Un altro turista travolto dalle Guardie della Regina

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Udite, udite, hear ye: è successo di nuovo. Giusto fuori la grande residenza di Buckingham Palace, dove i turisti si affollano per far fotografie, uno di loro si è fermato, si è girato, quindi con la testa tra le nuvole, si è messo a conversare in mezzo al viale con la sua consorte. Senza più notare, inspiegabilmente, la cadenza ritmica di 20 paia di stivali, tanto sincronizzati da fare tremar l’asfalto, in ansiogena rotta di collisione con lo spazio così inappropriatamente oggetto del suo ingombro personale. Ora, normalmente, l’avanzata di una squadra militare armata di fucili assai probabilmente carichi, per di più ciascuno accessoriato con l’affilato baionetta sulla cima della canna, incute un certo grado di timore, se non proprio reverenziale, quanto meno sufficiente a farsi un po’ da parte. Ma non qui da loro, le numerose guardie che assicurano gli interessi, le proprietà e l’incolumità della famiglia reale inglese. È uno strano fenomeno, questo, che anno dopo anno miete inevitabilmente le sue “vittime” (nessuno ha mai subito conseguenze gravi…Fino ad oggi) quasi come se costoro, gli armigeri con giubba rossa, fossero una parte inscindibile dei luoghi che proteggono, l’equivalente statale di una sorta di attori stipendiati.
Quando in effetti, la loro origine dovrebbe incutere sincera soggezione. Fin da quando Carlo I  fu allegramente decapitato in nome dei nascenti ideali puritani nel 1649, apparve infatti chiaro che del popolo di Londra c’era poco da fidarsi, soprattutto quando vigeva la necessità di esercitare un ruolo tanto delicato. E che sarebbe stata cosa buona e giusta, ancor prima che caratteristica, stazionare in modo fisso un contingente significativo presso i luoghi normalmente frequentati dai membri chiave della monarchia: il palazzo di St. James, naturalmente, residenza principale del re o della regina prima della realizzazione dell’oggi più celebre e già citata reggia neoclassica, un ruolo che, almeno sulla carta, ancora oggi gli appartiene. Nonché le due fortezze principali d’Inghilterra, entrambe edificate da Guglielmo il Conquistatore in piena epoca medievale a seguito delle campagne in Normandia (tardo XI secolo) la Torre di Londra e Windsor Castle, il più antico complesso architettonico ad oggi ancora abitato per 12 mesi dell’anno. Non è insomma possibile, specie con una guida turistica dentro la propria borsa, avventurarsi nell’intero London District o persino le regioni circostanti, senza incontrare, prima o poi, una di queste figure tanto stranamente familiari, dalla notevole presenza scenica, dovuta al ruolo, la tenuta, il flusso chiaro di un’antica tradizione. Eppure! Sarà l’ingiustificata sensazione di conoscerli, per le tante parodie comparse in anni di televisione, Mr Bean e tutti gli l’altri, sarà l’anacronistico cappello nero da granatiere che tutt’ora ciascun soldato porta con orgoglio, risalente all’epoca della battaglia di Waterloo (1815, per inciso siamo nel bicentenario) frutto della pelle di un intero orso canadese, oppure forse, la colpa è di questa leggenda metropolitana, quasi del tutto ingiustificata, secondo cui il ruolo di sentinelle silenziose che ricoprono non gli permetterebbe di reagire a nessun tipo di provocazione, né spostarsi dalla posizione che gli è stata assegnata per le due del proprio turno in situ…O ancor più probabilmente, a fronte dell’unione tra questi fattori: sono comunque molti quelli che, con un grammo di malizia o come in questo caso, per un attimo di disattenzione, finiscono per complicare la giornata dei membri scelti della celebre Queen’s Guard. I quali, con un comportamento necessariamente silenzioso e stolido, finiscono per riconfermare proprio quello stereotipo di assoluta britishness, la capacità di relazionarsi con il mondo sulla base di una sorta di ironia passiva. Quando in effetti, non è difficile immaginarseli avvolti da un senso di sincera e appassionata superiorità, come l’armatura filosofica dei fantasiosi Space Marines di Warhammer, il cui credo beffardo recitava tra le altre cose: “My armor is…Contempt.”

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Gara di trabucchi per l’assedio che non c’è

Trebuchet competition

1453: per più di mille anni, la città era esistita. Le sue strade rumorose, i mercati carichi di cibo e merci e regalìe lontane. Dal suo trono di avorio ingioiellato nel grande palazzo sacro, l’Imperatore aveva fatto costruire templi, statue dinastiche, piazze munifiche e giardini sconfinati. Lo splendore della saggezza, ormai perduto al mondo della civilizzazione, ancora resisteva dietro a quelle porte di Selymbra, decorate dall’immagine dell’aquila a due teste incoronata, con la lunga coda selvaggiamente simmetrica e gli artigli tesi verso un invisibile nemico. Più e più volte, nel corso dei secoli, il barbarismo che imperversava da un lato all’altro del mondo conosciuto aveva tentato di penetrare in quel sacrario antico, attratto dai miti di ricchezze inconoscibili e l’offesa del concetto stesso di un qualsivoglia ordine costituito che potesse ancora esistere, faticosamente insistere, pesando sopra un tempo in cui le orde si inseguivano con spada, lancia e frecce sanguinarie. Si dice: “Nessun muro può essere più forte dei soldati che hanno ricevuto il compito di difenderlo” e ciò costituisce, in effetti, un inno verso le meraviglie dell’ingegno umano, il riconoscimento che tutto è possibile quando una mente fervida si applica nel perseguire l’obiettivo, per quanto irto sia il sentiero da seguire. E tale affermazione fu più volte riconfermata negli assedi dell’intero mondo antico, così come altrettanto valida sarebbe rimasta per tutta l’epoca di un lungo e cupo tempo medievale. Ma chi, davvero, era presente alla difesa di un luogo come l’intramontabile Bisanzio, quel sito che i romani presero sotto l’egida del loro imperium, rinominandola per farne un centro commerciale prima, una capitale decentrata in seguito, e nelle ultime battute, tristemente, l’ultimo residuo baluardo di un’intera civiltà? I soldati fisicamente armati sulle fortificazioni costruite da Teodosio, sul progetto leggendario del prefetto pretoriano Antemio? Costantino XI stesso, coi suoi ufficiali e servitori, l’ultimo rappresentante di un’intera linea ininterrotta dal quarto secolo al quattordicesimo di stasi, crescita interiore, studio e riflessione sulle arti umane? Oppure la somma di entrambi queste due cose, presente e passato, saldamente uniti per difendere tutto quello che era, la montagna dei ricordi, le immisurabili opportunità per il futuro…Perché quando venne l’ora, lungamente attesa da quegli altri, di scagliare pietre contro le alte mura, si scoprì che non importava quanto fosse grande, possente o spaventosa la catapulta o l’onagro da assedio a disposizione, i più pesanti macigni rimbalzavano contro i bastioni, con un suono sordo e nessun danno duraturo a far da testimone per il tentativo. Non si poteva praticare una breccia nelle mura di Costantinopoli! L’unico modo di colpirla, a conti fatti, era tirare sopra ed oltre quelle merlature. Oltre il baluardo e dritto verso il cuore di un’invalicabile testuggine, così come lo erano state, tanti anni prima, quelle fatte con gli scudi dei conquistatori provenienti da occidente. Ed era un bel problema da risolvere, questo, che per molti anni avrebbe eluso i cercatori ingegneristici di un metodo per prevalere, i genieri, i minatori, tutti coloro che l’esercito in marcia del nascente impero Ottomano manteneva ben nutriti ed al sicuro, senza colpo ferire fino a che…Non restava altra scelta, che affidarsi ai loro metodi e saperi. Così giunse dal Corno d’Oro il temuto sultano Mehmed II, con i suoi giannizzeri ed alcuni prototipi di una macchina spaventosa, costruita in gran segreto nelle officine della Tracia, ad Edirne. Era un oggetto strano e misterioso, eppure stranamente carico di aspettative.
Il trabucco: il terrore. La semplice forza gravitazionale, che dovrebbe attrarre unicamente verso il basso, trasformata ed asservita al desiderio dei conquistatori, con lo scopo di trasmettere un particolare movimento su di un braccio, lungo ad una sola estremità, per meglio moltiplicare la rapidità del movimento. Faticosamente armato, alzando con pulegge o corde il contrappeso inchiavardato, poi bloccato alla precisa altezza necessaria. Segue un attimo di pausa, giusto il tempo di guardare verso l’odiato nemico, rivolgergli maledizioni e chiedere al destino la fortuna di raggiungere il bersaglio; quindi, trattenendo il fiato, si tira via il sistema di bloccaggio, con un gran colpo sopra il perno trasversale e…Ciò che era immobile, ritorna fluido, riconferma la ragione della sua esistenza in un semplice gesto, come quello di chi lancia un sasso sopra un fiume. Ma pesante, questa volta, 100, 160 Kg di smussata ed inquietante forza distruttiva. Se si pensa ad un razzo spaziale dell’epoca dei progetti Apollo, è significativo osservare come una buona parte della sua massa, i primi due o tre stadi del giganteggiante razzo Saturno V, servisse unicamente a trasportarlo fin oltre gli starti superiori dell’atmosfera. Una percentuale minima dell’intero viaggio compiuto fino alla Luna, compiuto da un modulo comparativamente molto più ridotto. E così erano gli assedi medievali, quando condotti tramite l’impiego dei trabucchi: treni di bagagli, bovini per trainarli, tonnellate di legna da assemblare sulla base di un progetto attentamente disegnato. Tutto in nome di un piccolo sasso e i suoi compagni, che potessero colpire gli obiettivi chiave dietro mura impenetrabili, arrecando un danno sufficiente per costringere alla resa gli abitanti del castello. Questa evoluzione tarda delle tradizionali macchine da assedio a torsione dei romani, basata su un concetto fisico al tempo stesso molto più semplice e gravoso da mettere in opera, iniziò a palesarsi presso i campi di battaglia dell’area mediterranea attorno al dodicesimo secolo, come attestato da diversi testi e manoscritti sia cristiani che musulmani. Esiste tuttavia la prova che versioni più primitive della stessa macchina fossero già in uso in Cina, fin dall’epoca arcaica delle Primavere ed Autunni (750-454 a.C.) quando i seguaci della disciplina del Mohismo e della sacra matematica, con intento chiaramente filosofico, aiutavano i signori della guerra costruendo ogni sorta di complesso implemento distruttivo. A quell’epoca, il trabucco più utilizzato era del tipo a trazione, sarebbe a dire fatto funzionare con la pura forza muscolare, da una o più persone, con l’obiettivo di scagliare il più lontano possibile i proiettili a disposizione. Simili armi trovavano ottimo impiego in campo navale, e trovarono successive corrispondenze anche nel remoto passato d’Occidente. L’imperatore bizantino Niceforo II Foca (regno: 963-969 d.C.) ad esempio, fece impiegare dalle sue truppe contro gli emirati di Aleppo un dispositivo simil-trabucco trasportato a spalla, in grado di scagliare massi per disturbare le formazioni nemiche. Ad ogni azione, corrisponde una reazione…

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