Se vai a Roma e fai come i romani, in Francia devi correre come fossi un seguace del Credo de l’Assassin. Sul pianeta Tatooine, comportati pure come vuoi, run free! L’inconoscibile potere della Forza, vecchio quanto l’Universo, acquisisce attraverso le ere interpretazioni diverse e contrastanti. Per un discendente ideale dei Sith, depositario di una tradizione più vecchia di 25.000 anni, costituisce la via d’accesso ad uno sconfinato potere personale, oltre la censura delle convenzioni sociali e a discapito del bene comune. Secondo un cavaliere Jedi, guardiano di una delle due repubbliche galattiche, passata e futura, sarebbe il sacro dono che permette di difendere la giustizia, attraverso doti e sensibilità psichica oltre l’umano. Questo tipo di personaggio, saggio quanto agile e scattante, troverebbe la sua disciplina ideale nel parkour, la pratica riassumibile nel credo dell’herbertismo “Essere forti per essere utili”, motivazione alla base di tanti salti e capriole parigine. E se l’abito non fa il monaco, beh, sicuramente può fare il cavaliere; guardate qui Ronnie Shalvis con la sua troupe, vestiti come i protagonisti di uno dei film, che si esibiscono nel mezzo di un rosso deserto, non dissimile da quelle regioni tunisine usate per la prima trilogia. Sembrano versioni più giovani del caro vecchio Ben Kenobi. Ma i tempi cambiano e così fanno le concezioni degli autori.
George Lucas, nel 1977, aveva creato la religione mistica del suo mondo fantastico come una reinterpretazione delle discipline orientali, a metà tra gli aspetti esteriori del taoismo e il codice comportamentale di matrice neo-confuciana dei samurai giapponesi. Qualche anno fa, tra le proteste dei fan inferociti dalla più recente e seconda trilogia, ce l’ha invece riproposta come un prodotto accidentale dei microbici midi-chlorian, cellule parassitarie in qualche maniera “assorbite” da individui particolarmente fortunati, organizzati in due gruppi contrapposti e nettamente divisi tra Bene Supremo e Male Assoluto, onde evitare scomodi fraintendimenti da parte di un eventuale pubblico distratto. Per buona misura, ci ha pure regalato il ciarliero Jar Jar Binks, personaggio più odiato nella storia di tutto il corpus cinematografico contemporaneo, ma questa è davvero un’altra storia.
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Jimmy Tajik, il sitar umano
I pastori di buoi latini, nel caso in cui fossero dediti all’arte, erano soliti comporre soavi canti sull’esempio di Teocrito, l’inventore greco della poesia bucolica. Da questa sentita celebrazione dell’idillio di campagna, della natura e di tutte le sue meraviglie, tra cui l’amore, nacque la tradizione letteraria cui appartengono i versi immortali di Calpurnio Siculo, Nemesanio e soprattutto quelli del sommo Virgilio, famoso accompagnatore delle anime sperdute, in modo particolare tra le ardenti fiamme dell’Inferno dantesco. In altri luoghi ed epoche, dalle inclinazioni meno contemplative, in cui forzate restrizioni culturali avevano interrotto il contatto l’antichità, la musica del sublime ha sempre e comunque trovato un suo abile messaggero, in grado di esprimerla e rilanciarla verso il futuro. Anche a costo di andarla a prenderla da un sub-continente lontano. Forse nessuno, tra questi preziosi individui, ha una storia più travagliata di questo fenomenale interprete, in grado di guadagnarsi una fama internazionale a partire da un singolo video, casualmente rubato qualche anno fa da un suo collega magazziniere.
Jimmy era il ragazzo di origini tagike che, durante gli anni dell’Unione Sovietica, teneva d’occhio le 1.700 pecore di un ricco affarista Uzbeko. Alla fine di ogni mese, come unico pagamento, riceveva un agnello. Per passare il tempo, cantava. In quegli anni, racconta lui, c’era una stringente censura su quali argomenti fossero adatti al grande pubblico e sui film che potessero giungere nelle sale. Naturalmente, tutto ciò che proveniva dall’Occidente non era particolarmente ben visto, specie se di matrice statunitense, lasciando un grande vuoto che poteva essere colmato soltanto in un modo: l’infinita ed eterna fecondità di Bollywood. La musica è una parte fondamentale di ogni buon film, qualunque sia la nazione di provenienza, e questo fatto appare più che mai evidente guardando i fantastici allestimenti del tipico film indiano. Ispirate commistioni fra i canti tradizionali di più lingue (hindi, urdu, persiano, bhojpuri, braj, rajasthani e punjabi) con le metodologie dei musical di Broadway e altre forme teatrali moderne, le canzoni di questo gotha cinematografico hanno un fascino che trascende le nazioni e riesce a coinvolgere gli abitanti di ogni parte del mondo, soprattutto i giovani pastori in cerca di un modo per mettere a frutto il tempo. Che poi, crescendo….
Il giroscopio che rivoluzionerà l’industria cinematografica
La soluzione digitale ad un inconveniente meccanico: questo è il MōVI, un sistema di stabilizzazione a tre assi recentemente immesso sul mercato dalla Freefly Systems di Los Angeles, azienda tecnologica che si rivolge agli operatori e registi di ogni livello, dagli amatori ai professionisti. Il concetto di questo prodotto non è nuovo: si tratta di un dispositivo di bilanciamento, come una sorta di cavalletto ma da tenere in mano, in grado di facilitare la complessa operazione della steadycam, ovvero la ripresa di scene con inquadrature in movimento. Parafrasando il commento esplicativo della presentazione su Vimeo, chiunque abbia mai utilizzato una macchina da presa ha una chiara idea delle difficoltà che si hanno nell’ottenere un’immagine priva di vibrazioni. Per non parlare, poi, degli innumerevoli video, generalmente diffusi su YouTube ed altre piattaforme, realizzati con l’ausilio di semplici cellulari, precariamente stretti fra le mani di chiunque assista a una scena fuori dal comune: senza scendere nei particolari, diciamo che il mal di mare è sempre in agguato. L’aspetto interessante di questo meccanismo, pensato per risolvere l’equivalente professionale di tale problema, è l’alto contenuto tecnologico: piuttosto che sfruttare la semplice forza di gravità, MōVI si avvale delle misurazioni esatte di un avanzato giroscopio a tre assi, due accelerometri e di un aggancio motorizzato per la videocamera, che può essere comandato a distanza. Per lasciare l’operatore libero di muoversi e prestare attenzione all’ambiente circostante, mentre il suo “co-pilota” inquadra la scena mediante l’impiego di un joystick. Niente più inciampi, quindi. Il limite, per una volta, sarà solo la fantasia del regista.
La prova dell’amico: una terribile candid
È la vicenda drammatica di un/una ragazzo/a come gli altri che, cedendo alla tentazione del facile guadagno, finisce per indebitarsi giocando a poker con gente dalla natura poco raccomandabile. Gaglioffi talmente minacciosi da risultare quasi comici, un poderoso concentrato di manierismi mafiosi provenienti da ogni parte del mondo. Ora, il problema è che a quel punto il/la giovane si ritrova bloccato al terzo piano di un vero e proprio palazzetto degli orrori, temendo sinceramente per la propria vita. Molte delle cose che si vedono in questo video sono il frutto di un’abile montatura: l’atmosfera noir tra crimine organizzato, gioco d’azzardo e tornei di lotta clandestini. Sono falsi i galli da combattimento, gli spiedini di scarafaggi, il cuoco mangiafuoco e la prostituta furiosa dentro all’ascensore. Ma l’amicizia, quella si, non puoi inventartela da un giorno all’altro. Perdoneresti un comune conoscente che ti chiama nel profondo della notte? Gli presteresti 300 euro? Lo andresti a prendere in una bisca malfamata perché possa rivedere casa? Ok, si tratta in fondo di una semplice candid camera ma, volendo credere alla premessa, stiamo pur sempre assistendo alla più notevole delle prove di coraggio moderne.