Sinfonie d’asfalto: la strada canterina che conduce al monte Fuji

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Chi non scala il Monte Fuji almeno una volta nella vita è uno stolto, recita la prima parte di un proverbio giapponese. Un detto che si può tranquillamente intendere in senso letterale, perché la più famosa delle tre montagne sacre è un luogo affascinante in cui natura e tradizione s’incontrano a formare panorami memorabili, del tutto unici al mondo. O forse invece, come spesso capita nei detti popolari, il significato vero va cercato nella valenza più profonda di tale concetto: si potrebbe intendere che il senso comune, l’abitudine, possano portarci solo fino a un certo punto e qualche volta ci sia il bisogno di superare se stessi, stupirsi, metterci alla prova e cambiare le regole fondamentali del nostro quotidiano. Come fece probabilmente l’ingegnere stradale Shizuo Shinoda, inventore del più lungo strumento musicale al mondo, una striscia d’asfalto costruita con accorgimenti particolari che, guidandoci sopra alla giusta velocità, riprodurrà con efficacia l’intera sequenza di un’articolata e riconoscibile melodia.

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Non sai dove parcheggiare la bici a Tokyo? Mettila sottoterra.

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La viabilità giapponese segue regole dettate da un fondamentale bisogno di ottimizzare gli spazi urbani. In un paese estremamente popoloso in cui gli automobilisti sono la minoranza e i trasporti pubblici raggiungono vette di efficienza superiori, le aree pedonali diventano spesso luoghi di passaggio per grandi quantità di persone e punti d’incontro culturali, caratterizzati da ore di punta frequenti ed estremamente affollate. Persino il diritto a possedere un’automobile in Giappone, subordinato ad una lunga serie di lungaggini burocratiche, prevede tra le altre cose la dimostrazione del possesso di un garage o posto macchina riservato, con la precisa finalità di non sottrarre metri quadri al prezioso suolo pubblico cittadino. Può tuttavia capitare, camminando per grandi città come Osaka e Tokyo, di imbattersi in vaste zone designate al parcheggio delle biciclette, un mezzo piuttosto popolare e largamente utilizzato da giovani e pendolari. Un problema che sembrava impossibile da risolvere, almeno fino all’installazione del primo parcheggio sotterraneo automatico. L’incredibile dispositivo, non dissimile da una sorta di juke-box gigante, è una creazione dell’azienda Giken, produttrice di macchinari industriali situata nella parte meridionale dell’isola di Shikoku, presso la grande e antica città di Kōchi. Il funzionamento è molto semplice: si paga la sosta presso il chiosco a lato della strada, si riceve una tessera (non perdetela) e si posiziona la bicicletta sull’apposito nastro trasportatore. Ci penserà la macchina a farla sparire nelle profondità della terra…

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Ecco un iPhone ninja che si prepara alla battaglia

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Shuriken, il coltello da lancio. Kusarigama, la falce a catena. Ninjatō, la spada acuminata. Nel mondo dei guerrieri segreti più letali del Giappone, a volte il freddo acciaio non è più abbastanza. Attraversato il fossato, scalate le mura, l’assassino ha sconfitto le imponenti guardie del corpo e affronta con fermezza il signore del feudo di Bushu. Le due spade riflettono oblique la luce lattiginosa della luna, mentre un petalo di ciliegio, trasportato dal vento, s’insinua lieve tra i contendenti di un confronto inevitabile e lungamente atteso. Ma d’un tratto gli sguardi magnetici dei guerrieri vengono distratti da un suono improvviso: è lo squillare di un iPhone, il cellulare più diffuso durante l’epoca del Sengoku Jidai. Una goccia di sudore cala sulla fronte accigliata del despota shogunale… Possibile si tratti proprio del suo? Egli non ricorda in quale tasca del kimono abbia riposto il fatale gadget telematico, né può sapere se il suo nemico utilizzi la stessa suoneria. In quel momento, avendo riconosciuto con scaltrezza l’occasione di trionfare, con un gesto rapido l’astuto ninja rivela la più imprevista delle armi segrete: CLUNK, un gesto fluido, la spada lunga viene gettata a terra e in un guizzo meccanico al suo posto si palesa improvvisamente il telefonino Apple di ultima generazione. Impossibile! Il signore di Bushu osserva con ammirazione l’incredibile dispositivo, senza sapere che in realtà per lui è già troppo tardi. In un’agile e fulminea rotazione l’assassino ha infatti estratto con la mano sinistra un crudele pugnale, che in un battito di ciglia supera la sua guardia momentaneamente incerta e lo colpisce al petto. Un getto vermiglio colora brevemente il grigiore delle tenebre, mentre il diabolico ninja rinfodera i suoi strumenti e si prepara a ritornare nell’oscurità che l’aveva generato…

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Il bonsai subacqueo di Makoto Azuma, artista della botanica

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Nella filosofia tradizionale del Taoismo non esistono i concetti di aldilà o reincarnazione, perché niente ha mai fine. Al momento della morte ciò che era stabile diviene fluido, trasformandosi materialmente e spiritualmente per dare origine a esseri nuovi e differenti. L’anima e il sangue degli uomini generano piante, animali e creature fantastiche in base alle condizioni del cielo e della terra, in un ciclo infinito di partenogenesi e trasformazioni. Come raccontato dal maestro Chuang-tzu “Dai vecchi bambù esce l’insetto z’ing-ning, che diventa leopardo, poi cavallo, poi uomo. L’uomo torna nel telaio cosmico, per tessere”. Ma esistono fenomeni prodotti dalla nostra mano, come l’ikebana e la coltivazione dei bonsai, che nella ricerca del bello impiegano ciò che è naturale secondo gli schemi personali e soggettivi degli artisti. Nell’ultimo lavoro di Makoto Azuma, scultore di piante proprietario di un haute coutoure floreale nel quartiere di Moto-Azabu a Tokyo, il legno morto di un piccolo albero di ginepro, appartenente alla specie Sabina chinesis, è stato immerso in un acquario, dove ricoperto da muschio e alghe sembra ritrovare il fogliame della sua precedente esistenza. La pianta terrestre si è dunque trasformata in creatura acquatica, dimostrando in tale perfezione artificiale l’immortalità della sua essenza.

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