La musica in bilico sul dorso dell’alligatore

Crocodile Zither

Quel giorno, il vento risuonava delle note di un profondo stato di meditazione. Persino le anatre passavano da un’altra parte. Wei Kao, governatore per mandato imperiale della regione dello Szechuan, sedeva concentrato sulle mura della penultima stazione di scambio, fortezza commerciale sulla lunga Via. Sotto di lui cammelli e splendidi cavalli, carichi di sete variopinte provenienti dalle terre semi-mitiche di Tianzhu “il-centro-del-Sacro” luogo talvolta definito il Bharata o l’Hindustan. Patria di Siddharta, come innumerevoli altri tesori… Dopo oltre 20 anni di missioni diplomatiche per conto della corte Tang, il vecchio politico aveva ormai raggiunto la saggezza: nulla poteva più sorpassare il senso guadagnato in tante spedizioni coraggiose. Aveva portato i suoi forti vessilli in ogni paese di quel vasto mondo, dalle isole del mare orientale fino ai monti sul confine di un diverso continente, oltre il quale, si diceva, sopravvivevano vestigia di legioni vermiglie e bianchi templi millenari, antichi almeno quanto gli ossi di tartaruga usati dagli indovini più stimati di Chang’an, sia reso onore al suo abitante. Ma quest’oggi, il suo sguardo era rivolto verso il nèi lì, lo spirito interiore, la forza necessaria per trovare un senso alle difficoltà del mondo. Profondamente concentrato sulle mura merlate della cittadella, suonava un’ardua melodia del tempo. Il suo unico compagno, il guqin, ovvero “l’antico attrezzo per la musica”, che già Confucio definiva il padre della saggezza cinese, come Egli lo era stato di un intero sistema di valori, bussola dei grandi saggi e letterati. Piatto e lungo, senza traversine, sette corde come le armonie degli archi che nascono nel cielo. Unico, nell’intera sua categoria, per complessità armoniche a disposizione di chi avesse voglia studiarlo. Così lui lo suonava, con gli occhi volti verso Oriente e quella grande Capitale.
Huo Xianming, eunuco dell’enclave fortificato, viaggiava sempre con un certo stile. Il suo carro dalle grande ruote, con fregi a forma di fenici e draghi spiraleggianti, godeva del traino equestre di uno splendido destriero, adatto ad essere cavalcato nelle leggende del periodo delle Sei Dinastie. Alla destra e la sinistra del suo incedere, sedici guardie di palazzo, l’armatura a piastre lamellari con ornamenti in giada, sulle spalle forti spade, balestre meccaniche o i lunghi fusti di alabarde podao, con lame simili a quelle di una spada cerimoniale. Così chiunque avesse sfidato il suo seguito, avrebbe scoperto che persino in quell’epoca di sommosse e continui combattimenti, la forza della corte non incominciava a vacillare.
E sarebbe stato meglio, per quell’ennesimo aspirante signore della guerra, l’ormai riverito e temuto Wei Kao, i cui soldati studiavano le tattiche e i sistemi della grande Asia Centrale per “l’aumento della saldezza spirituale” avesse almeno la decenza di rispondere al richiamo del suo Imperatore.

Leggi tutto

Come cantavano i sinceri marinai

Old Chariot

“E spingiamo, spingiamo innanzi il vecchio carro, spingiamo!” Coro: una goccia di rum non ci farebbe affatto male, oh, una goccia del sangue di Nelson*; “Ma spingiamo, gente, ancora e ancora, quel dannato vecchio carro […]” E poi di nuovo, in un crescendo di entusiasmo ed enfasi selvaggia. Del resto amici miei! Una volta passato il Corno, ci potremo infine riposare. Quindi, forza e coraggio: tirate fuori il vostro perno dal cabestano, il grande argano di babordo, e poi piantatelo di nuovo dentro al foro successivo, tutti assieme, al risuonare del tonante richiamo. Finché il ferro là gettato nel profondo della baia non risorga umido, ruvido e lucente. Allora via, verso l’orizzonte. Vele nel vento, oltre gli scogli tempestosi… Non è mai davvero chiaro, quanti dei traguardi storici di una nazione siano il frutto di un’attenta pianificazione e quanti invece, faticosamente attraversati, siano il frutto di una sequenza più prosaica degli eventi. Lo statista che dirige le mansioni di un’intera macchina governativa, il generale di stato maggiore, il presidente del convegno che traduce le giornate in decisioni. E così tutti coloro, trascinati dal bisogno, che in qualche maniera rendono palesi le delibere del giorno. Da cui deriva tutto il resto: l’opificio come l’operosa fattoria, il muoversi delle brigate. E infine poi, la nave dei commerci d’oltreoceaeno, quel micro nel macro, eppure cosmo innegabilmente ripiegato su se stesso quanto l’infinito, soprattutto perché autosufficiente, oggi estremamente, e ancor di più una volta. Estremamente britannico, nella celebrata tradizione. Anglosassone in senso più vasto. Senza radio, cellulare, senza procedure o rigidi regolamenti: quando l’unico modo per mettere il modo il meccanismo era davvero crederci e far parte. Di un qualcosa di volubile, eppure niente affatto raro. Perché funzionale, quindi replicato. E conseguentemente, bello: il canto degli stevedores (gli stivatori). Che fu brevemente citato in ambito letterario per la prima nel 1549, all’interno del componimento propagandistico del The Complaynt of Scotland (Il lamento della Scozia) scritto contro Enrico VIII, che all’epoca si era prefissato di agevolare il matrimonio politico tra Mary Stuart la cattolica e il proprio figlio Edoardo, durante la guerra fallimentare che passò alla storia come il rough wooing (brutale corteggiamento). E  già a quei tempi alcune delle fregate e le altre navi cariche di spade e cavalieri, a quanto ci è dato di comprendere dal testo, disponevano di un certo tipo di canora predisposizione, utile a cadenzare l’intenzione ed il funzionamento dello sforzo collettivo. Ma il vero fiorire di questa pratica, di accompagnar l’impegno di marina con le note musicali, si ebbe a partire solo successivamente, dal tardo diciottesimo secolo, in corrispondenza con il fiorire dei commerci (anche, ahimé, di esseri pensanti) e del colonialismo di stampo ed intento imperialista.
Risalgono a quest’epoca, in effetti, i molti curiosi resoconti degli esperti viaggiatori venuti a contatto con la cultura esportata, assieme alle braccia ed al sudore, dai vasti paesi e popoli del continente antico. Si trattava di una strana abitudine dei popoli africani; tutti quegli schiavi, dalle piantagioni nei neonati Stati Uniti ai rematori delle ultime galee, a coloro che immettevano il carbone in orride fornaci e così via, che non lavoravano in silenzio. Niente affatto. Bensì accompagnavano, ciascun singolo e sudato gesto, con le note di uno spiritual, ovvero un canto a cappella fatto per trarre un sincero beneficio psichico dal battere delle stoviglie, dal colpo ripetuto della zappa e/o del martello, perché nonostante l’avversità crudele del destino qualcuno, lassù, li amava. A margine di tale procedura, viene spesso citata l’opinione al tempo diffusa e convenzionalmente associata ad un resoconto anonimo dell’isola di Martinica (nelle Antille francesi) secondo cui: “I neri non riescono a svolgere un compito senza accompagnarsi con il canto. [E infatti] dispongono di una sterminata serie di componimenti, ciascuno designato per una specifica mansione.” Per la mentalità dei naviganti di allora, naturalmente, era assai difficile mettersi sullo stesso piano dei loro malcapitati servitori. Eppure, ciò che sapeva dimostrarsi utile, tanto spesso ritrovava significative applicazioni.

Leggi tutto

Fucili per tamburi di un’acuta melodia

Auld Lang Syne

Canta una canzone, gringo, oppure balla mentre svuoto il mio caricatore. Il sole allo zenith già denuncia la crudele situazione: siamo giunti all’ora e quel momento di riscossa, per cui sei proiettili fanno la differenza. Costruiscono barriere invalicabili, tra la vita e con la morte, col silenzio infranto da quel suono, BANG! La vendetta si è compiuta, BANG! BANG! My Baby, did he Shot Me…Up? Elation, dramatic jubilation, excitement and exhilaration. Quando sei molto bravo nel fare una cosa, la infondi inconsapevolmente di un’aura di beltà. Puoi connotarla di un valore aggiunto trascendente quanto effimero, suprema cognizione della mira che riesce nel colpire l’immateria. Così è la musica, se sai suonare. Come il flusso dei proiettili già esplosi. L’esecuzione in sequenza di una serie di precisi movimenti, ormai canonizzati e scritti sulla carta da un compositore, spesso d’altri tempi, ancora massimamente teso nel trasmettere un messaggio. Il che non è facile, senza usare le parole. Direi quasi, impossibile. Quante marce di battaglia, inni e liriche di una nazione, hanno condotto fino al fronte giovani soldati. Per accompagnare, con il rombo dei cannoni, l’arte alta musicata dall’attendente a un generale. Soltanto lui, convinto. Che chi da l’ordine, non debba premere il grilletto ed ascoltare!
Ma lo sai cosa ti dico, bandido, se un uomo con la pistola incontra un suonatore col fucile, l’uomo con la pistola è un uomo concentrato, intrappolato e avviluppato, nella percezione di un discorso fatto da lontano. E portato avanti con perizia ineccepibile, vedi il qui presente Patrick E. Kelley, tiratore sportivo statunitense e trick shooter di larga fama, che emette qualche colpo “a caso” contro un metallofono da lui appositamente costruito, una precisa fila, in pratica, di lamelle in ferro di variabile grandezza. Nonché tonalità. La qual cosa vuole dire che tu, sparando, puoi personalmente far le gesta di un addetto percussore, nell’orchestra di uno show del tutto sorprendente. Breve, memorabile, d’impatti che risuonano nell’aere. Eccolo, inizia che ha già quasi finito (chi ha l’arme, non aspetti tempo). In poche note ben mirate, tutte attentamente calibrate, ci dimostra quanto sia facile, far risuonare il cosiddetto Canto dell’Addio, o Valzer delle Candele, il vecchio brano musicale che gli anglofoni chiamano Auld Lang Syne, ovvero, nell’idioma scozzese: i bei tempi andati. Una sequenza subito riconoscibile nell’era post-moderna, soprattutto per la sua intramontabile associazione con il capodanno, oltre all’uso che ne fanno gli appartenenti all’organizzazione dei boy scout. Mai si è chiuso un vero jamboree, l’ordinato raduno della tradizione di quest’ultimi graziosi soldatini, senza che risuonasse la cadenza malinconica di questa nenia dispiaciuta. Eppure allegra, gioiosa! Perché la fine di qualcosa, da che un flauto ha emesso il primo fischio scoordinato, corrisponde col principio. Di una cosa, sorprendente? Certamente, buona. Oh, speriamo. Di Rivoluzioni, ne abbiamo già viste abbastanza…
La Scozia e gli Stati Uniti, fin dalla nascita di questi ultimi, si son guardati attraverso lo sconfinato Oceano con una particolare solidarietà. Forse per l’effetto dell’odio comune, ormai sepolto assieme all’ascia Tomahawk di tali usanze, verso l’imperialismo inarrestabile d’Albione, l’Inghilterra crudelmente espansionista. Che fu nemica prorompente di quei primi, come lo scalino coloniale sorpassato da quegli altri, nella marcia verso la modernità. Oppure, più semplicemente e assai probabilmente, per l’alto tasso di trasferimenti famigliari, dalla Vecchia al Nuovo Continente, verificatosi in massima parte nel diciottesimo secolo, verso il sogno e il bisogno di cambiare l’aria appesantita dalle vecchie usanze. Attualmente, in Scozia vivono circa 5 milioni di persone: non è un paese così popoloso, in termini assoluti. Ma figuratevi che al censo del 2000, 4,8 milioni di americani potevano dimostrarsi discendenti di quella remota terra d’oltremare! Quasi altrettanti. Non c’è dunque da meravigliarsi nel sentire tanto spesso quelle particolari note antiche, che furono scritte dal poeta nazionale Robert Burns (1759-1796) sull’onda del suo entusiasmo per le idee nate nella Francia della Prima Repubblica. Piuttosto comprensibile, furono in molti a crederci. Quando pareva, finalmente, che i popoli si fossero svegliati. E che la loro voce fosse scritta nelle note musicali di certe composizioni, già Romantiche d’intenti…

Leggi tutto

L’orchestra dei registratori batte cassa per Natale

Kassensymphonie

Qualcuno certamente si ricorderà di quella strana pubblicità tedesca, risalente al Febbraio scorso, in cui un distinto signore con la barba, vagamente simile a Babbo Natale, danzava in giro per le strade e cantava con vocione suadente le sue lodi smodate per i meriti del cibo in scatola e di tutto il resto della spesa, fino ad immergersi orribilmente, nel finale imprevedibile, dentro a una vasca da bagno piena di latte e di corn flakes. Tale video può vantare, a quasi un anno di distanza, oltre 12 milioni di visualizzazioni. Per la catena di supermercati EDEKA, dopo una trovata tanto eccellente, era decisamente difficile superarsi. Non a caso, i loro creativi deputati al ramo dell’advertising qui hanno scelto una via diversa, che punta sull’incontro tra la tradizione musicale delle feste e la moda contemporanea, ormai inflazionata, del cosiddetto prank marketing, ovvero il mettere la gente (teoricamente) scelta a caso in situazioni strane, almeno in parte conduttive dello spot pubblicitario rilevante. Così ecco Jingle Bells, suonato sui registratori di cassa. Chi l’avrebbe mai detto?
C’è un equilibrio di fattori non facile da calibrare, in tali scenette, tra il credibile e l’incredibile, ciò che possa convincere, secondo il patto finzionale, gli astanti accidentali e conseguentemente permettere a noi, tramite un adeguato slancio di suspension of disbelief, che Si! Stiamo osservando gente comune, trascinata dagli eventi all’improvviso e che reagisce con totale ed ASSOLUTA spontaneità caratteriale. Il quale trucco, in questo particolare caso, non riesce appieno. E poco importa. Si tratta, in fondo, di una situazione buffa e bonaria, tutt’altra storia rispetto agli scherzi terrificanti e i giochi a premi che normalmente veicolano un tale tipo di campagna. E poi c’è il fattore tecno-elettronico, a fare da demiurgo, l’entità incorporea che può dare origine a qualunque tipo di miracolo, natalizio o d’altro tipo, attraverso misteriosi e minuscoli corpuscoli, co-processori e fil di rame. Dunque, davvero, oltre il cinismo, resta la musica del mondo, tutto in tondo.
E quale deliziosa sinfonia! La scena: la parte anteriore di un affollato centro commerciale, decorato da cascate di lucine bianche ed oro, immerso nell’oscurità dell’incipiente sera. Eppure comunque affollato, da persone di ogni età e provenienza. Lì c’è un impiegato stanco, di ritorno a casa dal lavoro, fermatosi soltanto per comprare poche cose per la cena solitaria. Dall’altra parte, una famigliola con bambino, momentaneamente staccatosi dalla Playstation, tanto per venire ad annoiarsi assieme ai genitori. La signora benestante con gli occhiali firmati e la pelliccia assieme al giovane di probabile etnia indiana (perché si sa che secondo precise statistiche, su 100 persone almeno una è ricca, l’altra amabilmente inter-culturale). Oh, quale stupenda selezione di variopinta umanità! Finché accidentalmente, per puro “caso” qualcuno non giunge fino alla cassiera con un pacco di…Biscotti! Che fa TUTU. E subito segue, all’altra postazione, una bottiglia di spumante, TUU-TUU & so on & so on…crakerscaffépanettonesuccodifruttainsalatanoccioline-THROUGH THE SNOW…

Leggi tutto