Ai-rone, hai voglia, per mangiare. Non è facile da catturare. Bisogna concederlo a quei piccoli, dardeggianti pesciolini a strisce che comunemente definiamo killifish. Non saranno molto scaltri, veloci, forti, attenti ai dettagli o bravi nel suonare il flauto traverso durante la canzone d’intermezzo dei cartoons della Walt Disney, ma puoi pur sempre contare su una cosa: sanno preservare la propria pinnuta, placida esistenza. E non potrebbe essere altrimenti! Avete mai considerato le problematiche del tipico ambiente di acqua pseudo-ristagnante, lievemente sopra e sotto quella linea di definizione del concetto di palude? Gracida la rana giù nella campagna, voràcida quanto un piranha. Per non parlar del grosso persico che non a caso, nell’idioma americano viene affettuosamente denominato “large-mouthed”(boccalone) giacché risucchia, a mò di aspirapolvere, ogni sorta di visitatore. E quindi lucci, pesci gatto, trote o i rapidi rappresentanti della famiglia Centrarchidae, detti pesci-sole o branchieblu. Relativamente piccoli, ma pur sempre meno del piccolo Fundulus di cui sopra, la cui vita fra tanti affamati rassomiglia, sia pur con l’influenza dell’ambiente non terricolo, la tristemente nota sequela di soprusi riservati alla gazella; l’ultimo anello della catena alimentare più famosa e spettacolare al mondo (siamo tutti un po’ grandi felini, nell’anima se non nei fatti). Però guarda, addirittura quelle, tutto sommato hanno una gran fortuna: avete mai sentito parlare di un uccello gigantesco che planando giù dal Kalahari, sorvoli ippopotami e giraffe, quindi baobab centenari, poi ghermisca un gran quadrupede cornuto per portarlo su nel nido? Certo che no! Si son già estinti, gli pterodattili dalle maestose proporzioni. Anche se i loro eredi, assai più piccoli ma comparabilmente ghiotti, sono per qualche essere: come il tirannosauro, alle sue prede! Anzi, peggio, perché sanno usare quel cervello che hanno in cima al lungo, assai flessuoso collo. Perché la fame aguzza, eccome…
Possiamo qui osservare un affascinante comportamento, attestato piuttosto spesso tra la specie degli aironi verdi o Butorides virescens, il cui aerale si estende dalle propaggini occidentali del Canada a buona parte del Nord America, fino al Messico e Panama, dove gli esemplari migrano talvolta in inverno. Si tratta di un uccello lungo 44 cm e relativamente comune, che non scappa in presenza degli umani ma piuttosto, come un merlo o un corvo, tende a interagire. E qualche volta viene anche da chiedersi se non ti sia prendendo in giro…Immaginatevi: di dare gentilmente a questo variopinto beniamino, incontrato durante un’uscita a pesca, quel pezzetto marginale del vostro panino con il wurstel. Per poi osservare ad occhi spalancati, mentre il volatile lentamente si allontana e quel dono lo intinge, più e più volte, dentro l’acqua lì vicino. Sembra un orsetto lavatore, con le piume? Non proprio. Perché a un certo punto, magia: sparisce il pane, mentre nel suo becco, mirabilmente, si è materializzato un saporito killifish. Quella piccola merenda senza proteine, guarda tu il caso, si era trasformata in esca! E se doveste tardare a fornirgliene un’altra porzione, meraviglia: l’airone potrà sempre prendere al volo una libellula, e farne lo stesso uso. Succede veramente.

È un’interconnessione alquanto interessante tra ambienti ecologici davvero ben distinti, quella che lega gli uccelli acquatici non nuotatori alle loro prede designate. Che porta a tratti evolutivi decisamente specializzati e riconoscibili, comuni alla cicogna, all’ibis alla gru ed agli aironi, tutti appartenenti ai due ordini dei Pelecaniformes e dei Ciconiiformes: le lunghe e sottili zampe per non far rumore dragando il fondale, il becco appuntito a mò di arpione, la vista estremamente sviluppata. Ma soprattutto quella doppia “Esse” della lunga e muscolosa articolazione sopra cui è posta la testa del volatile, frutto di un susseguirsi di vertebre speciali, principale segno dell’unico tipo di scheletro siffatto che possa dirsi veramente: aerodinamico. A tal proposito, la caratteristica più singolare degli aironi, rispetto ai loro parenti prossimi, è la preferenza per la posizione raccolta di questo eccellente strumento durante l’atto del volare, facendo sembrare l’intera creatura molto più piccola e meno pericolosa, per uno raro pesciolino che dovesse essere pronto a rivolgere i suoi bulbi oculari verso l’alto. Forse ciò fa parte dell’inganno attentamente calcolato dell’airone, quella vecchia, vecchia volpe in bilico fra le radici di mangrovia.
Il Butorides virescens del video di apertura, ripreso da un anonimo forse cinese, e ripubblicato con un titolo e descrizione in quell’idioma, è un uccello prevalentemente notturno, che si avventura fuori dal suo nido durante le ore di luce solamente in due casi: se scarseggia il cibo, oppure se ha l’incarico temporaneo di portare il pranzo anche ai suoi piccoli, recentemente fuoriusciti da una nuova schiusa. Questa specie in particolare viene spesso messa in relazione con l’airone striato (Butorides striata) diffuso ai tropici del Vecchio Mondo, in Africa, in Sud-America e finanche in Giappone ed Australia. Questo parente prossimo risulta molto simile nell’aspetto e nei comportamenti benché, trattandosi di un uccello non migratore, abbia le ali più corte di quelle della sua citata controparte nordamericana.
Tra gli esemplari delle due specie che vivono in prossimità del mare, inoltre, esiste la tendenza comune ad adattarsi al ritmo delle maree, per sfruttare adeguatamente quei momenti in cui il livello dell’acqua si abbassa, lasciando privi di difese un ricco numero di saporiti granchi e altri vertebrati. Benché non siano sgraditi neanche gli insetti volanti o l’occasionale topo, che viene interamente trangugiato giù nel lungo collo, nella serpeggiante approssimazione di un macabro gioco di prestigio. In quel caso, niente esca: non ti serve proprio. Se minacciati da un potenziale quanto raro predatore durante le loro scorribande, i saccenti aironi puntano il becco verso il cielo, allungandosi il più possibile per aumentare le proprie dimensioni neanche fossero un pupazzo a molla. L’efficacia di questo approccio difensivo resta ignota.
E infine, cosa importa? Siamo di fronte ad una delle poche specie in grado di sfruttare il vantaggio offerto dagli strumenti designati ad uno scopo. È un qualcosa di simile al momento rivelatorio spesso celebrato nelle storie dei nostri antenati scimmieschi, in cui il primo cavernicolo affila una pietra di selce, la monta sopra un lungo bastone e inizia a definirla Fiocina, l’attrezzo per pescare. Ed è tanto spesso esattamente qui, che vogliamo porre la linea di demarcazione tra “animale” ed “uomo” quando chiaramente, anche l’uccello di palude è un animale. E nell’acqua che scorre, i confini si cancellano col rinnovarsi delle sabbie sul fondale.