Maschere astrali ricavate dalle increspature della carta

Joel Cooper
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Due mani, un liscio tavolo, soltanto un foglio, il gesto è ripetuto: pieghettare, ancora e un’altra volta. Un costruttore di simili origami d’avanguardia, scagliose o splendide creature antropomorfe, non ha soltanto un volto, ma molti. Li fabbrica, li colleziona, talvolta poi li vende a qualche sconosciuto. Quegli occhi ci osservano meditabondi, senza traccia di pupille. Fauni d’oro appesi alle pareti, arcani faraoni sulle porte, profeti dalle barbe sfaccettate, nascosti fra le fronde, dietro gli alberi del tuo giardino. Le corone sono corna dell’impermeabile mistero. Le bocche geometriche, turgidi dodecaedri, parrebbero più chiuse di una cassaforte. Ma in fondo chi è, quest’artista che utilizza lo pseudonimo di Origami Joel? Qualcuno che parte da ingredienti semplici, però punta molto in alto, ovvero alle purissime apparenze. Il suo dominio è l’arte di scolpire con la carta, però non secondo i metodi che insegnano nei libri. Meno male che ci ha regalato un blog, dove, tra i molteplici argomenti, descrive la sua tecnica speciale.
Nell’origami classico, secondo quanto chiaramente definito dagli esperti, esistono quattro tipi di diverse piegature: a valle (verso di noi) a monte (il contrario) e le relative contro-pieghe, usate per creare gli essenziali vuoti a fisarmonica, perfetti punti d’articolazione. Ciascuno di questi gesti codificati, partendo dall’imponderabile piattezza della carta, sarebbe un po’ come il tratto di un pennello. Da tali interventi manipolatori, mescolati da una mente ragionevole, puoi dare vita a molte cose. Soprattutto, farle muovere, se vuoi. Quanti gufi, aeroplani, cicogne o rospi saltatori! È questa la natura espressionista della carta, il tratto dinamico che prende vita. Ti resterà, comunque, un limite fondamentale. Perché un conto è definire i profili stilizzati di creature note o grezzi mezzi di trasporto; tutt’altra cosa è rendere giustizia all’illustrissima figura umana. O alle sue molteplici interpretazioni, come queste espressioni di cartacea meraviglia.

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Col suono del cartone nella testa

Zimoun

Carburanti fossili che avvampano senza un attimo di posa, trasformando i liquidi in vapore. Ecco il fuoco, strumento di creazione (o distruzione). Dal suo calore, l’energia meccanica, spinta con forza dentro alle dinamo di una mastodontica centrale. Tutto questo per produrre suoni musicali, ripescati dal passato! L’uragano delle scienze tecnologiche, al servizio di una o molte melodie. E giù miglia, miglia di cavi dal diametro importante, con l’anima in leghe innaturali, o minerali scavati dal profondo della Terra, direttamente collegati con la comune presa elettrica in un angolo della tua stanza.  Accanto a quella, una quantità variabile di altoparlanti. 2, 2+1, 5+1… Mossi dal carbone, dal petrolio, dall’uranio, che lì diventano, a distanza, strumenti d’intrattenimento. Favorendo soavemente l’ondeggiare di una minuscola bobina, piazzata sotto ad un piccolo magnete, dentro al cono affusolato intrappolato in ogni cassa dello stereo. Tutto, perché tu possa udire questo suono: TU-TUNZ-TU-TU-TUNZ-TUNZ-TUNZ […]  Se ti riesce, in mezzo a tante distrazioni; perché in effetti, persona incline all’astrazione, cosa stai sentendo? Le macchine di scavo dei cantieri minerari, lo scroscio del bacino idroelettrico in funzione, la ventola del computer che, sfacchinando, decodifica l’MP3? C’è un suono nel silenzio. Il rumore di fondo, sia astratto che effettivo. L’udito è un senso difficile a isolarsi, che segue con arguzia il tuo pensiero, l’immaginazione. Il contesto insostanziale di quella dimensione, per sua natura, non è soltanto frutto d’allucinazioni Si ritrova, ad esempio, nel battere ritmico della pioggia sopra i vetri, che tanto spesso diventa l’epicentro dell’introspezione. O nel respiro cittadino, fatto d’automobili o vociare in lontananza, diverso sulla base dei luoghi e dei momenti: l’ausilio all’operosità, per imprescindibile eccellenza. Secondo l’artista svizzero Zimoun, almeno a giudicare dalle sue molteplici creazioni, la natura del rumore artificiale cambia, si muove, in funzione dell’impianto usato per l’ascolto. Specie se si tratta di una cuffia, da poggiare sopra il cranio, che batte ricordando l’insistenza della TAC.
Nella sua ultima proposta, dimostrata su Vimeo e risegnalata sul blog artistico del portale FastCompany, due scatolette di cartone diventano la cassa armonica di una singolare attrezzatura, formata da batuffoli motorizzati su di un filo semi-rigido di ferro. I quali, colpendo la superficie senza alcuna regolarità, producono un’arcana sinfonia. Nessuno, prima d’ora, l’aveva mai sentita, né la sentirà di nuovo. Almeno, senza l’uso di un registratore.

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Sculture-formicaio create grazie all’alluminio

Ants cast

Uno strano alberello di Natale, questo qui. Tanto per cominciare, non ha gli aghi. Sfoggia il colore argenteo di un vassoio in sterling, però pesa quasi nove chili. Appoggiato sopra a una robusta base ovale in legno, per oltre 40 cm si sviluppa in ramificazioni capillari, bulbi globulari, blocchi granulosi. L’asimmetria di una scultura che ha, o per lo meno aveva, uno scopo estremamente definito: viverci dentro…Tastando i pavimenti con le mandibole, strofinandosi le antenne, prima di metterci 6 zampe, l’una dopo l’altra, in cerca della camera della Regina. Perché per esplorarlo dall’interno, se non fosse ancora chiaro, bisognava essere formiche. Per farlo adesso, usando invece gli occhi, basterebbe metterlo sul caminetto, così, girato all’incontrario.
Avete mai dovuto condividere gli spazi personali con le valide esponenti della specie myrmicinae? Piccole instancabili creature, che camminano dovunque, esplorano i pertugi, si mangiano quello che gli riesce di trovare. Dove ce n’è una, presto ne arrivano dozzine, centinaia. “Operaie” dell’appropriazione indebita. Guerriere pronte a una crudele auto-immolazione! Fuchi volanti, sciamati sulle lampade o i televisori! E c’è anche di peggio, come queste solenopsis, le altrimenti dette formiche del fuoco. Dal morso velenoso, doloroso, fonte di ulcere o rischiose anafilassi. Oh, my! Non dentro al mio giardino! Qualcuno potrebbe pure innervosirsi, scavare una buca nel terreno, scaldarla fino a 660 gradi celsius, squagliarci l’alluminio, riversarlo dentro a un crogiolo e poi mettere in pratica la sua vendetta. Un piatto da servire caldo, anzi caldissimo.

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L’oceano metallico dei pesci a serratura

The Deep

C’è un singolare merito, oltre alla bellezza scenografica, nei corti animati dell’artista americano PES – al secolo Adam Pesapane, nato nel ’73. L’immediatezza del metodo creativo. L’atmosfera è rimediata, casuale nelle procedure di trasformazione di ciascun elemento della scena. Stavolta poi, che scena! Proprio là, nel mezzo delle più profonde tenebre marine, dove si percepisce il mondo soltanto con metodi particolari, dalle sue poliedriche invenzioni visuali, pesci e bestie misteriose, sfugge un guizzo di verismo che non può che provenire dall’interno; dell’anima ribelle, della mente anticonformista o della discarica sommersa, luogo in presunta opposizione verso l’immanente mondo naturale. Di un’introduzione, tanto per cambiare, non v’è traccia. E senza circostanze, resta solo l’immaginazione.
Non si sa come, né perché, le pinze nuotano nell’acqua torbida, piantate dentro ad un morsetto. Così è, la cernia, in questo mare d’eccedenza dal mondo della logica comune. Senza un suono, si nutre d’invitanti “alghe” dentellate, ingranaggi di un sistema mai studiato; sullo sfondo, scorrono le chiavi, chiavette o sardine, stranamente bio-luminescenti. Dissolvenza. Un batrace di stoviglie che placidamente rasenta le catene. Alghe? Chi può dirlo? Di nuovo dissolvenza. E sguisciano desuéti compassi metallici-barra-meduse, sommersi come quello utilizzato dal divino Sir Isaac Newton, nella stampa allegorica di William Blake (1757 – 1827), poeta, filosofo nonché dichiarato maestro storico di questo autore, il nostro genialoide PES. Che quivi ce ne ha messe molte altre, di cose metalliche (per niente arrugginite). Strumenti musicali, tenaglie, attrezzi a pappagallo e robuste chiavi inglesi. Ciascuna trasformata in una fiera abitatrice d’acque scure, tanto lugubri e tombali. In un’intervista, pubblicata sul portale Motiongrapher, ci racconta del metodo usato per creare tale suggestiva ambientazione: pochi effetti digitali, forniti dal collega Wolfgang Maschin dello studio dei Demiurge, e poi molte particelle di polvere, ripresa in più passaggi sopra un telo nero, con messe a fuoco differenti. Tutto è analogico con PES, spontaneo, come fosse un gioco. Da bambini – personalità che abbiano, soprattutto, un gusto sviluppato per l’insolito, voglia di sorprendere vetuste percezioni soggettive.

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