Ombre scure tra le onde del bagnasciuga, come rocce o antichi fossili dimenticati. Dopo l’ultima tempesta, la spiaggia grigia di Ceredigon (a.k.a. Cardigan Bay) sulla costa occidentale gallese non apparve più la stessa… Qualcosa di diverso interrompeva la monotonia del familiare paesaggio. Era la fine di maggio del 2019, ma un evento simile aveva già avuto modo di verificarsi varie volte in precedenza, l’ultima delle quali nel 2013: quando il vento, la pioggia, il mare mosso avevano collaborato, nel colpire e spazzare via lo strato di sabbia mista a torba di un simile scenario, mettendo a nudo un incredibile reperto morto-vivo risalente a circa 4.500 anni fa. Schiere d’alberi infiniti, pini, querce, betulle, ontani e frassini, o per meglio dire i loro ceppi parzialmente integri, completi di radici. Niente affatto mutati in pietra, ovvero mineralizzati dai processi che trasformano creature organiche in reperti in grado di attraversare immutati gli Eoni; bensì caratterizzati dall’aspetto e quella consistenza, perfettamente riconoscibile, che tende a possedere il legno marcescente. Proprio così: pochi anni sembravano essere trascorsi, soggettivamente, dal momento della loro dipartita. E poiché si tratta di piante, espressioni vegetative del concetto di stesso di sopravvivenza sopra ogni cosa, non pare del tutto impossibile che da un giorno all’altro possano tornare a germogliare. Al canto degli pterodattili nei cieli, mentre in lontananza, sembrano risorgere le risplendenti torri del leggendario Cantre’r Gwaelod, il regno che un tempo si estendeva dal Galles all’Irlanda, prima che un’inondazione del tutto imprevista ne spazzasse via le mura e tradizioni . Un mito, il qui citato, tutt’altro che raro tra i popoli di tutto il mondo, e riconducibile al concetto assai diffuso del Diluvio Universale, benché in questo particolare frangente, l’evidente prova della vegetazione pregressa sembri richiamarsi ad un fatto realmente avvenuto: una colossale e sicura frana, avvenuta secondo i geologi attorno a 6 millenni fa, di tre altopiani sottomarini al bordo estremo della placca continentale norvegese. Nota convenzionalmente come evento di Storegga e capace, secondo una vasta serie di accreditate teorie, di portare alla scomparsa di ampi territori emersi noti come “Doggerland”, sia da un lato che dall’altro di quel luogo che un tempo era una penisola, oggi noto come arcipelago della Gran Bretagna. Niente volontà divina quindi, o alcuna punizione per le malefatte delle genti coéve; bensì pura e incomparabile disgregazione, frutto degli eventi e sconvolgimenti della Terra stessa, che con tanta assiduità, attraverso i secoli, ci nutre. Finché la misura e colma e giunge l’ora, lungamente paventata, di spazzare via i ricordi e dare inizio a un ulteriore capitolo dell’esistenza umana. Ma poiché la natura possiede questa innata tendenza, particolarmente rappresentativa, a resistere ai suoi stessi processi, può talvolta capitare che la particolare composizione del suolo anaerobico, capace di costituire una massa compatta e indivisa, agisca come un frigorifero senza elettricità, preservando ciò che tanto a lungo era stato nascosto agli occhi delle persone. Gente come gli abitanti dei villaggi di Borth e Ynyslas, ormai da molte generazioni rassegnati a convivere con l’avanzata lenta ma inesorabile del livello dell’oceano come dovettero fare, a un ritmo molto accelerato, i loro insigni predecessori. Ma anche i pescatori, bagnanti e turisti della terra emersa a fronte del braccio di mare antistante, quella spiaggia di Youghal in Irlanda, dove molto evidentemente lo stesso accadimento si verifica, a intervalli irregolari, esponendo quello che potrebbe anche essere l’altra estremità del perduto bosco. Dando luogo a un’ampia serie di speculazioni…
