La trappola dei canyon inondati all’improvviso

Un padre e uno zio, che arrancano a fatica insieme a due bambini nella spettacolare depressione di Little Big Horse Canyon, non troppo distante dal celebre Goblin Park. Ai lati, le pareti verticali di un avvallamento eroso in centomila anni tra le alte pareti di uno spento colore rosso ocra. E sopra, sotto, accanto, da ogni parte, c’è soltanto quella cosa: acqua, acqua a profusione. Che scende copiosa, che turbina e che vortica dapprima alle caviglie. Poi alla vita degli adulti, che corrisponde al petto dei loro futuri eredi. Si sente il più piccolo che fa al fratello: “Ho paura, my heart is pounding!” (Mi batte forte il cuore) mentre l’altro tenta di rassicurarlo: “Continua a camminare, siamo quasi arrivati.” Ma nessuno dei due era cosciente, all’epoca, del reale pericolo che stavano correndo. Della situazione così tragicamente analoga, almeno in linea di princìpio, a quella che costò la vita ad 11 persone nel 1997 presso la popolare località turistica di Antelope Canyon, e di nuovo nel 2015 ad altri sei nel Keyhole Canyon. Il fatto è che non sempre, nei territori aridi statunitensi, un inondazione è il prodotto delle condizioni meteorologiche pendenti in quel particolare luogo e momento. C’è un effetto incontrollabile di traslazione…
Il Grand Canyon, le cascate del Niagara. Dicono che nessun vero americano, nato in patria oppure all’estero, possa realmente dire di aver vissuto, se non visita nel corso della propria vita almeno uno di questi due fantastici fenomeni della natura. Ma che fare se egli non avesse il tempo, oppure le risorse, per vederli tutti e due? Dopo tutto, si trovano quasi agli estremi opposti degli Stati Uniti, separati da oltre 2.300 miglia di distanza! Niente paura. Dovendo scegliere, basterà optare per la grande depressione scavata dal Colorado River nel suolo friabile dell’Arizona, a patto di raggiungerla durante un giorno di pioggia relativamente intensa. Molti hanno narrato, su Internet, la portata di una simile esperienza: le decine o centinaia di cascate, che si formano istantaneamente dalla cima della gola, riversandosi con un ruggito dentro l’acqua sottostante, tra gli sguardi affascinati dei visitatori. Nel giro di pochi minuti, il seminterrato di un’intero deserto semi-arido, e per nulla permeabile, si trasforma nel suo unico condotto di drenaggio, mentre la diffusa coltre di sottili goccioline formano la base per migliaia d’imprevisti arcobaleni. È uno spettacolo fantastico, un ricordo destinato a rimanere negli annuari. Una fatale unione di acqua ed altitudine, in qualche maniera affine a quella del distante salto a ferro di cavallo, sito a suggellare la barriera tra gli Stati Uniti e la regione canadese dell’Ontario. Ma c’è un tempo e un luogo, un modo e un’occasione per qualunque cosa. E così come un getto fuoriesce placido e spontaneo, dal tubo per annaffiare il giardino, scaturendo invece come un fulmine, qualora si vada a bloccare in parte l’apertura con un dito, la magnifica visione può istantaneamente diventare un incubo, se soltanto ci si trova tra pareti più ravvicinate, magari un po’ più a nord, nel territorio ancor più brullo dello Utah. Un luogo in cui notoriamente, i crepacci scavati dai fiumi tendono ad assumere un aspetto molto peculiare, tortuoso e profondo, fantastico a vedersi, ma sopratutto stretto, angusto come l’andamento di un serpente a sonagli. Svariati sono i nomi che appartengono a questa lista, a parte quelli già citati poco più sopra: the Narrows nello Zion National Park, la più antica e celebre di tali attrazioni turistiche; il riconoscibile Glen Canyon, vicino a quella patria nazionale di determinati sport estremi che è il lago artificiale di Powell, creato nel ’63 da una delle dighe più imponenti degli interi Stati Uniti. E poi la miriade, una letterale costellazione di fessure che si trovano nei territori a sud dell’Interstatale 70: Buckskin, Escalante, Lamatium, Peak-a-Boo… Ciascuno dei quali associato, secondo la disciplina tipicamente statunitense del canyoneering (una sorta di alpinismo all’incontrario, perché scende, poi sale) ad un preciso codice che ne indica la difficoltà ed il rischio: da 1, la proverbiale passeggiata, a 5, canyon tecnico con la necessità di usare attrezzature speciali; da A, secco, a C, con corsi d’acqua significativi; e da I a VI, in base al tempo richiesto per portare a termine l’esplorazione. Ma naturalmente, come abbiamo dimostrato in apertura, i risultati possono variare in modo significativo sulla base alle condizioni meteorologiche vigenti…

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A passeggio per la terra dei ponti di vetro

Tianmen walkway

Nell’entroterra-centro meridionale della Cina, presso il medio corso del fiume Yangtze, si trova una regione d’aspri dirupi ed alti massicci montuosi, le cui forme variegate ricordano quelle di torri, monumenti e dita gigantesche tese verso il cielo. Secondo le note di produzione cinematografiche di James Cameron, sarebbe stata proprio la provincia dello Hunan (letteralmente: Terra a Sud del Lago, nello specifico il Dongting) ad aver ispirato l’incredibile scenario naturale del film Avatar, con gli archi di roccia, le isole galleggianti nell’aria e i draghi sfarfallanti in ogni direzione. Il che è facilmente verificabile solamente nel primo dei tre casi citati, visto come qui a volare siano più che altro le ali degli uccelli, accompagnate dall’occasionale aeromobile o deltaplano. Per non parlare di… giusto! Quasi dimenticavo: centinaia di migliaia di turisti che qui giungono ogni anno, ma che dico per ciascuna singola stagione, con l’obiettivo di sperimentare sulla propria pelle le virtù di un luogo che potrebbe essere del tutto definito, in virtù del mero spirito d’osservazione, un moderno luna park della vertigine, una giostra dell’acrofobia. Cosa che da un certo punto di vista, benché in misura assai minore, era stato fin dall’epoca della dinastia Tang (618-907) quando una comunità di monaci buddhisti aveva scelto proprio la sommità del monte Tianmen per costruire il proprio grande tempio, ad una distanza di circa 1500 metri dal livello del mare. Una scelta che avrebbe forse dovuto, nell’idea dei costruttori, scoraggiare la venuta di un numero eccessivo di pellegrini, ma che almeno a giudicare l’attuale fama guadagnata, potrebbe anche aver sortito l’effetto diametralmente opposto. È una vecchia e celebre usanza locale, del resto, quella di scolpire lunghe scalinate direttamente nella pietra della montagna, ed una volta giunti in alto, lì infiggere paletti. L’uno dopo l’altro, con disposizione grosso modo orizzontale. Perché di lì a poco, tutti lo sapevano, sarebbero diventati una passerella. Con sotto un baratro di un chilometro e più.
Adrenalina, adrenalina, chi ce l’ha fatto fare? “Ma almeno, in cima, si mangia?” Pare di si. C’è un ristorante vegetariano, affiliato al vecchio e grande tempio che fu più volte ricostruito, all’interno del quale i devoti in pellegrinaggio possono provare il gusto di una cucina al tempo stesso antica e non-violenta verso le creature vive. Ma giunti a metà strada, ecco la sorpresa: non tutto lo spaventevole passaggio sopra lo strapiombo ha un pavimento. Che si veda. È infatti stata fatta di recente la scoperta, più o meno empirica, che il turista desideri più d’ogni cosa ritrovarsi con il niente sotto, e all’apparenza far procedere i suoi piedi, l’uno dopo l’altro, sopra il “saldo” appoggio di un sottile refolo di nubi. Così la montagna è notoriamente stata dotata, nell’epoca di Internet sui cellulari, di ben tre sezioni con passerelle del tutto trasparenti, di cui la più recente e lunga (100 metri) è stata completata giusto all’inizio del mese scorso, guadagnandosi l’appellativo altisonante di: “Passaggio del drago sinuoso”. Difficile immaginare un miglior luogo in cui cercare i Pokèmon, o scattarsi straordinari selfie da postare sopra i propri muri virtuali di portali o di profili d’espressione del proprio sentire. Anche se ovviamente, riesco ad immaginare almeno un paio di casi in cui la gente, giunta presso l’esclusivo luogo, non possa che voltarsi e ritornare indietro, con il volto congelato da una smorfia di terrore. Per dirigersi verso le altre attrattive locali, generalmente concepite per essere visitabili da chiunque. *Quasi, sempre….

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