Pong pong, nome del frutto che mezza Internet si è ricordata di associare ai suicidi

Un singolo momento, congelato nel tempo. L’attimo d’esitazione, l’elaborazione di una scelta crudele. Il superamento, nella migliore delle ipotesi, dell’impulso finale. In una conclusione di stagione particolarmente drammatica (qualcuno ha detto addirittura shakespeariana) per la popolare serie Tv sugli errori della vita e le disparità sociali, White Lotus, viene spiegato al pubblico dell’esistenza nei paesi del Sud-est asiatico di un particolare tipo di frutto, proveniente da quello che viene chiamato albero di othalanga. Attraente arbusto ornamentale dai grandi fiori bianchi, prolifico e resiliente, che per questo viene sorprendentemente piantato in quantità nei giardini, parchi pubblici e luoghi di ritrovo, come il villaggio vacanze dove si svolge la vicenda dei personaggi protagonisti della narrazione. Il problema, se mai, viene dalla traduzione indiretta del suo nome, che potremmo rendere in italiano con “albero dei suicidi” essendo essenzialmente collegato al maggior numero di avvelenamenti, intenzionali o meno, di qualsiasi altro vegetale esistente. Strettamente imparentata all’oleandro, in qualità di esponente della famiglia delle Apocinacee, la pianta Cerbera odollam risulta essere in effetti collegata ad una serie pressoché interminabile di fatti di cronaca dei tempi odierni, in cui appartenenti ai più diversi livelli della scala sociale hanno ingerito uno o più dei suoi grandi semi simili agli anacardi, latori di un effetto che può culminare facilmente con l’arresto del cuore umano.
Una dote quest’ultima che, nel suo originario territorio del Madagascar, fu lungamente collegata alla pratica popolare della tangena, secondo cui costringere un accusato di stregoneria a mangiare l’aspro e sgradevole frutto, assieme alla pelle di un pollo, potesse rivelare la supposta veridicità di tale ipotesi. Poiché per intercessione di uno spirito, il soggetto avrebbe alternativamente vomitato tutto (colpevole) oppure soltanto il frutto (innocente) o nessuna delle due cose (il più delle volte defunto). Ancorché l’effettiva LD50 o percentuale di letalità dell’eponime glicoside contenuto all’interno, la cerberina, risulti incapace di garantire con certezza il risultato finale. Ciò a causa dello specifico meccanismo con cui induce la morte, consistente nell’indurre uno stato di brachicardia nel muscolo cardiaco, con conseguente blocco dei suoi ricettori del potassio e del sodio nel giro di circa tre ore. Il che rende idealmente possibile, a persone prive di condizioni pre-esistenti, di sopravvivere ad un tale tipo di ordalia, così come nei tempi odierni molti si sono in seguito salvati, grazie all’intercessione di personale medico all’interno di strutture adeguatamente attrezzate. Casistica difficilmente applicabile, nel caso in cui si viva a gran distanza da un centro urbano, oppure alternativamente, l’assunzione dei semi possa essere stata intenzionale…

Il frutto della C. odollam, simile a quello della pianta meno diffusa del C. manghas o “mango dei mari” non ha mai avuto un’importanza economica al di là dell’impiego nella preparazione storica di un veleno per la caccia agli animali, oltre al repellente per insetti o ratti, pur risultando nondimeno strettamente collegato alle alterne vicende delle comunità e gli antichi insediamenti umani. Questo per la sua capacità di crescere frequentemente al di fuori delle paludi o acquitrini dove trova il proprio ambiente ideale, trovandosi ad infestare zone utilizzate normalmente per l’agricoltura a scopo produttivo, attecchendo sul terreno direttamente a partire dalla forma sferoidale e fibrosa dei frutti caduti o fatti rotolare sul terreno. Perfettamente protetti, dalla loro dotazione evolutiva ed a quanto pare anche un pessimo sapore, dal consumo da parte di creature inconsapevoli che ad ogni modo potrebbero commettere un simile errore non più di una singola volta. Con il divieto della pratica barbarica della tangena, partire dall’inizio del XX secolo, l’ingestione umana di questi frutti letali diventò quindi appannaggio preferenziale di tutti coloro che, per una ragione o per l’altra, avevano deciso di farla finita. Tramite una semplice prassi consistente nello sminuzzamento dei due letali grani di un singolo pomo, in genere mescolati a dello zucchero di canna per offuscarne l’amaro sapore. Una scelta compiuta in senso statistico prevalentemente dalle donne, conducendo ad una quantità di decessi che fu stimata nel solo stato indiano del Kerala, ad esempio, come almeno uno alla settimana nel corso del singolo anno tra il 1988 ed il 1989. Questo perché anche quando trasportati in ospedale, senza la collaborazione delle vittime è difficile identificare correttamente la fonte dell’avvelenamento e procedere con la contromisura adeguata. Consistente in modo alquanto contro-intuitivo, nella somministrazione di un secondo veleno, l’atropina, tropan-alcaloide proveniente dalla belladonna, che in altre circostanze potrebbe facilmente causare il decesso in un individuo sano. Agendo sempre a danno del muscolo cardiaco, in cui tende a provocare una quantità rischiosa di palpitazioni, cionondimeno validi nel riattivare l’assunzione metabolica del potassio del sodio. Un raro caso in cui il sovrapporsi di due agenti nocivi e contrapposti possa effettivamente compensarsi a vicenda, riportando in equilibrio per quanto possibile la complessa macchina dell’organismo umano.

Fino a che punto perciò il particolare frangente mostrato sui nostri schermi poteva essere reale, in che misura del tutto fantasioso? Senza entrare nel merito delle specifiche circostanze, per non svelare la trama, chi ha visto l’episodio finale potrà a questo punto trarre in modo autonomo le sue conclusioni: la letalità del frutto, la sua capacità emetica, il tipo d’utilizzo risultano del tutto compatibili con l’effettiva storia naturale di questa specie. Così come il fatto che potesse crescere come niente fosse accanto ad una zona dedicata ai turisti. Non succede forse la stessa identica cosa, dalle nostre parti, con la pianta strettamente correlata dell’oleandro? Quasi come se il pericolo della letalità incombente possa essere ignorato, di fronte ai meriti esteriori di un essere vivente oggettivamente incolpevole, nonché esteriormente accattivante. Laddove soltanto l’immediatezza degli effetti mostrati in seguito all’ingestione dei semi potrebbe dirsi esagerata, per lo meno rispetto al repertorio dei casi registrati nella letteratura medica di cui disponiamo sull’argomento.
Ma è in definitiva proprio in merito all’appropriatezza di quella particolare sequenza, persino in una narrativa dall’alto grado di cinismo come quella dello show White Lotus, che le opinioni tendono inevitabilmente a variare. Poiché se da una parte può essere definito pericoloso mostrare la presunta efficacia dell’albero dei suicidi nel far fronte al proprio nome, è anche vero che può avere dei risvolti positivi aumentare la consapevolezza del pericolo che può derivare da un simile albero pressoché onnipresente in Asia. Tutto dipende, come di consueto, dalla fiducia che fondamentalmente riponiamo nell’animo e nella natura dei nostri simili umani.
Una problematica largamente affrontata nelle plurime peripezie mostrate, da più angolazioni contrastanti, nella terza iterazione del pluri-premiato opus dell’autore, lo sceneggiatore e regista Mike White.

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