I vantaggi tecnologici del molo galleggiante

Surin Jetty

Ho profondamente chiaro nella mia analisi geometrica di quanto ci circonda, che la sfera sia una forma veramente poco empatica e gentile. Perché se la lasci sola per un paio di minuti, quella tende normalmente a rotolare, scappando per i ripidi pendii, eternamente persa al suo benefattore. Una sfera non può essere impilata, con altre sfere, a meno che quest’ultime non siano chiuse da un recinto, o letteralmente cementate al suolo sottostante. E per di più il risultante cumulo, se pure dovesse riuscirvi con qualche metodo complesso di farlo stare assieme, avrà una resistenza strutturale meno che perfetta, e sarà inoltre inadatto al calpestìo, nonché pieno di vuoti in cui far scomparire oggetti utili, come le chiavi di casa, il cellulare, il portafoglio… Della sfera…Non ti puoi fidare. Tutt’altra storia, a conti fatti, rispetto ai sei volti sorridenti dell’amico Cubo. Un’entità capace di costituire il modulo più piccolo di praticamente ogni forma,  guadagnandosi un posto d’onore in qualsivoglia impresa che possa dirsi, senza esitazione, come rientrante nel metodo ingegneristico dei prefabbricati. Nulla si combina meglio con se stesso, in effetti, che un oggetto che ha la stessa altezza, larghezza e profondità, sia pure generalizzando, visto come determinate soluzioni aderenti a un tale stile di pensiero, molto spesso, si affidino a dei parallelepipedi di variabilissima entità. Ma tutti sempre conformi, non difformi, i loro spigoli perfettamente opposti e non proposti, le linee rette e perpendicolari. Datemi una fila di cubi abbastanza lunga, e vi solleverò il mondo – Cit.
Così avvenne all’uomo con la telecamera, il cui nome chiaramente scritto in fondo al video è Adam Hobbs, di trovarsi un giorno in un soggiorno vacanziero presso la costa ovest dell’isola di Phuket, in quella località dall’alto tasso turistico che ha il nome di spiaggia di Surin, qualche chilometro a nord della città di Patong. Per osservare con un vago senso di stupore, sull’immediato e catartico momento, l’esistenza di una strana propaggine mirante al mare aperto, costituita in materiale plastico di due colori, azzurro e celestino chiaro. Un molo? Una piattaforma? Una via marittima per biciclette? Tutte queste cose, e molte altre. O per usare un solo termine, il tipico esempio autoconcludente del sistema brevettato Candock, la più diffusa soluzione per la costruzione di ponti o pontili galleggianti, che dal fresco Canada è giunto a diffondersi, negli ultimi anni, presso i centri abitati e le proprietà private di una buona metà del mondo. Non che sia l’unico approccio conforme a tale descrizione, sia chiaro. Abbondano, anzi, le imitazioni, con diversi gradi di miglioramento del progetto originale. Eppure c’è qualcosa di chiaro e lampante, semplicemente funzionale, nel concetto di una moltitudine di cubi in PVC, collegati tra di loro grazie ad asole e grosse viti da inserirvi, anch’esse realizzate nello stesso materiale. Che risulta solido, abbastanza da camminarci o legarci le barche, ma al tempo stesso straordinariamente flessibile, come stava per scoprire il viaggiatore in quel frangente certamente degno di registrazione.
Se attendi l’arrivo dell’onda grande su di un molo convenzionale, tutto quello che potrai aspettarti è qualche schizzo, magari una pozzanghera tra i piedi, che presto si dissolve come neve al sole. Ma se ti trovi su di un simile apparato, potrai sperimentare l’esperienza di essere letteralmente sollevato, assieme al pavimento, di anche parecchi centimetri, tornando quindi presto al punto di partenza. Una sorta di naturale montagna russa, o l’approssimazione ragionevole di quello che potrebbe essere camminare sull’acqua, ma in un luogo in cui quest’ultima è mobile e irrequieta. Pur costituendo uno strumento architettonico vero e funzionale, è quindi chiaro che il molo galleggiante si presti in modo particolare ad assumere una dimensione affine a quella del divertimento…

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Il camion-talpa e l’altro metodo per costruire un arco

Archlock Zipper Truck

Un centimetro alla volta, emettendo rombi dal motore, il grosso veicolo procede nel suo tunnel largo esattamente quanto lui. Solo che tale spazio, visibilmente, costituisce una virtuale non-esistenza. Giacché la parte posteriore, in effetti, è già coperta dalla terra attentamente compattata. Quella centrale, risulta occupata interamente dalla massa, assai considerevole, del veicolo in questione. E dinnanzi a lui… Non v’è ancora nulla di edificato, solamente il cielo, il Sole, un poco di vegetazione ormai del tutto sradicata. Uomini e ruspe, nel frattempo, lavorano alacremente, tutto attorno alla sua emblematica presenza. Un grosso mattone alla volta, come stessero manovrando dei Lego ipertrofici, costituiscono la parte superiore di una volta a botte. Che dovrà poggiare con l’intero proprio peso, fino alla deposizione di un certo numero di chiavi di volta in ripida successione, sopra il coraggioso quattro-ruote semi-sotterrato. Da qualche parte, nei pressi, un singolo cartello: Lock Block Ltd, questo cantiere è gestito da […] Finché alla fine, chiaramente, l’opera non sia compiuta. E come farà, a quel punto, tale sostegno veicolare ad emergere e scappare via? Ma è semplicissimo! Sgusciando come una mera tartaruga serpentina, grazie all’uso delle innumerevoli, piccole rotelle sul suo dorso. Siamo nell’area di Cascadia, presso la città canadese di Vancover. Dove, in un giorno all’apparenza come gli altri, si rimescolano i rapporti tra le connessioni di una delle strutture più importanti della storia umana…
Facevano bene i Greci, che una volta costruite due colonne, vi sovrapponevano l’elemento classico dell’architrave, il componente singolo a sviluppo orizzontale e largo esattamente o almeno quanto la distanza tra le stesse. Perché era un sistema semplice, che non permetteva di commettere un errore di progettazione. Nonché, concettualmente intuitivo: mi pare ovvio che se posizioni un qualcosa di largo e rigido, sopra lo spazio di una luce chiaramente definita, la struttura complessiva giunga ad acquisire un certo grado di stabilità. Tra l’altro gli antichi ben sapevano, per lo meno da un punto di vista puramente intuitivo, che una forza direzionata verso il basso, come per l’appunto è il peso, tenda naturalmente a propagarsi in parte ai lati. Oggi chiamiamo tale tendenza, il momento meccanico. E cosa c’è di meglio, per agevolare un simile processo, che la forma di una superficie ad U invertita, con due angoli retti nei punti in cui s’incontrano le superfici… Beh, mi pare ovvio che C’È di meglio. E ciò perché la pietra, intesa come materiale di costruzione, ha una notevole resistenza alla pressione verso il suo interno, ma ne vanta una comparabilmente assai inferiore all’incremento delle forze che tendono a modificare la sua forma. Piuttosto che piegarsi, si spezza. E questo non è mai auspicabile, in ingegneria.  L’aspetto spesso trascurato per quanto concerne gli archi, una struttura comunemente viene associata all’urbanistica dei Romani, che ne fecero un uso frequente per i loro grandi anfiteatri ed acquedotti, è che tali elementi decisamente efficienti ma poco utilizzati dai predecessori dell’Egeo non costituivano affatto un’evoluzione successiva del loro concetto dell’architrave, ma piuttosto coesistevano con esso, e in determinate particolari espressioni edilizie, lo precorrevano, persino. Non era affatto infrequente dopo tutto, tra le antiche civiltà della Mesopotamia e dell’Egitto, ritrovare un qualcosa di molto simile a quanto dimostrato dalle ruspe e dal camion della moderna Lock Block Ltd. Benché naturalmente, i mezzi a disposizione avessero un ordine di grandezza decisamente diverso.

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Uomo assaggia una razione militare risalente al 1959

MRE Info

Nelle botti piccole, questo è noto, c’è il vino migliore. E in quelle vecchie il più prezioso. Ma esistono bottiglie, a questo mondo, che tu non berresti mai, neppure in presenza di un’etichetta fra le più prestigiose, o con la garanzia che viene dal profondo di una celebre cantina. Semplicemente perché è il loro stesso aspetto, a renderle poco invitanti: quando persino lei, la più amata delle bevande alcoliche, è stata tenuta in condizioni di stoccaggio inadeguate, a una temperatura superiore a quella ideale, ed ha assunto quell’aspetto torbido di una coltura di batteri, che si accompagna al gusto metamorfizzato del volgare aceto…Ma ora immaginate, per mero esercizio comparativo, di essere degli enogastronomi consumati, con alle spalle una carriera vasta come il mare, e di ricevere all’improvviso la notizia che da oggi, sarà totalmente impossibile bere vino precedente all’anno 2000. Perché? Hanno scoperto, diciamo, che fa male. A quel punto, potreste davvero abbandonare la vostra passione, così di punto in bianco? (il rosso e il nero!) E dimenticare quella letterale montagna di aromi e sapori, potenzialmente sviluppati attraverso la ruota dei mesi, che derivavano dagli anni ed anni di sapiente attesa…
Ebbene, questa è sostanzialmente la situazione vissuta, quotidianamente, dagli appassionati di un particolare tipo di esperienza alimentare, che incorpora in se stessa un differente studio della storia, il gusto estremo di una prova di coraggio, addirittura, in un certo senso, il collezionismo propriamente detto, delle scatole o lattine di contorno. Persone come il qui presente Steve1989 MREinfo, che pratica occasionalmente la degustazione dei pasti pronti degli ambienti militari, le cosiddette razioni C, pensate per sostituire il cibo fresco (razione A) o quello confezionato e da cuocere (razione B) in tutti quei casi in cui ci sia una guerra da combattere, o ci si trovi in missione solitaria presso luoghi selvaggi e/o remoti – il Polo, l’Equatore, così via. Un vero e proprio hobby, che tuttavia richiede l’insolita capacità di mandare giù qualsiasi cosa, indifferentemente dall’aspetto e dalla provenienza. Questione chiaramente esemplificata dal suo recente video qui mostrato, relativo ad una rara MRE (Meal, Ready-to-Eat, in realtà un’antonomasia ripresa dal nome del prodotto americano) preparata originariamente nel 1959 per le forze aeree canadesi, e che almeno stando a quanto ci viene fatto notare, sembrerebbe aver subito condizioni di stoccaggio meno che ideali. Il sospetto viene già dal primo sguardo, dato all’affascinante lattina di un retrò verde oliva, chiusa con lo scotch per una spedizione più sicura, che appare ammaccata e scolorita, a causa degli anni trascorsi dentro a qualche derelitto magazzino. Una volta aperta, sotto un breve pamphlet con informazioni generiche di sopravvivenza, si realizza il primo shock estetico: tra due masse nerastre, di provenienza indefinibile, campeggia una doppia fila di quelle che sembrerebbero delle grosse e variopinte caramelle gelatinose, generalmente incluse nel menù per il semplice fatto che i carboidrati sono assimilabili dal nostro organismo con quantità d’acqua relativamente ridotte, e in più tali cibi si conservano anche molto, molto a lungo. Entrambi grossi vantaggi, nello specifico contesto qui descritto. Negli ambienti statunitensi esisterebbe tuttavia una diffusa diceria, secondo cui mangiare l’equivalente locale prodotto dalla compagnia Charms sarebbe un gesto latòre di sventura. Probabilmente una leggenda derivante dal sapore di detti dolciumi, che benché apprezzabili dai bambini, in condizioni di consumazione occasionale, così inseriti all’interno di un vero e proprio pasto con finalità di fare da contorno alla portata principale, tutto fanno, tranne che aiutare l’appetito. Di noi comuni mortali. Ma vogliamo parlare, dunque, di quest’ultima essenziale componente? Il cupo ammasso in corso di disfacimento (ma non maleodorante, un ottimo segno!) che Steve si trova a definire, a nostro beneficio, come l’approssimazione di un fruit cake! D’accordo, hai mordicchiato un dolcetto ormai diventato duro come il diamante, oppure due, ma di certo non oserai…

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L’immensa gioia di abbracciare un orso

Russian Bear Hug

Come in un sogno, in cui le ansie di difficili giornate possono svanire nell’abbraccio tenue di Morfeo, così è l’incontro con quella creatura tipica di molte fiabe, che dopo aver vagato alla ricerca di cibarie in mezzo agli alberi della foresta, ritornava finalmente a casa, nella sua caverna o dentro l’antro di un ennesimo letargo. Certo, quando giunge la notte, si dorme. Finché si è bambini, normalmente, assieme all’orso. Ma è pur vero che nelle oscure notti di luna piena, come ben sapevano gli antichi, qualsiasi creazione della fantasia tende ad animarsi e può persino, raramente, parlare? “Cosa devo fare, padrone? Mi dai da mangiare?” Grossi guai! Per tutti coloro che dovessero dimenticarsi di nutrire…Il peluche! Soprattutto, in un’ipotesi speciale, ancor più rara e degna di essere onorata col rispetto dell’accordo primigenio. Perché quando è notte, c’è la luna piena, e addirittura si verifica l’allineamento tra Mercurio e Marte in prossimità della costellazione dell’Orsa Maggiore, non soltanto la vita torna a visitare quei pacifici pupazzi, ma esattamente come la zucca di Biancaneve questi potranno assumere una proporzione ben più grande, o nello specifico, a dimensione NATURALE. Il che per un orso, è tutto dire: guarda qui che roba. Un vero disastro…
In un cortile assai chiaramente russo, perché il video ha molti titoli e quasi tutti in quell’idioma, un uomo dall’aspetto amichevole è alle prese con una particolare, straordinaria contingenza: il suo cane gioca amichevolmente assieme a lui, strofinando il grosso muso sulla sua testa, slinguazzandolo con espressione sciocca, alzando allegramente le corpose zampe che poi appoggia sopra le sue spalle, come la creatura straordinariamente affettuosa che, senza ombra di dubbio, è. Soltanto che a un’analisi più approfondita…Forse questo non è propriamente un pastore tedesco. Non è un levriero. Non è uno spinone, ne un boxer o un labrador. Ma qualcosa di radicalmente differente….L’URSOS ARCTOS, per essere tipologicamente precisi, ovvero l’imponente specie il cui areale giunge ad estendersi per una buona parte del continente Nordamericano dove riceve spesso il nome comune di Grizzly, e poi nell’Eurasia, dalle propaggini occidentali della Russia fino alla remota terra di Siberia, dove spalanca la sua grossa bocca e poi saluta con gli artigli i pochi avventurosi viaggiatori in moto o in auto, rigorosamente fuoristrada. Qui in Italia, ancora oggi ne permane una sempre più scarsa popolazione, di non più di 30-40 esemplari, tra l’Abruzzo e le montagne del Morrone. Che talvolta riesce ancora a procurare dei problemi all’uomo. Eppure non c’è nulla di selvatico, in questo allegro svago del momento presente, il tipico rilassamento di chi sa che il piatto è ben fornito, la carne è chiusa lì nel frigo e dunque non c’è una singola, valida ragione per stringere lievemente le zampe anteriori, stritolando l’adorabile “padrone”. E allora il sentimento che un tale scena ispira nella mente degli osservatori, in molti casi soggettivi, non può essere che invidia.
Guarda quel testone, la cui portata cranica raddoppia per diametro la fragile apparenza della controparte. Il pelo lucido e probabilmente morbidissimo, in forza di una dieta di alta qualità. La sua presenza immane ma bonaria, come quella di un drago del fantastico, o un leocorno, o un candido grifone, reso docile dalla presenza di un qualcosa di meraviglioso, vedi la prototipica e splendente dama (rigorosamente vergine) in attesa del suo cavaliere di rincorsa, con la lancia ed il vessillo sfavillante. Per non parlar di Jaime Lannister nel telefilm di Game of Thrones, malefico e spietato, che dinnanzi al pericolo di un orso diventava il salvatore della Sua… Ma che poi, serviva veramente, quello lì? Alla fine, gli animali sono esattamente come noi. Trattali con rispetto e considerazione, loro ti daranno – TUTTO. Benché questo non significhi, in considerazione delle circostanze di contesto, che gestire un orso sia una cosa – FACILE. Ciò denuncia, l’evidenza! Per non parlar dell’esperienza, di quei pochi che osarono percorrere la strada, prima ancora di questo signore russo, il cui nome resta ignoto al vasto web.

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