Il dinosauro volante di Barling, triplano costruito per affondare una corazzata

Una tavola illustrata figura nella grande sala del Museo Nazionale Aerospaziale di Washington D.C, recante la dicitura “Copyright 1921, by The Chicago Tribune”. È un fumetto in cui un uomo in uniforme dal ponte di una nave ne osserva un’altra che affonda e si lamenta: “Un bersaglio stazionario e privo di difese, eppure guarda quanto ci hanno messo a bombardarlo!” Mentre nel secondo riquadro, un aviatore in volo risponde con doppia sottolineatura: “Si, ma noi l’abbiamo affondato, giusto?” Un semplice eufemismo, banalizzato e ironico, di quello che potremmo definire come un punto di svolta nella storia dei conflitti armati umani. Giacché per la prima volta era stato dimostrato come, nel campo della guerra su larga scala, il predominio aereo potesse battere quello dei mari, abbattendo essenzialmente l’ultima barriera rimasta nella costituzione di una branca delle Forze Armate dedicata a implementare questa specifico aspetto delle operazioni strategiche contemporanee. Ciascuna delle principali potenze nazionali nella prima parte del Novecento coltivò un significativo sforzo di ricerca o vari tipi di think tank finalizzato a dare forma al cambiamento, con diverse figure chiave incaricate di dar lustro all’idea. Compito rivestito principalmente, negli Stati Uniti, dal generale Billy Mitchell, eroe decorato della Grande Guerra famoso per i suoi difficili rapporti con i capi di stato maggiore, che l’avrebbero portato di fronte alla corte marziale nella seconda parte della sua carriera. Un’avversione la cui origine potrebbe essere rintracciata proprio nel frangente oggetto delle vignette del Tribune, verificatosi nel corso del Progetto B, prova tecnica da egli pianificata consistente nell’affondamento intenzionale della corazzata tedesca catturata SMS Ostfriesland, in un’operazione condotta all’inizio di quell’anno producendo risultati che potremmo definire al tempo stesso un successo e una delusione. La seconda, in modo particolare, derivante dall’allungamento dei tempi previsti, a fino a due giorni di laboriosi tentativi a largo di Virginia Beach in Florida, tanto che i detrattori della tesi di Mitchell ormai credevano sinceramente che l’impresa non potesse riuscire. E soprattutto per il modo in cui la stampa, in breve tempo, avrebbe ricevuto aggiornamenti dai superbi collaboratori del generale, trasformando l’episodio in un’opportunità di esporre le tensioni sussistenti tra i diversi capi militari del paese. Con il suo carisma e la dialettica ben collaudata, Mitchell riuscì tuttavia a ottenere una considerevole influenza da questa vittoria, soprattutto nella cerchia di determinati ambienti politici e organizzativi. Riuscendo a ricevere il via libera nella realizzazione di quella che per tanto tempo aveva costituito un’importante aspirazione di carriera: la costruzione di un primo esempio di bombardiere strategico, il tipo d’aereo concepito per raggiungere bersagli distanti, colpirli senza alcuna possibilità di salvezza, e quindi ritornare presso la sua base ben lontana dalle linee nemiche. Operazione destinata a rivelarsi, d’altro canto, molto più difficile di quanto prospettato…

Con un budget iniziale approvato dallo U.S. Army Air Service pari a 400.000 dollari (8 milioni al cambio attuale) Mitchell decise dunque di coinvolgere come progettista principale una figura di chiara fama. Chiamando dall’Inghilterra quello stesso Walter H. Barling, già creatore del biplano da 19 metri di apertura alare Handley Page Type O, utilizzato con successo dagli alleati d’Oltreoceano per bombardare la Germania in formazioni di anche 30 apparecchi alla volta. Per poi passare, in un risvolto decisamente meno riuscito della sua carriera, all’impresa dell’avveniristico Tarrant Tabor, letterale mostro a sei motori di grandezza più che raddoppiata, che avrebbe avuto come utile prerogativa la capacità di trasportare fino a 2,1 tonnellate di bombe. Se non che il 19 maggio del 1919, durante il suo primo test di volo, avrebbe finito per schiantarsi in fase di decollo causando il ferimento di tutti e sei i membri dell’equipaggio. Trattandosi di un’epoca in cui il sapere emiprico era semplicemente fondamentale, in assenza di simulazioni digitali o altre diavolerie dell’epoca dell’informazione, ciò non aveva posto fine alle prerogative di Barling ma piuttosto fornito una base solida, sopra cui costruire il suo successivo capolavoro. Giunto in America nell’ottobre del 1922, l’ingegnere inglese venne dunque inviato presso la compagnia di Staten Island Wittemann-Lewis, già nota per aver costruito l’idrovolante atlantico Sundstedt-Hannevig ben quattro anni prima. E li si mise all’opera nel disegnare quello che sarebbe presto diventato il Witteman-Lewis XNBL-1, più direttamente soprannominato, almeno inizialmente, come il Barling Bomber. Aereo ancora più avanzato delle sue creazioni precedenti, con 36 metri di apertura alare e sette uomini a bordo, nell’aspetto simile a un triplano ma la cui “ala” centrale aveva piuttosto lo scopo di sostenere i sei motori, di cui quattro in configurazione traente ed i restanti due, sopraelevati, finalizzati a spingere il velivolo in avanti. Un comparto all’apparenza notevole eppure appena sufficiente per questo gigante, che avrebbe avuto un peso al decollo a pieno carico di circa 19 tonnellate. La che va aggiunto come gli impianti in questione, pur essendo del nuovo tipo Liberty L-12 raffreddato ad acqua, sviluppassero “appena” 420 cavalli di potenza ciascuno. Per un totale dimostratosi ben presto insufficiente all’utilizzo prospettato da Mitchell, raggiungendo una velocità massima di soli 155 Km/h ed una portata operativa di circa 270 Km, a fronte di un trasporto della considerevole cifra di 2.300 Kg di ordigni esplodenti. Benché la vulnerabilità del velivolo, costruito ancora principalmente in legno e tela verniciata con soltanto alcune parti d’alluminio, sarebbe stata quindi contrastata dalla presenza di ben sette mitragliatrici a bordo, capaci di coprire totalmente ogni angolazione di avvicinamento, l’aereo venne presto relegato ad un impiego teorico per le operazioni notturne, finalità perseguita grazie all’inclusione di strumento di volo estremamente avanzati per l’epoca, tra cui altimetri di precisione e apparati per la triangolazione mediante l’uso di antenne posizionate sul territorio (radiogoniometri). Altro aspetto di assoluta distinzione, la solida cabina di volo che poteva essere completamente chiusa dall’interno, isolando l’equipaggio dal gelo invernale dei possibili teatri operativi futuri. Nonostante il record nominale stabilito in termini di lunghezza del volo per un oggetto di tale imponenza, il Barling non riuscì d’altronde a superare le prestazioni effettive di molti velivoli coévi, tra cui il biplano Martin NBS-1 che pur trasportando appena la metà del carico poteva agevolmente raggiungere i 720 Km di raggio operativo. Entro il 1925 e con nessuna prospettiva di completamento nell’immediato, i costi del progetto continuavano inoltre ad aumentare. Tanto da rendere necessaria in modo particolare la costruzione di un hangar speciale a Farifield, affinché la pioggia non si accumulasse sulle ali del bombardiere, il cui costo finale avrebbe raggiunto da solo i 700.000 dollari al cambio attuale.

Nel frattempo, il 5 settembre del 1925 il generale Billy Mitchell avrebbe commesso l’errore destinato a portarlo di fronte alla corte marziale, avendo criticato in termini particolarmente accesi le scelte dei più alti capi dell’Esercito e della Marina, a seguito dell’incidente del dirigibile Shenandoah, costato la vita a 14 persone. Tra i 13 giudici coinvolti nella misura disciplinare, che alcuni ritenevano violare il diritto alla libertà di parola, figurava anche il collega Douglas MacArthur, che anni dopo avrebbe qualificato tale compito come uno dei più difficili e sgradevoli della sua intera carriera. Nonostante il sostegno di alcuni, d’altra parte, Mitchell venne condannato a cinque anni di sospensione ed una riduzione dello stipendio. Esaurito il suo credito politico e la reputazione ottenuta grazie al contributo negli anni di guerra, Mitchell vide il suo costoso bombardiere passare in secondo piano, abbandonato ai margini dell’aeroporto e infine smantellato venendo dato alle fiamme, nel 1929, proprio sotto la supervisione del maggiore Henry H. “Hap” Arnold, che era stato in precedenza uno dei suoi più brillanti allievi professionali. Fu in altre parole la fine anticipata di un’epoca, ben prima che le innovazioni incorporate nel super-bombardiere potessero essere trasferite ad altre iniziative progettuali successive alla fondazione degli U.S. Army Air Corps nel recente 1926. E ci sarebbero voluti altri 17 anni, successivamente all’inizio della seconda guerra mondiale, perché una corazzata finisse per essere effettivamente affondata in battaglia, cambiando in modo collaterale l’andamento di un’intera campagna. Un dubbio onore toccato alla possente nave italiana “Roma” della classe Littorio, mediante l’utilizzo di bombe plananti sganciate da velivoli Dornier Do 217 K-2 della Luftwaffe tedesca all’interno del golfo dell’Asinara. La svolta lungamente attesa, destinata a ridisegnare totalmente le sfere d’influenza dei diversi aspetti delle forze armate di ogni singola nazione al mondo.

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