Cosa fare se vi cade il cellulare dalla seggiovia

Fast Forward Ski

Il luogo: il mega-resort sciistico de La Plagne, nella valle franco-alpina della Tarentaise, dove passa il fiume dell’Isère prima di andare a congiungersi col Rodano, in prossimità di Viviers. Il gesto: un inseguimento, una corsa folle, il susseguirsi delle pieghe e rettilinei, salti e variegate acrobazie (è innegabile, ci stanno sempre bene) di “una persona come le altre” che si trovi ad affrontare la più malaugurata delle situazioni: l’attimo in cui l’oggetto più costoso contenuto dalle proprie materiali tasche riesce a sfuggire per un attimo di mano, solo una frazione di secondo, ma purtroppo sufficiente perché inizi un’esiziale quanto rovinosa caduta verso il suolo. Quando il tempo sembra fermarsi, e la mente lavora ad un ritmo estremamente accelerato: “Si romperà? Posso prenderlo col piede? Sono assicurato?” E poi si susseguono le conflittuali considerazioni, delle notizie buone e cattive. Punti a favore, nel presente caso: la neve è soffice, la gente è onesta, la corsa è breve. “Ma è pur vero che mi trovo in alto, molto in alto!” Potrebbe quasi esclamare lo sciatore acrobatico francese Kevin Rolland, il tre volte medagliato degli X-Games, nonché bronzo nell’half-pipe durante le Olimpiadi Invernali di Soči del 2014. “Si romperà?” Ah, il nostro povero, sfortunato, campione…Tu non hai idea! Perché di certo non consideravi, essendo l’intera sequenza un’incredibile succedersi di coincidenze, che lì sotto per un caso del destino si trovasse a passare proprio lo sportivo veterano Julien Regnier, universalmente riconosciuto tra i fondatori moderni della vostra disciplina, il freestyle skiing, l’unico e il solo che fu in grado d’inventare, verso la fine degli anni ’90, un tipo di sci radicalmente differenti, non più fatti per “tagliare” la neve, ma larghi e piatti alla maniera di una fettuccina, e soprattutto dotati di due punte, l’una rivolta verso avanti, l’altra in contrapposizione. Onde poter meglio fare l’elicottero, ruotando su stessi vorticosamente, sopra le teste affascinate degli spettatori.
Ma adesso… Non andiamo fuori tema! Il tempo stringe e già gli eventi prendono una piega inaspettata: perché questo grande personaggio, che teoricamente doveva essere un amico (i due si conoscono da anni!) All’improvviso viene preso da dall’ispirazione problematica di far scivolare il prezioso oggetto smarrito dentro la sua giacca, come un membro onorario della Banda Bassotti, per poi prendere e scappare in gran velocità. Ci siamo! It’s On! Partenza, pronti, via! Sembra proprio una perfetta trama, di quelle preparate a tavolino per l’ennesimo video virale costruito attorno ad uno sport non-proprio-estremo, almeno non quanto il paracadutismo o la tuta alare, ma diciamoci la verità, davvero, potenzialmente, occasionalmente, Estremo. Un fatto che si nota chiaramente, nel procedere dei ripidi secondi, mentre l’improbabile ladruncolo inizia la discesa della pista e quello che c’è intorno con un’espressione trafelata, poi compie qualche salto folle oltre un muretto e fin dentro l’imboccatura del circuito di bob. Ed è proprio in quel tunnel serpeggiante, che la situazione inizia veramente a riscaldarsi.

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La sfida medievale del Baranta, arte marziale d’Ungheria

Baranta

La riscoperta e costante pratica di un’antico repertorio di tecniche guerresche, potenzialmente risalenti all’antica storia di un popolo, è sempre fondamentalmente positiva, poiché la sapienza è sempre utile anche se desueta, specialmente quando innegabilmente associabile a un sistema di valori e condizionamenti, sia sociali che privati, da sempre parte dell’inconscio collettivo. È un sistema complesso. È un simbolo imperituro dell’orgoglio nazionale. È uno stile di vita, libero e selvaggio. Ma anche e sopratutto, serviva a rendere temibili i cavalieri delle grandi steppe, coloro che verso la fine del nono secolo varcarono i Carpazi per scacciare i popoli stanziali dalle ricche terre ad est del Danubio, da cui far partire terribili saccheggi in quello che era stato, fino a poche generazioni prima, lo splendido e stratificato impero carolingio. Di certo, se avessimo modo di chiedere una valutazione a un fiero generale dell’epoca dei meriti strategici e combattivi dei Magiari, la confederazione delle sette tribù di lingua ugrica che sconfissero a più riprese, dapprima la popolazione turca degli Avari, quindi la Moravia, il Primo Impero Bulgaro e infine il Regnum Francorum orientalium, ovvero la Germania dei Teutoni, la risposta di un generale o mercenario d’Occidente non sarebbe stata piena di eccessive lusinghe: ciò perché il cavaliere dell’Asia siberiana, fin dall’epoca di Attila l’Unno, era solito impiegare approcci e stratagemmi, per la visione dell’epoca, tutt’altro che onorevoli. L’imperatore di Bisanzio Leone VI detto il Saggio (866-912) grande storico e commentatore della sua epoca, ne parlò approfonditamente nel suo trattato Tactica, descrivendo tra le altre cose un’approccio alla ritirata strategica associabile al tiro partico, dal nome dell’antica popolazione iraniana dei Parti, che consisteva nel mostrare la schiena al nemico, fuggendo rapidi a cavallo, soltanto per voltarsi all’ultimo momento, al fine di bersagliarlo di frecce tramite l’impiego del piccolo e maneggevole arco delle steppe. I guerrieri Magiari inoltre, egli ci racconta, combattevano con un’arma in ciascuna mano e spesso una lunga lancia sulle spalle, pronta all’uso in caso di necessità. Come guerriglieri, dunque, schermagliatori, esperti approntatori di trappole o assalti repentini e inaspettati, questi membri dell’orda che seppe farsi stanziale usavano spostarsi ancòra con un seguito di armenti e cavalli, finalizzato secondo alcuni a “farli sembrare maggiori di numero” scoraggiando così il nemico. Non che ne avessero davvero bisogno, o almeno così sembra.
Soprattutto guardando all’opera gli attuali migliori rappresentanti dell’associazione del Baranta dell’Ungheria settentrionale, ufficialmente fondata nel 2008 da Gábor Kopecsni, con il fine di raccogliere in un solo luogo alcune delle più preziose conoscenze sopravvissute all’antica genesi della propria identità nazionale. La prima e più significativa distinzione possibile tra questa evoluzione dell’antico repertorio, talvolta sportiva con finalità di competizione, molto più spesso etnica e finalizzata ad un rituale d’appartenenza culturale, rispetto alle più celebri arti marziali cinesi e giapponesi dell’epoca moderna, è l’assenza di una tradizione che può essere fatta risalire a un singolo maestro, proprio perché le singole componenti deriverebbero da un’aleatoria, quanto pervasivo, concetto di Sapienza Popolare. Il termine Baranta, stando alle divergenti fonti reperibili online, può avere diverse etimologie, tra cui l’evoluzione del verbo della vecchia lingua proto-ungara per “annientare”, piuttosto che quello riferito al concetto di “addestramento” e per metonimia del luogo effettivo in cui un tale compito veniva svolto dai guerrieri. Ma forse il significato maggiormente poetico ed interessante è quello citato in lingua inglese presso il sito stesso dell’associazione nazionale, che lo definisce in base ad antichi scritti come un appellativo onorifico per i “guerrieri del Sole” o [coloro] che si alleano con il Sole. E ciò deriva proprio dall’antico ruolo, una vera mansione sociale, che spettava ai guerrieri addestrati i nel corpus di discipline guerresche dei Magiari, essenzialmente uno dei repertori più versatili del territorio europeo di allora.

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L’uomo che sorvola le Canarie in bicicletta

MacAskill Gran Canaria

Sarebbe difficile, compiendo un giro sulle moderne strade asfaltate dell’assolata isola di Gran Canaria che è la seconda più popolosa del suo arcipelago, non notare i segni incancellabili dell’onnipresente e sempre pesante mano dell’uomo. Eh, già! In questo luogo di lingua e municipalità spagnola a largo del Marocco, che sarebbe graziato secondo alcuni studi dal migliore clima della Terra, è stato doverosamente permesso alla natura di mantenere la sua fragile presa su ogni cosa. Ma mai, eccessivamente in profondità… Osserva, per esempio, l’antica capitale coloniale del Re di Castiglia in questi distanti lidi, Las Palmas. Un centro abitato la cui area metropolitana ospita, a seconda della fonte del censo, tra le 650.000 e 700.000 persone, giungendo a costituire la nona o decima metropoli del suo paese, nonché principale insediamento sito tra le sponde dell’Oceano Atlantico. E poi, tutto quello che c’è intorno: stabilimenti, grandi hotel, giardini, attraenti parchi giochi…L’industria del turismo, qui, è fondamentale per l’economia, e non mancano del resto i grandi nomi delle compagnie internazionali, sempre pronte ad investire in tali luoghi, senza veri termini di paragone altrove. Il visitatore proveniente da lontano, se propriamente detto, certe cose dovrebbe essere pronto a Notarle. Visitare terre straniere significa, prima che ogni altra cosa, trasformarsi in ottimi osservatori dell’ambiente circostante, pronti a corroborare i pregiudizi con l’esperienza vissuta sulla propria stessa pelle. Il che significa, inerentemente, che il ciclista trial ed ottimo intrattenitore scozzese Daniel “Danny” MacAskill, detto molto giustamente Megaskill, qui non ci era giunto con l’impostazione del turista. Bensì al fine di lasciare un segno, fortemente personale, nei ricordi e le vicende dei suoi spettatori d’occasione (“si ringrazia la brava gente di Gran Canaria” specifica la descrizione del video) che gli hanno aperto le porte onde permettergli di procedere, dal basso verso l’alto, fin sui tetti digradanti verso il mare. E quindi avanti, sempre più oltre, fino al baratro che segna un confine geografico d’Europa, nella grande zuppa oceanica perfetta per freddare quel bisogno di trovare un senso al moto ciclico dei suoi pedali.
Tutto inizia da un sorriso, di lui che entra, casco in mano e bici al seguito, all’interno di un ambiente che potrebbe rappresentare la camera di un albergo, ma è probabilmente il semplice salotto di un appartamento. “Un’altra giornata di sole alle Canarie! Il vento è tiepido e l’oceano, come sempre, meravigliosamente calmo…” Annuncia con voce roboante una vetusta radiolina, sintonizzata su un canale di fantasia che si auto-nomina Radio El Scorchio, mentre il visitatore col suo armamentario, senza starci troppo a pensare, apre la porta finestra e si ritrova sul balcone dalla generosa metratura, in mezzo ai panni stesi ad asciugare. Inforcata quindi la sua bici, con un netto colpo di reni, balza sopra il parapetto e…Va. Verso il grande vuoto (un suicida? Giammai!) O almeno così sembra, se non fosse che un sottile muro divisorio, già nascosto dall’inquadratura, basta a condurlo fino al tetto successivo, con soltanto un mezzo metro a separarlo dal prossimo segmento della sua pericolosa spedizione. Non avrebbe mai potuto dunque lui, giunto a un tale punto delicato e in bilico sul grande tutto, fermarsi…

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Pilota trova Bigfoot per sfidarlo a colpi di sgommate

Recoil 3

Come amano dire nel paese delle aquile con la testa bianca, ce ne vuole Uno, per trovarne Uno; colui quello, il gringo della situazione, l’individuo atipico che fuoriesce dagli schemi. E dai sistemi: del resto non credo siano molti, tra gli amici di “Ballistic” BJ Baldwin, coloro che tendono a considerarlo una persona semplice ai confini con la noia. Quanti possono realmente dire, tra una cena e l’altra, di aver guidato a regime un fuoristrada da oltre 800 cavalli per gli aridi territori della Baja California messicana, vincendo addirittura la prestigiosa Baja 1000 della lega SCORE non una, bensì due volte…E nel 2011 anche la Mint 400 organizzata dall’omonimo casinò ed hotel di Las Vegas, altrimenti detta “l’unica grande gara dei deserti americani”. Così capita in questo strano video che il maestro del volante, trasportato nell’ambiente più diverso immaginabile dai suoi sentieri abituali, vada ad imbattersi proprio nella creatura leggendaria più rara, nonché culturalmente significativa, del verdeggiante Northwest del Pacifico. Ma tu guarda! E di chi staremmo mai parlando, se non di lui? L’odierno discendente del preistorico Gigantopithecus, uno scimmione alto 3 metri che per qualche inspiegabile ragione non si riproduce né si estingue, ma sopravvive silenziosamente fra gli alberi ed i laghi dello stato di Washington, facendo comparsate occasionali su pellicole notevolmente fuori-fuoco, oppure nei racconti degli ubriachi della situazione. Di miti e leggende su questa creatura misteriosa, che i parlanti della lingua Salish definivano se’sxac (l’uomo selvaggio) ce ne sono innumerevoli, variabilmente terribili e/o inquietanti. Si dice che aveva l’abitudine di rapire i bambini che osassero pronunciare il suo nome. Come pure che fosse l’ultimo sopravvissuto di una razza di mostruosi cannibali, un tempo attestati unicamente presso le cime del Monte Sant’Elena, nella parte meridionale dello stato. I nativi raccontarono inoltre, ai primi missionari protestanti giunti nella regione, dell’esistenza di un gigante peloso e maleodorante, che si avvicinava all’uomo solamente per rubare i salmoni presi nella rete dai pescatori dei corsi d’acqua locali. Sarà stato, che so, un orso? Molto chiaramente, No!
Quindi dovremmo ben comprendere, nonostante la nostra natura spiccatamente non violenta, l’attività condotta dal campione nel suo nuovo episodio internettiano Recoil 3 (parte di una serie) realizzato con il patrocinio di alcuni sponsor milionari e che lo mostra da principio, agghindato in abito mimetico, mentre si aggira per i boschi con un fucile M4 più accessoriato dell’automobile media, tra mirino, sistemi di aggancio, microfoni e caricatore esteso. Non si prende una leggenda solamente con le buone intenzioni. Eppure, persino così, le circostanze possono sfuggire verso il regno delle idee… Perché il caro vecchio sasquatch, qui rappresentato da un misterioso individuo nella pantomima d’apertura e ben presto giocosamente “scovato” come da copione, compie un gesto totalmente inaspettato: ruba senza ritegno da un gruppo di campeggiatori, ma non un semplice cestino con il pranzo, bensì la cosa PEGGIORE immaginabile. Niente meno che una Maverick X ds TURBO, piccolo e pimpante fuoristrada in grado di sviluppare un rapporto peso/potenza di 9.4 hp ogni 45 Kg (100 libbre), per un totale 634 Kg. Il che significa, mettendo al bando ai numeri, che può scappare via come una freccia in mezzo agli alberi e le case della vicina città di Tacoma (196.520 abitanti). Intollerabile. Impossibile. Ingiusto. Fortuna che l’improvvisato giustiziere, in maniera totalmente fortuita, si fosse portato dietro il suo pick-up fuoristrada da competizione (anche detto trophy truck) basato sullo chassis di uno Chevy Silverado, ma continuamente perfezionato e potenziato dal suo team di gara, in occasione di ciascuno degli eventi motoristici più importanti dell’anno.  Ciò che segue, è una corsa degna del più assurdo videogame…

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