è “Diamo la carica ad ogni cosa” e il sito ufficiale del prodotto, l’energy drink dal nome sintetico di V, lascia intravedere la futura possibilità di mettersi alla guida di una di queste metaforiche palle di fuoco, vincendo un concorso che inizierà da un giorno all’altro, in Nuova Zelanda. L’idea diverte e richiama alla mente le invenzioni motoristiche del programma televisivo internazionale Top Gear, i cui protagonisti gareggiano talvolta su alcune delle più bislacche quattro ruote mai assemblate da mani umane. Non a caso, proprio per la TV australiana ne viene realizzata da anni una versione personalizzata, considerata tra le migliori al mondo.

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Così sparava Tom Knapp, asso dello shotgun

Tom Knapp

In questa vecchia pubblicità, risalente al 1993, si può assistere all’incredibile esibizione di una vera e propria leggenda del trick shooting, ovvero il tiro a segno non convenzionale. Si tratta di Tom Knapp, detentore di tre record mondiali, famoso soprattutto negli Stati Uniti per la maestria incontrastata nell’impiego del fucile a canna liscia. Nel corso della scorsa settimana, secondo quanto riportato da diversi siti specializzati, è purtroppo venuto a mancare. Indubbiamente il suo esempio continuerà ad ispirare generazioni di appassionati delle diverse branche del tiro a volo, collezionisti di armi da fuoco e internauti con il pallino dello sparo, più o meno virtuale. Per rendersene conto, basta osservare cosa realizza in questi pochi, ma intensi minuti, registrati come parte della sua lunga collaborazione con l’azienda Benellidi cui fu per molti anni un testimonial d’eccezione, contribuendo al successo delle armi Made in Italy, oggi adottate da alcuni dei corpi speciali più noti e celebrati al mondo. Difficile, in effetti, resistere al suo fascino da imbonitore dei tipici infotainment americani, mentre con flemma totale e pacato entusiasmo elenca le incredibili doti del suo fucile. Quando non tiene in bocca la cartuccia, perché ovviamente, per uno come lui, partire con il colpo in canna sarebbe davvero troppo facile.

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