L’utopica città fantasma sotto la piramide scolpita dai venti norvegesi

Molte sono le incertezze che una persona è disposta ad affrontare, nella speranza di riuscire a migliorare la qualità della propria stessa vita, o possibilmente quella dei propri figli, familiari ed amici. Avventure come abbandonare il proprio luogo d’origine ed ogni aspirazione precedentemente acquisita, per partire come minatore alla volta di una terra lontana, dal clima inospitale, lontano dai servizi normalmente giudicati necessari per la civiltà. Benché dotata di comfort e strutture largamente al di sopra della media, secondo un piano attentamente concepito dal governo sovietico per pubblicizzare il proprio stile di vita e sistema di valori nei confronti del cosiddetto Blocco Occidentale. O per lo meno le sue propaggini settentrionali, presso la terra emersa e non meno remota dell’arcipelago delle Svalbard, situate tra il 74° e l’81° parallelo, dove il sole si dimentica del tutto di sorgere o tramontare per periodi di oltre tre mesi nel corso dell’anno. Ma le temperature scendono raramente al di sotto degli zero gradi, grazie al contributo termico del caldo Oceano Atlantico. Un ottimo punto di partenza per costruire qualcosa di accogliente, una comunità vivibile e serena al punto da poter costituire una sorta di bizzarro miglioramento, per chiunque fosse stato sufficientemente fortunato da essere inviato fin lassù. L’insediamento di Pyramiden nasce dunque nel 1910, sotto la supervisione esclusiva della Svezia, in un periodo in cui l’intero territorio dell’arcipelago più settentrionale al mondo veniva amministrato come letterale terra di nessuno, o per meglio dire di chiunque, alla maniera in cui oggi capita soltanto al Polo Sud. Finché nel giro di una decina d’anni una serie di trattati ed accordi internazionali avrebbe finito per dividere le Svalbard, con il loro prezioso contenuto di risorse, tra le diverse potenze in grado di far valere i propri diritti diplomatici, incluso il grande Impero Russo recentemente riformato, a seguito della più importante e sanguinosa guerra civile della sua lunga storia. Entro il 1920 e per i successivi 78 anni, dunque, i russi diedero in gestione questa cittadina assieme alle vicine Longyearbyen e Barentsburg alla compagnia di stato d’estrazione del carbone Arktikugol, confidando che avrebbe fatto tutto il possibile per riuscire a renderle in qualche modo redditizie. Il che avrebbe avuto modo di realizzarsi soprattutto sul piano delle relazioni pubbliche, mentre la quantità e qualità del prodotto ricavato non sarebbe mai giunta a coprire i notevolissimi costi di gestione. Ma ci fu un tempo in cui tali luoghi sembravano possedere un futuro, arrivando ad offrire lavoro e sostentamento a svariate migliaia di persone. Tra cui oltre mille nella sola Pyramiden, forse il prototipo maggiormente riuscito di quella che poteva essere considerata come la “città ideale” figlia delle nuove ideologie del Novecento, in cui chiunque avrebbe avuto le stesse opportunità, un accesso alle migliori infrastrutture pubbliche e insegnanti eccellenti per i propri figli e figlie. Un vero Paradiso lontano da Dio e dal mondo, del genere che oggi siamo soliti associare all’inizio dei racconti catastrofisti ed orrorifici, quando ancora l’ora di riscossione karmica non si è manifestata, e l’alieno/mostro/creatura attende l’ora della sveglia nelle oscure profondità del sottosuolo.
A conferma parziale di una tale ipotesi, chi sceglie oggi di visitare Pyramiden sull’isola di Spitsbergen, così chiamata per la forma dell’alta montagna antistante nonché sede della relativa miniera, è destinato a trovarsi di fronte uno scenario ben diverso da quello inizialmente pubblicizzato. Tipico di un sito tanto ameno quanto silenzioso, con il caratteristico susseguirsi di grandi edifici multipiano considerati rappresentativi dell’architettura sovietica, ma le cui finestre restano oscure e totalmente prive di movimenti, così come le lunghe passerelle sopraelevate costruite per evitare di sprofondare nel fango dopo il sopraggiungere della stagione delle piogge. Fatta eccezione, possibilmente, per i 6 (numero variabile) coraggiosi rimasti ad abitare permanentemente simili remoti recessi della civiltà, amministrando e custodendo i reperti di un’epoca trascorsa ma mai realmente dimenticata, come se neppure un giorno fosse trascorso da quando il mondo guardava in questa direzione con sincero ma dissimulato interesse. Così un hotel, un ristorante e un museo sono tutto quello che resta in funzione, accompagnato dalla ricca selezione di alloggi e luoghi d’interesse ormai dismessi, al cui interno ancora restano alcuni degli oggetti appartenuti a coloro che avevano scelto di chiamarli casa. Visitabili soltanto se accompagnati da una silenziosa guardia armata di fucile, e non solo per ragioni di conservazione della Storia. Bensì come presenza irrinunciabile in un posto come questo, frequentemente battuto dalle lunghe migrazioni degli orsi polari…

Nella sua configurazione urbanistica essenziale basata su macro-spazi condivisi, Pyramiden rappresenta una manifestazione architettonica del modernismo nato all’inizio del secolo scorso. Ma anche una soluzione pratica, al problema di riscaldare e rendere abitabili le uniche residenze utilizzabili di un luogo così remoto.

Al suo meglio, Pyramiden fu quindi senza ombra di dubbio la più vivibile delle tre cittadine sovietiche nelle Svalbard, considerata l’invidia di tutti coloro che avendo fatto richiesta di esservi trasferiti, si trovavano piuttosto assegnati a Longyearbyen o Barentsburg. Sotto lo sguardo attento dell’essenziale busto monumentale di Lenin, posto di fronte all’edificio amministrativo principale e luogo di ritrovo cittadino, si dipanavano quindi le sue strade e sentieri completi di passerelle, tra i dormitori rispettivamente assegnati agli uomini (“Londra”) le donne (“Parigi”) e quello più grande per le famiglie. Un ospedale fornito delle più moderne attrezzature campeggiava quindi sulla piazza principale, assieme all’asilo e scuola elementare, ancora oggi pieno dei disegni, decorazioni e giocattoli appartenuti ai figli dei minatori. Senza poter tralasciare gli edifici costruiti come luoghi di svago nelle ore libere, come quella che costituisce senza ombra di dubbio la piscina riscaldata più a nord del nostro intero pianeta, abbinata alla palestra dotata dello stesso primato. Un più recente eliporto, inaugurato nel 1961, si trova in prossimità del punto d’approdo, costituendo invece l’unico sistema di collegamento veloce agli altri insediamenti dell’arcipelago, benché il raggiungimento della terra ferma richieda l’imbarco su un aereo di linea presso l’aeroporto dell’ancora popolata Longyearbyen. Ma ciò che domina più chiaramente l’intero complesso resta, senz’altro, il lunghissimo camminamento e ferrovia inclinata sul fianco della montagna-piramide, utilizzato un tempo per riportare al livello del mare le variabili quantità di prezioso carbone, vera ed unica ragione d’esistenza dell’intera colonia. L’unico luogo, forse, dove la parvenza di perfetta conservazione viene meno, dinnanzi all’insistente potenza distruttiva degli elementi, del tutto noncuranti delle tribolazioni e decisioni dei loro meri soggetti umani.
L’effettivo abbandono di Pyramiden, per quanto possa sembrare a posteriori un evento repentino ed inaspettato, ebbe in realtà luogo a partire dal 1998 nel giro di alcuni mesi per un’ampia serie di ragioni, tra cui quella principale del progressivo esaurimento delle risorse carbonifere a disposizione, nonché il caso particolarmente tragico di un grave disastro aereo. Quello capitato il 29 agosto di due anni prima al volo Vnukovo Airlines 2801, di un Tupolev Tu-154M che finì per schiantarsi contro il monte Operafjellet a poca distanza dall’aeroporto a causa di un errore umano nell’interpretazione delle istruzioni della torre di controllo, finendo per costare la vita a 141 persone. La stragrande maggioranza delle quali composte, per un triste scherzo del destino, proprio dai minatori di Pyramiden di ritorno da una vacanza offerta dalla Arktikugol. Il che avrebbe posto le basi di una situazione molto dispendiosa da risolvere, inficiando ulteriormente la già insoddisfacente resa mineraria della montagna, inducendo i vertici dell’azienda governativa ad iniziare il piano di chiusura che avrebbe portato entro entro un periodo ragionevole al rientro forzato di coloro che erano sopravvissuti. Lungi da portare all’annichilimento di questa letterale città dei record, vista la collocazione geografica più a settentrione di qualsiasi altro luogo paragonabile della Terra, l’abbandono avrebbe costituito l’inizio di un processo di trasformazione, da luogo vivido e pulsante a memoriale di ciò che era stato, portando alla successiva riconfigurazione in atipica attrazione turistica, non certo tra le maggiormente conosciute. Eppur dotata di una sua rigorosa bellezza, non soltanto artificiale ma anche frutto del paesaggio battuto dai venti, l’antistante fiordo contornato dai ghiacciai e l’iconica fauna locale, tra cui le molte famiglie di volpi artiche e l’occasionale orso polare, sopravvissuti alla spietata caccia che ne fecero per lunghi anni gli abitanti dell’insediamento in questione. Mentre parte dell’accoglienza di un tempo trova il modo di palesarsi attraverso l’eclettico e ridotto personale dell’hotel, nonché personaggi come il proiezionista Stanislav Schubert, trasferitosi qui a partire dal 2007 per creare e gestire uno dei più remoti archivi del cinema di epoca sovietica, con oltre 1.000 pellicole mostrate su richiesta a chiunque voglia usufruire di questo improbabile servizio. Qualcosa di superfluo e poetico al tempo stesso, così stranamente appropriato in un simile tempio di epoche ormai trascorse.

Cecilia Blomdahl è la vTuber accompagnata dal suo fedele cane che recendosi all’inizio di questo mese a Pyramiden, si è anche avventurata lungo il tragitto della vecchia ferrovia mineraria. Iniziativa tanto faticosa ed imprevista, da riuscire a scoraggiare anche l’accompagnamento da parte della sua guida anti-orsi d’ordinanza.

Che un sogno possa sopravvivere al risveglio, di fronte alle reali difficoltà superabili dell’esistenza, rappresenta un’evoluzione largamente soggettiva sulla base di ciascuna esperienza di vita individuale. Ed anche i casi su larga scala di una simile questione, una gestalt d’insigni pensatori, accompagnati da risorse e soluzioni pratiche fornite da uno dei governi più potenti della loro epoca, possono finire dopo un lungo tempo per sciogliersi al sole. Lasciando soltanto lo scheletro di quello che avrebbe potuto continuare ad essere, con una piega maggiormente favorevole degli eventi… Ma è possibile affermare, realmente, che le cose ormai andate incontro ad un processo entropico di disintegrazione debbano essere per forza prive di alcun valore per i posteri sopravvissuti ad esse? O forse, dovremmo scegliere di apprendere dalle esperienze dei predecessori, acquisendo per quanto possibile una percezione del mondo di un tempo? Così uguale e così diverso; tanto mutato al punto di essere irrecuperabile. Sebbene i presupposti ancora esistano, per emendare l’andamento ed il funzionamento di quel tortuoso viale.

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